In modalità ‘home recording’, mai così ‘home’, dalle rispettive abitazioni per un nuovo singolo, 'Kursk', come il sottomarino. Correva l’anno Duemila…

Il localizzatore, sul canale YouTube, localizza The Vad Vuc nel Mare di Barents, a nord della Russia, dove alle 11.30 del 12 agosto dell’anno Duemila, anno di fondazione della band ticinese, due esplosioni verificatesi durante un’esercitazione militare affondarono il K-141 Kursk, sottomarino russo a propulsione nucleare della Flotta del Nord. “Qui è troppo buio per scrivere, ma ci proverò a tentoni” fu l’ultimo pensiero dell’ufficiale Dimitry Kolesnikov, scritto a cento e più metri sotto il mare. “A quanto pare non ci sono possibilità di salvarsi. Speriamo che almeno qualcuno leggerà queste parole. Qui ci sono gli elenchi degli effettivi che adesso si trovano nella nona sezione e tenteranno di uscire. Saluto tutti, non dovete disperarvi”. Due giorni di sovietico silenzio da parte del governo russo e il ritardo per il rifiuto di accettare aiuto straniero. La conclusione della vicenda il 21 agosto: “Nessun superstite” annuncia la marina militare. Quasi vent’anni esatti più tardi, quella storia rivive con più attuali annessi e connessi nell’ultimo singolo di The Vad Vuc, attualmente nel Mare di Barents di cui sopra, ma solo grazie alle magie ‘dell’internet’.

«È dal 2016 che proviamo a scrivere questa canzone» racconta Cerno, all’anagrafe Michele Carobbio, frontman della band ticinese. «L’idea viene da Brega, quello che ci tiene in riga». Qualche tentativo, stando attenti a non cadere nella retorica – «Per storie così brutte è un attimo» – e una prima bozza «musicalmente valida» datata gennaio 2020, «realizzata insieme ad Albi (il violinista, ndr). Tutto ha preso velocità con l’arrivo del coronavirus». A qualche settimana da ‘Holloway Boulevard’, cover dei Popes di Shane MacGowan in lingua irish-ticinese, ‘Kursk’ è la seconda produzione ‘home recording’. Mai così ‘home’. Nello specifico: «Il nostro batterista, a casa senza una batteria, ha simulato suoni metallici picchiando un cucchiaio su di una mannaia, una forchetta sul tubo di un aspirapolvere, i coperchi delle padelle e una spazzola su di una grattugia». E così il bassista senza basso in casa, che ha suonato «un set minimo di batteria, registrata con un iPhone». Al basso, usando le tastiere, il tastierista. E alle tastiere, il Mago, solitamente fisarmonicista».
“Preghiamo che un Dio ci riporti in superficie” è il centro del testo di ‘Kursk’, applicabile tanto al sottomarino quanto alla nave alla deriva per coronavirus che, lentamente, sembra permetterci di rientrare tutti in porto. Compreso Cerno, uno abituato a tornare in superficie. Nel 2017, nella splendida ‘A volte capita’, ci forniva la cronaca di un primo stop impostogli da seri problemi di salute. Risolti. A suo modo, anche ‘Kursk’, capovolgendo la verità storica, rappresenta un ritorno alla vita. «Sono guarito dal coronavirus. È stato impegnativo, anche questa volta, ma sono stato fortunato, perché mai sfociato in polomonite. Sì, ho avuto paura. In quei tre giorni in cui facevo fatica a respirare mi vedevo già in ambulanza e ricoverato. Poi la situazione è migliorata e il morale ha fatto il resto».
Tornato alla normalità, Cerno può anche fare un bilancio della musica. E dei concerti saltati. «Avevamo preparato un doppio live per i vent’anni di carriera, preparandoci come non mai. Ci sarebbero stati tutti i Vad Vuc, anche gli ex, con momenti in formazione a sedici. Poi è arrivato quello che è arrivato…». Gli inediti previsti dal vivo – altri tre oltre a ‘Holloway Boulevard’ e ‘Kursk’ – ora sono oggetto di registrazioni. «Non so cosa salterà fuori, ma è una situazione molto interessante. L’emergenza ci ha fatto scoprire mondi sonori che non avremmo esplorato».

Nuova musica è forse quel meglio che si vuole produrrà questa crisi. Fermandoci alla musica. Perché si dice che ne usciremo più forti di prima. Ma saremo davvero migliori quando tutto sarà finito, Cerno? «Musicalmente magari sì. Sono molto felice di ‘Kursk’, sono convinto che se l’avessimo registrata in uno studio non avrebbe avuto questo sound, che si deve all’esigenza. Umanamente, invece, ho una visione gucciniana». Recuperando l’originale: “È nella natura umana il dimenticarsi presto delle tragedie passate per riprendere la vita di sempre”, disse il maestrone alla radio tempo fa. «Qualche apertura mentale questo virus ce l’ha portata» conclude il frontman. «Ognuno ha dovuto reinventarsi. Noi, per esempio, abbiamo riscoperto le potenzialità di affarini come i telefonini dai quali mai avrei pensato di tirar fuori una qualità simile. Poi, da qui a dire che sarà un mondo migliore… Io non ho una fiducia proprio cieca nell’essere umano. Il giardinetto di ognuno, temo, continuerà a contare…».