Spettacoli

‘Kiss!’, una poesia senza parole sull’amore in teatro

Un universo immediato e immersivo, nell’ultimo lavoro di Camilla Parini del Collettivo Treppenwitz, andato in scena al Sociale di Bellinzona lunedì sera

KISS! (fotoSebastiano Piattini)

È in un bosco, topos letterario per eccellenza per raccontare l’introspezione, che prende vita ‘Kiss!’, il nuovo lavoro del Collettivo Treppenwitz. Con regia e ideazione di Camilla Parini – che vediamo anche sul palco insieme a Kevin Blaser, Thomas Couppey e Martina Martinez Barjacoba – lo spettacolo continua quel discorso ‘(Loving kills)’ sull’amore iniziato con ‘L’amore ist nicht une chose für everybody’ di Simon Waldvogel, qui assistente alla regia con Francesca Sproccati.

Fumo e luci delicatissime, al limite del buio, accolgono lo spettatore immergendolo immediatamente in una dimensione onirica dalla quale a fatica riuscirà a districarsi a fine spettacolo. Un invito a un viaggio senza parole in quella selva oscura nella quale tanto è facile smarrire la via che, a differenza di Dante, non rappresenta però la vita stessa ma l’amore tout court. La poesia in ‘Kiss!’ non è data dalle parole, ma dai corpi che abitano lo spazio. I versi poetici sono sostituiti da movimenti, assenze e presenze, unioni e distacchi. Il ritmo è sottolineato da luci e suoni, che sono musica ma anche sospiri. E così, figure retoriche come per esempio la sincope, l’ellissi, l’alliterazione e l’anafora prendono vita misteriosamente nel silenzio della scena attraverso l’intrecciarsi di corpi, la ripetizione di un accenno di danza, la fuga e l’attrazione. Un poema silenzioso quindi, se così si può definire questa coraggiosa messa in scena (lo spettacolo dura 50 minuti), che prendendo avvio da un bacio va a esplorare l’impossibilità insita in ciascuno di noi nel descrivere l’amore. Un lavoro molto intimo ma che si fa qui quasi universale e che catturando l’attenzione accompagna lo spettatore all’incontro con la molteplicità di figure che ci abitano e che idealmente abitano l’altro. Sì, c’è da perdersi in questo bacio, ma c’è anche da ritrovarsi, e la sua bellezza sta proprio in quest’assenza di definizione, che lascia liberi da qualsiasi struttura o messaggio.

Sono immagini curate quelle che lo spettacolo restituisce, precise nella loro fluidità, e immediate. Una casa che si muove, scivola, che ospita e allontana i corpi dei bravi performer, un palco che ha un che di cinematografico anche (a tratti complice la lingua francese, richiama la nouvelle vague), tra luci e ombre ma attento ai dettagli.

Tornare a teatro così è poter riaccedere a quell’universo poetico immediato e immersivo che tanto ci era mancato nei mesi passati, senza l’obbligato tramite di uno schermo. Ma non solo, quasi un silenzioso rito che sottolinea come spesso le parole siano inutili.

Un ultima nota dolente: peccato che a vedere Kiss! ci fossero - come da disposizioni sanitarie - solo cinquanta persone; ancora più peccato è tornare a teatro e scorgere tra il pubblico sempre gli stessi fedeli spettatori (spesso essi stessi protagonisti della scena locale). Proprio in virtù delle difficoltà che il settore ha dovuto attraversare nell’ultimo anno, a suo simbolico sostegno, si sarebbe auspicata la presenza di qualche rappresentante della politica culturale.

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