Spettacoli

Impollinati dai Bumblebees

L’11 maggio a Lugano presentano il primo album ‘Dancing dots in the dark’. Presi assai bene dalle armonie del singolo ‘Dream forever’, li abbiamo incontrati.

'We're gonna dream forever'
9 maggio 2019
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Ha ragione Rocco Tanica: le sedie di XFactor sono montate al contrario. Per questo, ascoltando la pregevole tessitura armonica della loro ‘Dream forever’, già entro i primi 30 secondi viene da schiacciare il pulsante rosso per vedere che faccia abbiano i Bumblebees, band zurighese per residenza e studi universitari, ticinese per origine, britannico-statunitense per forma, lingua e contenuti musicali. Il prossimo 17 maggio – garantisce la svizzera Radicalis, la label di Andrea Bignasca, per intenderci – uscirà il loro primo album dal bilanciatissimo suono tastieroso (da quando esiste “petaloso”, si può scrivere tutto). La moderna classificazione annovera i Bumblebees nello psychedelic pop, ma meglio sarebbe dream pop, in nome dei Cocteau Twins di ‘Carolyn’s Fingers’ (anche spot della Honda Civic), che a dirla tutta sono scozzesi.

Strumentali e cose da sei minuti

Lo slogan di Bumblebees è “vogliamo impollinarvi con la nostra musica”. E visto che “impollinarvi” è più rassicurante di “impallinarvi”, abbiamo chiamato senza timore Zurigo per parlare con Andrea Piffaretti, bassista di un quintetto che include Valentin Kopp (batteria e voci), Francesco Fabris (tastiere e voci), Nicolò Tamà (chitarra) ed Emanuel Kopp (chitarra e voci). «Sì, è un po’ la nostra missione quella di trasportare, in questo viaggio un po’ siderale. La chiamerei propagazione», spiega Andrea.

Per gli inglesi, i bumblebees sono i bombi, «insetti impollinatori molto pacifici, ma immagino che se li stuzzichi reagiscono come i calabroni». ‘Dancing dots in the dark’ (Punti danzanti nell’oscurità) è album che ha la libertà delle opere prime; libertà che è anche quella di includere pregevoli strumentali senza mezza parola (‘Lullaby for a waning moon’) e cose da sei minuti come ‘River flow’, con lunga coda strumentale che scorre come il fiume nel quale ritrovare sé stessi. Sei minuti: chi vi credete di essere, i Queen? «La musica ha bisogno del suo tempo – risponde il bassista sorridendo –, ha necessità di svilupparsi con calma. Di base, cerchiamo di non fare cose lunghissime. Ogni tanto però ce le concediamo, anche perché nel genere in cui navighiamo, brani in parte o tutti strumentali non sono malvisti. Anzi, a volte non c’è necessità di parole».

Fino a che i punti diventano linee

L’album è autoprodotto, nel senso anche artistico del termine. «L’abbiamo registrato nella nostra sala prove, potenziata in modo da potervi incidere, e con tutta la strumentazione corretta. Poi abbiamo portato fuori le tracce per farle mixare e masterizzare». Un buon modo per avere controllo assoluto su «chi, cosa, come, potendo intervenire in modo molto rapido e diretto».

Tre del Politecnico, uno della Zürcher hochschule Winterthur, mentre il batterista studia da musicista, «agli inizi – continua Andrea – avevamo influenze molto diverse, anche se tutte riconducibili al mondo dell’alternative rock, dell’indie rock. Pur con background musicale diverso, siamo riusciti a portare in quest’album gli approcci diversi di ognuno. Ci sono cose che ci accomunano, ma anche cose più personali che convivono». E convivono con una certa coerenza nella musica e nei testi che ruotano intorno all’incertezza e alla ricerca (quella di sé dove il sé ci riguarda tutti), il tutto dentro un album che non parte in quarta, ma che alla quarta ci arriva in progressione.
A proposito di progressione, tratti prog ha ‘Disappear into the sky’, una specie di decollo; poi, “i punti diventano linee e i suggerimenti diventano segni” in ‘Dream forever’, le cui settime maggiori ricordano gli Style Council, ma i Bumblebees ci rimandano a Beach House, The War on Drugs e Tame Impala. Poco cambia, perché la bellezza del singolo resta immutata. Così come un salto al ‘Living’ di Lugano, l’11 maggio per il loro release party, rimane d’obbligo.

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