Spettacoli

Éric Rohmer: come innamorarsi di un ginocchio

Cent’anni fa nasceva il regista francese, protagonista della Nouvelle vague e autore dei ʻSei racconti moraliʼ

Il regista Eric Rohmer nel 1981 (Keystone)
21 giugno 2020
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La ricorrenza è un rituale simbolico che istituisce, e restituisce, l’attualità del passato, e che rinsalda l’idea della continuità, della linearità del tempo, di un presente compreso a partire dal passato (ma è vero anche l’opposto). La ricorrenza ci ricorda anche come, nonostante tutto – fra crisi e trasformazioni personali e collettive –, the wheel keeps turning, il mondo continua a girare. Forse allora, in un periodo fragile e delicato come il nostro, certe ricorrenze ci aiutano a compiere quelle saldature storiche che ci permettono di riappropriarci di alcune esperienze mai veramente passate, per guardare avanti con rinnovata fiducia. Fra possibili personaggi, fatti e eventi da riesumare, figura anche il regista francese Eric Rohmer, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita, e i dieci anni dalla morte. Rohmer fu uno dei protagonisti (assieme a Jean-Luc Gorard, Claude Chabrol, François Truffaut, Jacques Rivette, Agnes Varda e altri) della Nouvelle vague, un movimento cinematografico e artistico che rinnovò profondamente il cinema moderno.

Un ginocchio davvero speciale

Ricordo ancora quando in centro a Milano, qualche anno fa, in una di quelle grandi librerie fornite di una sezione dedicata al cinema, un amico mostrandomi un DVD mi parlò per la prima volta di un film dal titolo ʻIl ginocchio di Claireʼ. La trama, ridotta all’osso, è molto semplice. Il protagonista, un uomo di poco oltre la trentina, si innamora perdutamente del ginocchio di una giovane di nome Claire. A dispetto di quelle poche informazioni telegrafiche, quel titolo, e quella trama, mi parvero subito anche fin troppo eloquenti e suggestivi. La mia curiosità era tale che ero ormai certo che non me ne sarei andato da quella libreria senza portarmi appresso quel DVD. Non avevo scelta, l’acquisto era praticamente ineluttabile, e il piacere anticipatorio della visione di quel film (o di quel ginocchio?) era irreversibile. L’idea che un film potesse gravitare attorno a un ginocchio, poi, mi pareva già un risultato estetico in sé, un traguardo artistico raggiunto a prescindere.

Ma facciamo un passo indietro: ʻIl ginocchio di Claireʼ è un film del 1970 scritto e diretto dal regista francese Éric Rohmer, nonché il quinto tassello di un ciclo intitolato ʻSei racconti moraliʼ. Per chi si avvicina a questi film per la prima volta, è utile precisare che l’aggettivo “morale” non va inteso nel senso restrittivo di “moralista” o “moraleggiante”. Come chiarisce lo stesso Rohmer in un’intervista pubblicata su ʻFilm Quarterlyʼ nel 1971: “Un ‘moraliste’ è qualcuno che è interessato alla descrizione di ciò che accade dentro l’essere umano. Si occupa di stati mentali e di sentimenti. Così nei ʻRacconti moraliʼ non significa che c’è una morale, anche se comunque dovrebbe essercene una e tutti i personaggi in questi film agiscono in accordo con alcune idee morali che vengono enucleate piuttosto chiaramente. Non sono film d’azione, non sono film in cui ha luogo un’azione fisica, non sono film in cui accade qualcosa di molto drammatico; sono film in cui un sentimento particolare viene analizzato e in cui i protagonisti stessi analizzano i loro sentimenti”.

I ʻSei racconti moraliʼ, precisa il regista, non appartengono al genere del film d’azione. Ciononostante, in ciascuno di essi si verificano pur sempre dei cambiamenti significativi. In ʻLa collezionistaʼ (1967) per esempio, che è il quarto racconto (sebbene cronologicamente preceda il terzo racconto, ʻLa mia notte con Maudʼ, che è del 1969), Adrien, giovane antiquario, si trasferisce in una villa nei pressi di Saint-Tropez per trascorrervi l’estate. Il suo intento è chiaro: non fare nulla, vivere in modo ascetico quelle settimane. In quella casa rivede un amico pittore con cui ritrova subito una certa sintonia, ma deve anche fare i conti con una seconda ospite, Haydée. La giovane, che regolarmente rientra a tarda notte accompagnata dalle sue recenti conquiste, non manca certo di farsi notare da Adrien che, seppur infastidito, inizia a frequentarla; dapprima quasi controvoglia, in maniera distaccata, poi sempre più assiduamente, subendone vieppiù il fascino.

Fra opposizioni e seduzioni

L’incontro fra un giovane protagonista e una presenza femminile, e le dinamiche sentimentali e affettive che ne risultano, costituiscono il perno attorno a cui ruota ciascuno dei ʻSei racconti moraliʼ. Di riflesso, la tensione narrativa che ne deriva è direttamente riconducibile alla relazione che coinvolge i protagonisti. E se i ruoli di genere sono spesso declinati in modo convenzionale, è interessante notare come sia il personaggio femminile a condurre il gioco, e quello maschile a rendersi disponibile e malleabile all’azione. Nella loro schiettezza sbarazzina, le figure femminili si mostrano quasi incuranti del fatto che la loro presenza, e il loro agire, ridefiniscono i contorni del mondo interiore di un protagonista che, sulle prime, sembra sempre pieno di buoni propositi; ma che poi, in definitiva, finisce per stare al gioco mettendo in evidenza un’affettività che, per prendere in prestito un termine di Zygmunt Bauman, potremmo definire liquida ante litteram. Mettendo in scena donne tutte d’un pezzo e uomini malleabili, i ʻSei racconti moraliʼ rivelano un teatro di opposizioni (fra uomo/donna, malleabile/solida, volubile/risoluta) in perfetto stile strutturalista.

Ma era poi così sicuro Rohmer che i ʻSei racconti moraliʼ “non sono film d’azione”? Certo, poi subito puntualizzava che nei sei film non c’è molta “azione fisica”, ma la domanda rimane comunque. Non ci può essere azione nei sentimenti, negli stati d’animo, nei paesaggi mentali, nell’introspezione? E che dire dell’immagine in movimento, delle scene e delle inquadrature che si susseguono? Non sono forse, questi movimenti, l’essenza stessa dell’azione cinematografica, la grande lezione del cinema?

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