laR+ L'intervista

Gjon’s Tears, l’universo una settimana dopo

Fa sembrare il canto la cosa più semplice al mondo. E con ‘Tout l’univers’, all’ultimo Eurovision Song Contest, ha portato la Svizzera dalle parti dei Måneskin

Tutto l'universo sorride a Gjon (Keystone)
31 maggio 2021
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Rotterdam, sabato 22 maggio 2021, molto oltre la mezzanotte, praticamente domenica; manca un ultimo voto del pubblico per sapere chi vincerà. «Ero felice perché tutto era stato fatto. Non provavo stress perché tutto non era già più nelle mie mani. Non avrei più potuto cambiare la mia performance, non avrei più potuto incidere sui voti. Avevo la tranquillità di chi dopo un anno e mezzo ha fatto tutto quel che c’era da fare ed ero orgoglioso per questo».
 
Com’è andata dopo l’ultimo voto è sul libro dell’Eurovision Song Contest, l’edizione 2021 che c’è stata, un anno dopo quella che non ci fu, benché il divano attendesse il 22enne quasi 23enne svizzero Gjon’s Tears già nel 2020. Una settimana dopo, parliamo con lui di quei quattro giorni che hanno portato la Svizzera al più onorevole dei terzi posti (non accadeva dal 1993), dietro una Francia parisienne e un’Italia måneskienne. «Sono stati giorni intensi, pieni di lavoro», racconta a laRegione Gjon Muharremaj da Broc, Canton Friburgo, Tears per le lacrime di papà quando ascolta ‘I Can’t Help Falling In Love With You’ di Elvis. «Ho vissuto tutto molto intensamente e ho dormito pochissimo. È pazzesco quanto sia trascorso tutto in modo così rapido e intenso». Nella tensione generale del voto, tra l'espressione di circostanza di chi aveva già perso e le lacrime dei vincitori a un passo dall’esserlo, eccoti il sorridente aplomb più inglese che svizzero di Gjon: «Ero calmo perché avevo fatto il mio dovere, perché tutte le persone che amo erano lì con me, i miei genitori e la mia etichetta fra il pubblico, le due persone che hanno composto il pezzo insieme a me nella Green room, e sul divano la mia delegazione, con Sasha, il direttore creativo. Li potevo abbracciare e ringraziare per tutto quel che avevamo già conquistato».


Smile, you're on Eurovision (Keystone)

La risposta a ‘Répondez-moi’

Con il rock and roll al primo posto (‘Zitti e buoni’, trent’anni dopo ‘Miserere’ di Zucchero, è l’Italia che torna nella Top 20 britannica) e al secondo Barbara Pravi con chanson française (che nessuno, della nuova generazione, canta bene come Zaz), ‘Tout l’Univers’, il pop di classe di Gjon, a completare un quadro di euroqualità. «Amo il contrasto», spiega l’artista. «Il pezzo suona drammatico ma è una canzone di speranza, è la riposta alle esplosioni dalle quali non dobbiamo farci sopraffare, ma combattere e andare avanti». Lo spunto per il pezzo: «Hai presente quelle considerazioni sulla vita di chi ti invita ad apprezzarla, a divertirti prima di rimpiangere il non aver fatto tutto quello che si sarebbe voluto fare? È un concetto che mi fa sentire molto triste per chi lo dice, e mi sono detto che non vorrò mai avere quel tipo di rimpianto quando sarò vecchio».

Nel copione già visto delle cose che stanno per accadere e arriva l’imprevisto, Gjon’s Tears era la Svizzera all’Eurovision già nel 2020. ‘Répondez-moi’, con dentro soluzioni Mahmood, era già tra le candidate al podio. Poi squilla il telefono e dall’altra parte qualcuno dice che non se ne farà niente: «Era una canzone che moriva. È stato un momento molto triste, mio e di tutti coloro che ci avevano lavorato con me. Ma è accaduto e si doveva andare avanti, come in tutte le cose». E il team svizzero non l’ha lasciato solo, sapendo di potersi rigiocare, nel 2021, un’ottima carta. Ma serviva qualcosa all’altezza di ‘Répondez-moi’: «Non c’è stato, in verità, il pensiero di scrivere qualcosa di meglio, piuttosto quello di scrivere qualcosa di qualitativamente valido. Con ‘Répondez-moi’ vivevo l’innocenza di non sapere che sarei stato io a rappresentare la Svizzera, mentre quest’anno sapevo cosa mi attendeva ed è stato molto più duro restare innocenti, per valutare se ‘Tour l’univers’ sarebbe stata all’altezza». E quel grido di rinascita, tra armonie alla Tori Amos e freddi ambienti nordici, ha risolto magnificamente l'incognita.

Pressione

Avrebbe dato i suoi ‘twelve points’ all’Ucraina e si è goduto i 3'500 di Rotterdam («Fantastico vedere tanta gente in un momento come questo»), filtrati dai suoi ear monitor («Nelle mie orecchie suonavano come venti persone, ma quando le guardavo mi davano l’energia per dare il meglio»). Per tutte le volte che ha aperto bocca per farlo, anche prima dell’Eurovision, pare che cantare, per Gjon’s Tears, sia la cosa più facile al mondo. Anche quando a dodici anni (introdotto da Christa Rigozzi a Switzerland Got Talent, anno 2012) ricalcava gli acuti di Lara Fabian e oggi che ha la voce di un adulto ancora si arrampica sulle stesse vette, inclusi i falsetti alla Mika, colui che lo scelse per The Voice Francia consegnandolo, nel 2019, alla piena popolarità televisiva.

Oggi, Gjon’s Tears è un professionista e davanti a una platea di molti milioni più ampia dei 16 della trasmissione francese, la platea dell'Eurovision, è parso non sentire alcuna pressione: «No, la pressione c’era, c’è sempre. Ogni situazione è diversa, ogni volta è un nuovo tipo di pressione. Quand’ero piccolo non capivo quello che mi stava accadendo. È molto più difficile cantare oggi, perché sto attento a tutto, alle note, alla resa televisiva, al mix se è giusto o meno, alle luci se mi cadono bene addosso. Ora devo tenere conto di molte più cose che in passato. Lavoro per consegnare una performance di qualità, voglio che gli altri siano colpiti dalla mia musica. In una parola, voglio essere inattaccabile». Perché «la cosa che ovunque, anche a Rotterdam, mi ha dato pressione ero io, l’unico che poteva distruggere la sua performance, che poteva fermarsi, inciamparsi, cadere». Insomma, l'universo era nelle sue mani. E ha apprezzato.

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