Ognuno a casa sua

'One World together at Home', la musica appesa a un filo

Grazie all'invenzione del modem, cantano per medici e infermieri in prima linea. Parafrasando il poeta: è tutta musica leggera, e per fortuna la possiamo guardare

The Rolling Stones: Mick, Keith, Ronnie e Charlie che fa finta di suonare (YouTube)
19 aprile 2020
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Edizione speciale della nostra rubrica. Scriviamo della maratona social-televisiva messa in piedi da Lady Gaga “per tutti coloro che rischiano la propria vita per garantire la nostra” (cit. Lady Gaga. Ma anche cit. Marco Zappa)

Ce ne faremo una ragione. Faremo carezze ai nostri modem, surriscaldati perché siamo tutti appesi a un filo, non soltanto per questioni di precarietà. Questo è, nell'immediato, il formato della musica che dobbiamo attenderci per ritrovarci un giorno tutti insieme. Quello di ‘One World together at Home’, otto ore di maratona social-televisiva andata in onda nella notte tra sabato e domenica, permettendoci di cantare tutti insieme ‘Stand by me’, ma sempre ‘Ognuno a casa sua’, citando il nome di questa rubrica. Cantare in coro con qualcuno, per il momento, può accadere solo se abbiamo la fortuna di avercelo in casa, quel qualcuno, visto che i raduni di folla sono diventati fantascienza e in questo Cantone non se vedranno almeno sino al 31 luglio, data dopo la quale non saranno comunque bagni di folla (forse bagnetti, o pozzanghere). Ma il concertone del weekend, che non poteva essere un live come già i precedenti, ce lo facciamo bastare anche a spizzichi e bocconi preregistrati, perché pur nella freddezza di un tempo non reale, ‘One World together at Home’ è stato comunque “big stuff”, per dirla con gli anglofoni (che “tanta roba” non si può più sentire).

Più che un concertone, “una lettera d’amore”. Parole di Lady Gaga che ha tenuto insieme il tutto e, prima del gran finale, ha cantato ‘Smile’, un po’ di Chaplin (l’autore) un po’ Nat King Cole. Una lettera d’amore “per tutti coloro che rischiano la propria vita per garantire la nostra” (in verità, prima di Lady Gaga questa frase l’aveva detta Marco Zappa); medici e infermieri in primis, proprio perché davanti. E a seguire tutti gli altri, più o meno nell’ombra, a concederci la nostra quotidiana forma di normalità. La star di 'A star was born', a evento concluso, ha annunciato che la collaborazione con Global Ciziten, organizzazione che vorrebbe sconfiggere la fame nel mondo entro il 2030, ha fruttato 35 milioni di dollari da destinarsi all'Organizzazione Mondiale della Sanità, a tamponare i tagli imposti da Donald Trump.

Voyeurismo buono/sana curiosità

Gli interventi in video di medici, infermieri, associazioni, realtà lavorative e tutto il resto da tutto il resto del mondo che si muove sul fronte della lotta contro il nuovo male si sono alternati tra i contributi di stelle e stelline del pop collegate dai diversi angoli di casa propria, una modalità che da tempo alimenta un certo voyeurismo casalingo, o sana curiosità, su dove mai vivano le stelle della musica, che gusto abbiano nell'arredare i propri spazi e tutto il farsi gli affari degli altri nel modo rispettoso del farseli. Per scoprire che Jennifer Lopez ha un giardino da sogno (canta ‘People’ della Streisand di Broadway, tra lucine e un po’ di autotune), che Sheryl Crow ha una collezione di chitarre da fare invidia a Eric Clapton (qualcuna sarà anche di Eric, visto che hanno convissuto) e in uno studio che ospita un manifesto del ‘Fried Chicken’ (pollo fritto) canta ‘I shall believe’ al pianoforte e ‘Everyday is a winding road’ imbracciando una Gibson. Sempre per la categoria ‘Recording Studio’, anche se quello di Zucchero pare per metà un salotto, il Fornaciari canta al pianoforte ‘Everyboy’s gotta learn something’, versione originale di ‘Indaco dagli occhi del cielo’, in una stanza in cui i cd occupano ogni ripiano, basta che sia orizzontale.

Per la categoria ‘Salotti (o quelli che paiono tali)’, siamo entrati in quello di Paul McCartney, seduto a un vecchio piano Rhodes per eseguire ‘Lady Madonna’, dopo avere ricordato la madre infermiera ai tempi della Seconda guerra mondiale. Per la categoria ‘Camere da letto’, invece, quella di Charlie Puth che vicino al letto ci tiene un pianoforte verticale (il letto è ancora da rifare, non perché si è in mondovisione uno deve per forza cambiare le sue abitudini). Per la categoria ‘Outdoors’, i Beckham introducono Elton John, che al nero pianoforte messo nel giardino di casa intona tra i palloni da basket il suo invito a non mollare, dedicato a tutti gli esempi di «preparazione, amore e umanità» che stanno lì fuori. E a 73 anni si produce, con qualche affanno, nell’incalzante filo-Motown-song ‘I’m still standing’ (‘Sono ancora in piedi’, una dichiarazione di resilienza).

Live from balcone

‘One World’ non è concetto scelto a caso. Sfilano da tutto il mondo i non popolarissimi (a queste latitudini) Lisa Mishra dall’India che canta una cosa «super-romantic», l’altrettanto romantico Jacky Cheung dalla Cina e il collega a mandorla Eason Chan. Poi Angèle dal Belgio, sola e circondata di elettronica, la boyband sudcoreana Superm e Al Jassmi, seduto al pianoforte dagli Emirati Arabi. Ma ci sono anche i più noti Juanes e Maluma dalla Colombia. Gli inserti tra le performance includono anche un tributo a Spagna e Italia, in un ‘Best of’ della musica dai balconi che va dal Massachussets a Madrid, da Windsor a Roma, col soprano che intona arie d’opera, dal dj che anima un complesso residenziale ad Atlanta alla polizia che canta e balla in una strada di Mallorca. In questo condividere musica, tutto è bello. Anche il tormentone ‘Despacito’ cantato da Luis Fonsi con band acustica e rispettosa delle “norme igieniche accresciute e di distanza sociale” (cit.).

I sopravvissuti (chi meglio di loro)

António Guterres, il portoghese segretario generale delle Nazioni Unite (ma non troppo), invita a un cessate il fuoco per combattere l’unico nemico che ci riguarda tutti, il coronavirus. Ricorda come con il «linguaggio universale della musica» celebra i salvatori di vite. Quali migliori parole per introdurre quattro sopravvissuti a ogni tipo di supefacente, i Rolling Stones ‘ognuno a casa sua’: quattro riquadri neri con scritto ‘Keith Cam’, ‘Ronnie Cam’, ‘Charlie Cam’, ‘Mick Cam’; «Siete pronti?», chiede Jagger al resto della band, in un angolo di casa tra due tende che paiono un sipario, due dipinti che varranno una fortuna e un amplificatore che sembra un Marshall; parte ‘You can’t always get what you want’ e appaiono, nell’ordine, Keith Richards sul divano con una innocua birretta, Ron Wood da un soppalco con palme e un’elettrica e il capolavoro della serata: Charlie Watts in una stanza piena di vinili che finge di percuotere contenitori vuoti, perché la batteria è pre-registrata. Watts, lo si capisce dalla faccia, se la spassa più di tutti gli altri.

Tra i più morigerati si registrano un po’ di Queen nella persona di Adam Lambert, il dopo-Mercury; Billy Ray Cyrus, il papà di Miley, che canta ‘Sunshine girl’, per tutti gli infermieri che illuminano il giorno; Eddie Vedder (Pearl Jam) che canta ‘River cross’ seduto davanti a un vecchio harmonium, John Legend e Sam Smith in ‘Stand by me’, Keith Urban, stella del country e marito di Nicole Kidman (che alla fine della canzone viene a dire ‘Ciao’), digitalmente triplicato per cantare ‘Higher love’ di Steve Winwood. E Billie Eilish sempre con look da puzzola (i capelli gialli e neri) che canta ‘Sunny’, capolavoro di Bobby Hebb.

Beyoncé: 'Nella mia Houston il virus uccide gli afro-americani in percentuale preoccupante'

A ringraziare e a raccomandare comportamenti igienicamente virtuosi c’è anche un po’ di Hollywood: Pierce Brosnan dalle Hawaii, Mattew McConaughey da casa sua, certi (gli ultimi due) che ne usciremo meglio di prima (?). C’è anche il grazie di Melinda e Bill Gates, ottimista che un vaccino salterà fuori presto; il grazie congiunto di Laura Bush e Michelle Obama, e Oprah Winfrey che citando Nelson Mandela – "Il coraggio non è l'assenza di paura, ma il trionfo su di essa" – ha un pensiero per la popolazione di colore del Sud Africa, posti di fronte all'ennesima prova. Nel generale equilibrio, è la sola Beyoncé a osare: “I neri americani appartengono a quella forza lavoro che non ha il lusso di poter lavorare casa – recita in una dichiarazione che, abilmente piazzata sopra la musica, diventa una performance – e le comunità afro-americane sono state colpite in modo particolare da questa crisi. Queste sono condizioni preesistenti e rappresentano un rischio altissimo”. Cita Houston, Beyoncé, la sua città, dove “il 57% dei decessi sono di afro-americani, una percentuale preoccupante”.

Quanto al resto, citiamo il nostro meglio, sbilanciandoci: il gran finale, Lang Lang al pianoforte ad accompagnare Céline Dion, Lady Gaga, John Legend e Andrea Bocelli in ‘The prayer’; Stevie Wonder che ricorda Bill Withers e la sua ‘Lean on me’; Renaud Capuçon e la ‘Temporary Orchestra’ (con dentro Yo-Yo Ma al violoncello), uniti dal metronomo da Berlino alla Florida (e altrove) nel ‘Carnaval des animaux’ di Camille Saint-Saëns; Annie Lennox che adesso è la voce più originale al mondo ma solo perché Aretha Franklin si è voluta risparmiare tutto questo casino, e canta ‘Into the west’ e (non a caso) ‘There must be an angel’, a distanza con la figlia Lola, che dalla madre ha ereditato l’arte del canto.

E infine, affidandosi all’Altissimo, Jennifer Hudson & friends nell’immancabile ‘Hallelujah’ di Cohen, Hozier con ‘Take me to church’ per soli piano e voce, e quell’intonato di Michael Bublé in ‘God only knows’, un inno all’amore che l’Unesco dovrebbe tutelare scritto da Brian Wilson dei Beach Boys, dal titolo che vale anche per chi, per questa catastrofe, si sta chiedendo God dove diavolo sia.

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