Spettacoli

Il mio nome è Greta Thunberg

In sala 'I am Greta', ritratto di un'eroina suo malgrado, film che non cambierà il mondo ma fondamentale (per tutto il resto c'è 'Unposted' di Chiara Ferragni).

Greta Thunberg (Keystone)
24 ottobre 2020
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Se sei un’attivista convinta e non prendi gli aerei per via dell’impatto ambientale dei voli e l’Onu t'invita a New York a parlare davanti ai grandi della terra, attraversare l’Atlantico in barca a vela è scelta magari bizzarra, decisamente bizzarra, ma coerente. ‘I am Greta’, il documentario di Nathan Grossman su Greta Thunberg nei cinema ticinesi da oggi, ha il suo prologo qui, nella traversata a impatto zero del settembre 2019, e qui torna alla fine della storia. In mezzo, un ritratto discreto e non prevaricante – rispettoso del sogno ecologista – della quotidianità della giovane svedese a partire dal giorno esatto in cui nasce il fenomeno Greta, lei di spalle al Parlamento una mattina del 2018 a Stoccolma: “Mi chiamo Greta, ho quindici anni e sciopererò qui fino alle elezioni”. Una passante le chiede se si stiano fermando in tanti e lei risponde: “Per ora tre”. Dopo un anno, a scendere in piazza saranno sette milioni di persone in un giorno, il più grande sciopero in favore dell’ambiente mai tenutosi nella storia di questo malandato e nemmeno troppo tondo pianeta. Un raduno da far sembrare Woodstock un concerto di liscio, e dall'età media decisamente inferiore.

’Non direi che ne soffro, ce l’ho e basta’

Presentato fuori concorso a Venezia 77 lo scorso 3 settembre, atteso on demand su Hulu per il prossimo 13 novembre, il documentario di Grossman ritrae Greta Thunberg mentre silenziosa, riflessiva, isolata, in buffe e liberatorie danze solitarie o abbracciata ai suoi animali, coltiva il suo progetto in modo maniacale; e allo stesso tempo, fuori campo come in un’estensione dei suoi diari, Greta parla in prima persona dell’emergenza climatica, parla di sé, del suo bisogno di routine, del mutismo selettivo, del rifiuto del cibo e dei trascorsi d'infanzia di norma riservati ai ‘weirdo’, i non invitati alle feste di compleanno perché non convenzionali (loro, non le feste) che poi fanno la storia (quelli come Forrest Gump, Giacomo Leopardi, Janis Joplin e tutti i nerd che ci hanno salvato dalla noia esistenziale).

Quando non è Greta a parlare della Sindrome di Asperger – “Non direi che ne soffro, ce l’ho e basta”, risponde al giornalista Corrado Formigli nel mezzo di un’intervista poi trasmessa da La7 – è il padre Svante a raccontare della memoria fotografica della figlia, della bulimia da informazioni 'climatiche', e di tutta l'attenzione che deve esserle dedicata. Durante i viaggi per l'Europa e per il mondo, è lui – che per alcuni ha la colpa grave di potersi permettere di non lavorare il tempo necessario per accompagnarla – che le ricorda di alimentarsi, di chiudere il MacBook Air sul quale prepara i suoi discorsi (da sola) e di riposarsi. È lui che la supporta, ma non decide per lei.


Verso Katowice

Le toilette del mondo secondo Junker

Greta non è solo la ragazzetta col broncio. Si spende in sorrisi nell’incontro di Parigi con Emmanuel Macron, ancor più nel convegno durante il quale il lussemburghese Jean-Claude Junker, ex-presidente dell’Unione Europea, propone di salvare il pianeta regolando gli scarichi delle toilette di tutto il mondo. “Non so nemmeno perché mi abbiano invitata, forse per mettersi in mostra”, commenta tra sé e sé la ragazzina, conclusione alla quale arrivano di norma tutti i ragazzini svegli, quelli meno svegli un po’ dopo. Ma ci arrivano. Qua e là nel documentario, a schernire la giovane, ci sono anche Trump, Bolsonaro, Putin e tutto il negazionismo alternato alle immagini del pianeta che ansima. 

Greta è anche la teenager che nel giardino di casa, tra i suoi amati cani, apprende di essere un “tesoro mediatico con l’Asperger”, una che “il copione glielo scrive la mamma”, Greta “depressa, ansiosa e infelice”, Greta “stronzetta, egoista e moralista”. E si fa una risata. Poi, buia, racconta le minacce di morte estese alla famiglia tutta, forse anche ai suoi cani, ai pranzi vegani, alla cuffia e alla sciarpa che non sono nuovi e al suo cartello scritto a mano.


Quotidianità

’Lunedì nessuno saprà più chi sei’

A chi non è mai stata simpatica la ragazzetta col broncio, quella che “Io dovrei essere a scuola”, quella che “Avete rubato i miei sogni e la mia infanzia”, quella che “Come osate?”, gridato in faccia agl'incravattati delle Nazioni Unite in un discorso che ha fatto storia, non starà simpatica nemmeno dopo questo ritratto onesto, chiarificatore, intimo quanto basta, generoso nel senso di ‘non palloso’, che ritrae i giorni di fuoco e quelli di pace di un’eroina suo malgrado, più bronci che sorrisi per scelte non sue e nemmeno dei suoi genitori, costretta da un impulso-passione-ossessione a fare molto di più di quel che non le va di fare – mangiare alla mensa della scuola insieme ad altre persone, per esempio – ovvero calarsi tra ali di folla che gridano il suo nome e che pretendono il massimo del contatto fisico. “Tirate fuori i vostri telefonini e condividete!”, postava Greta nei giorni del COP24 di Katowice, quando chiamata dalla politica a parlare alla politica, all’ennesimo selfie, diceva senza broncio al padre: “Ma ci sono i paparazzi!”. E il padre: “Stai tranquilla. Arriverà lunedì e nessuno saprà più chi sei”.

A Katowice, ‘bigiando’ la scuola e parlando alle facce smarrite di chi sembra sopportare una serie di ovvietà, riferendosi ai suoi coetanei Greta dice “Immaginate cosa potremmo fare tutti insieme, se solo lo volessimo veramente”. Ecco, ‘I am Greta’ non ha particolari pretese storiche o stilistiche, è bello ed è forte come quella frase, è semplice perché è un documentario. Un documentario che probabilmente non cambierà il mondo, ma che però potrebbe cambiare noi e i nostri figli. E non è poco. Per tutto il resto, c’è ‘Unposted’ di Chiara Ferragni.


'Immaginate cosa potremmo fare tutti insieme, se solo lo volessimo veramente' (Keystone)

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