Società

Il male dell'esclusione

Come aiutare chi si sente escluso? Rosalba Morese ci accompagna fra psicologia sociale e neuroscienze, per scoprirne gli aspetti neurofisiologici

I rischi dell'emarginazione
6 luglio 2019
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Un team di ricercatori internazionali dell’Università della Svizzera italiana di Lugano (Usi), delle Università di Vienna e di Torino ha pubblicato una ricerca sull’efficacia delle varie tipologie di supporto sociale sulla rivista scientifica internazionale Social Cognitive and Affective Neuroscience (Scan). «Questa ricerca si colloca nell’ambito delle neuroscienze sociali, campo di studi nato recentemente dall’incontro di due discipline indipendenti, la psicologia sociale e le neuroscienze – spiega alla ‘Regione’ la ricercatrice dell’Usi Rosalba Morese, prima autrice dello studio –. Questa congiunzione permette di comprendere i meccanismi neurofisiologici del comportamento sociale». Secondo Morese questo nuovo settore di ricerca può avere ricadute molto interessanti e significative sulle problematiche che possono riguardare la quotidianità di tutti, ma anche situazioni più complesse in cui l’aspetto psicosociale riveste un ruolo di notevole importanza.

È documentato come le aree del dolore fisico e del dolore dell’esclusione sociale abbiano una rappresentazione comune all’interno dei sistemi cerebrali

«Sentirsi esclusi crea un’emozione di forte dolore perché rompe i legami di appartenenza sociale – commenta Morese –, bisogno essenziale per l’essere umano. Questa esperienza è connotata da emozioni negative molto intense che possono avere delle ricadute sulla salute, portare all’isolamento e addirittura fino a comportamenti estremi come il suicidio». Nell’ambito degli studi di neuroscienze sociali ciò che è stato rilevato è che il livello neurofisiologico di questo tipo di dolore ha evidenze di tipo neuroscientifico. «Infatti – segnala l’autrice dello studio – è documentato nella letteratura come le aree del dolore fisico e del dolore dell’esclusione sociale abbiano una rappresentazione comune all’interno dei sistemi cerebrali». Sorgono dunque diverse domande: come si può aiutare chi prova questo tipo di dolore? È possibile supportare chi sta male? In che modo? I neuroscienziati hanno provato a rispondere a questi interrogativi. Difatti questa è la prima ricerca che indaga gli effetti di diverse tipologie di supporto sociale e come queste diverse tipologie possano modulare oppure influenzare l’attivazione delle aree cerebrali reclutate durante l’esperienza di esclusione sociale. «È stato scelto come campione per questo studio un gruppo di volontari di genere femminile – osserva la ricercatrice – per la salienza che riveste questo tipo di esperienza rispetto al genere, infatti alcuni studi hanno rilevato come l’isolamento derivante dall’esclusione sociale colpisca come evento stressante più le donne rispetto agli uomini».

Cyberball: l’esclusione sociale

durante il gioco

Durante la sperimentazione è stata utilizzata la risonanza magnetica funzionale (Fmri) per capire in che modo il supporto sociale può alleviare le conseguenze negative dell’esclusione sociale. Le partecipanti sono state sottoposte a due sessioni Fmri durante un gioco virtuale di lancio della palla (Cyberball) durante il quale sono state escluse da altri due giocatori virtuali. Tra le due sessioni di esclusione, le partecipanti sono state suddivise in due gruppi sperimentali che hanno ricevuto per 3 minuti il cosiddetto ‘supporto sociale’. Questo è stato dato da parte di una loro amica. Il supporto è stato di due tipologie: sotto forma di sostegno emotivo-affettivo, in cui è stato chiesto all’amica di stringere la mano della partecipante con la finalità di consolarla per l’esperienza negativa di esclusione sociale vissuta. O sottoforma di supporto di valutazione-informativo tramite messaggi di testo, utili per comprendere la situazione, grazie ai quali ciascuna partecipante leggeva attraverso un monitor delle frasi utili alla comprensione dei possibili motivi che potevano aver reso possibile quella situazione così dolorosa. Successivamente a questa fase di supporto sociale, ciascuna partecipante è stata sottoposta alla seconda sessione sperimentale del gioco per testare l’effetto, l’efficacia del supporto sociale ricevuto e quindi capire se ci fosse un minore o maggior coinvolgimento delle aree cerebrali implicate nell’esperienza di esclusione sociale.

Oggi sappiamo che per aiutare qualcuno è più utile stargli vicino, far sentire la propria presenza, piuttosto che dargli delle informazioni tramite messaggi

I neuroscienziati hanno scoperto che l’esperienza dell’esclusione sociale può essere influenzata dal tipo di supporto ricevuto. In particolare, il fatto di essere toccati delicatamente da una persona cara ha diminuito le emozioni negative e l’attivazione delle aree cerebrali coinvolte nell’esperienza dolorosa, mentre essere informati sulla situazione ha aumentato la percezione di emozioni negative con il concomitante aumento dell’attivazione di aree del cervello dedicate. In particolare si è evidenziata l’attivazione della parte inferiore della corteccia cingolata anteriore, area implicata nelle emozioni negative, molto attiva solitamente nei pazienti depressi. «Questi effetti divergenti di diverse forme di supporto sociale – afferma Morese – indicano che è fondamentale capire quali sono le modalità realmente efficaci per poter aiutare qualcuno a fronteggiare le emozioni negative che scaturiscono da un’esperienza così dolorosa come quella dell’esclusione sociale. Grazie a questo studio oggi sappiamo che per aiutare qualcuno è più utile stargli vicino, far sentire la propria presenza, piuttosto che dargli delle informazioni tramite messaggi anche se le intenzioni, pure in questo caso, mirano ad aiutare la persona».

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