Prodotto in California, dove l’artista vive, esce oggi ‘Soul Train’, omaggio a un pezzo di storia della tv americana. 'Ma tornare qui è una cromoterapia'.

Non chiamatela fuga di cervelli. Di ugole, semmai. Anche se è tutto tranne che una fuga quella di Iris Moné, artista tanto duttile da inserirsi nel cantautorato di Marco Zappa e Van de Sfroos, farsi un giro sulle assi di Montreux Festival, Blues To Bop Lugano, Expo Milano e Jazz Ascona, reggendo la botta mediatica di ‘The Voice of Switzerland’, terza nel 2013 con ‘The Lie’. In mezzo a tutto, la scrittura, in lingua italiana per l’album ‘Rinasco’ (2011), in lingua inglese anche per l’ultimo progetto, il cui singolo è in uscita oggi, a riassumere quattro anni di vita californiana durante i quali la ticinese ha studiato, cantato (anche l’inno nazionale al Petco Park di San Diego, mica bruscolini), fino a scoprire una sua anima soul spiegata in ‘Soul Train’ (come la storica trasmissione tv, vedi sotto), una dichiarazione, più che una canzone.
«Andando a recuperare la storia del soul – racconta Iris alla ‘Regione’ – ho capito quanto è importante quel programma, per noi europei che non ci siamo cresciuti. Per un certo periodo, il mio pezzo si è chiamato ‘Soul Plane’, ma alla fine ho pensato che l’omaggio potesse starci, il ‘treno del soul’ è una specie di invito a viaggiare con me e con quello che di nuovo arriverà». Che, nello specifico, è rappresentato da altri tre brani da liberare da qui a dicembre, sempre con ‘l’anima’ davanti: «È una cosa in cui ho messo attenzione e cura, ci tenevo fosse rispettosa verso il genere che voglio omaggiare, che è il soul anni 60-70, condito con suoni moderni e reinterpretato da me».
A rendere ancor più credibile la solida ‘Soul Train’, che di quell’happening televisivo ha gli stessi colori, ci sono l'attore Ron Christopher Jones che cita Don Cornelius (ideatore e presentatore della trasmissione), Nick Costa alla chitarra e Peter Arcidiacono al sassofono, con Iris anche nei concerti dal vivo. Grazie a un ponte digitale sull’oceano, il brano è stato scritto insieme al ticinese Lorenzo Soldini e, relativamente al testo, supervisionato da Lilly Martin, già vocal coach di Moné a ‘The Voice’. A produrre il tutto, Morgan McRae e Darren Goldberg.
Una svizzera che canta con gli americani. Un’accettazione che vale più che altrove, se si sceglie di suonare la musica di quelli del posto. «Ci vuole un po’ di incoscienza, mista a sfacciataggine» dice Iris, che però si è rimboccata le maniche e ha studiato; e quando ha studiato si è chiesta «cosa tenere e cosa cambiare di tutto quello che avevo appreso». In una città in cui oggi «i bianchi fanno blues e la gente di colore fa country, la libertà è molto più forte che in passato».
A proposito. La domanda più generale, a metà tra curiosità e spudorata invidia: com’è la vita da quelle parti? «È molto diversa, ovviamente, ma soprattutto perché l’ambiente è diverso, la cultura è diversa, la temperatura e il clima sono diversi. Qui è un po’ estate tutto l’anno, soprattutto di giorno, e questa cosa è bella da una parte per una come me alla quale il freddo non piace, dall’altra è molto asciutto, la forte siccità degli ultimi dieci anni ha fatto il suo. E quando torno qui e vedo tutto rigoglioso e verde è come una cromoterapia, anche solo vedere le montagne».
La definizione giusta è forse «quella di turista, perché quando passano gli anni rivedi questi posti da altre angolazioni. Diciamo che sto riapprezzando il Ticino con gli occhi di chi arriva da fuori, senza il quotidiano che a volte ce lo fa dare per scontato. Iris torna ad intervalli più o meno regolari, concentrata più che in passato sulla scrittura e sull’aspetto produttivo, che di norma ha tempi più lunghi della creatività. «Ora che ho qualcosa di concreto in mano, l’idea è di tornare in Europa più spesso, e girare di più». Il live a New York lo scorso anno, nello storico ‘The Bitter End’ per presentare i nuovi brani in versione acustica, è diventato una serie di date in Centro America, Costa Rica, Panama, in attesa che si definisca un progetto tutto americano (con ingredienti ticinesi) del quale poco si sa e si riesce a sapere. Nemmeno chiedendolo in inglese... (www.irismone.com).
Ispirato da ‘American Bandstand’, programma televisivo musicale americano del 1952 cui si deve una formula che si ritroverà fino al britannico ‘Top of the Pops’, ‘Soul Train’ esordisce nell’agosto del 1970 (per consacrarsi l’anno dopo) in un momento di tensione sociale in cui la gente di colore appariva sul piccolo schermo per motivi più legati alla guerriglia urbana che non alla musica. L’idea di uno show ‘all black’ si deve a Don Cornelius, trentaquattrenne di colore che convinse un’emittente di Chicago della bontà del progetto non prima di essersi assicurato il supporto finanziario di Sears, una catena di grandi magazzini. Ma il salto si deve all’interesse della Johnson Products Company, che notato il successo lampo della trasmissione si unì in forma di co-sponsor ai primi, trasformando una proposta locale in una ‘broadcast syndication’, una modalità grazie alla quale il programma veniva rilanciato da più stazioni televisive e radio senza necessariamente appoggiarsi a un network centralizzato.
La Johnson Products Company ci aveva visto lungo: essendo produttrice della linea per capelli ‘Afro Sheen’, che modellava le chiome a cespuglio dei giovani di colore del tempo, lacche, shampoo e balsamo trovavano così il loro momento di massima esposizione in quel contenitore di cinquanta minuti pieno zeppo di R&B, soul, funk, disco e chi più ne ha più ne suoni, durante i quali i passi dei ballerini neri (non pagati) venivano replicati dai bianchi il giorno dopo, mettendo un mattoncino sulla via dell’integrazione.