Sanremo

Amadeus e Padre Fiorello: Sanremo è iniziato, cantiamo in pace

Saga di Cellino San Marco a parte, tutto vola alto, dalla tutina di Achille Lauro (‘Oh mio Dio!’) a Rita Pavone. Classifica: la 'demoscopica' premia Le Vibrazioni

'Se funziona la cosa dei vestiti, domani mi vesto da Maria De Filippi' (Areafoto.Si)
5 febbraio 2020
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«Il mio primo terrazzino!» grida Amadeus di fianco a Vincenzo Mollica, una delle icone televisive che tiene duro. È per lui il primo, affettuoso applauso della categoria riunita all’ultimo piano dell’Ariston prima che tutto cominci, mentre a piano terra sta per andare in onda il Super Bowl della canzone, che dal teatro si estende da quest’anno anche a tutta la città di Sanremo. Avete presente Moon and Stars? Ecco, più grande.

È il Festival della canzone italiana e l’aria di vitellonica fratellanza che arriva dalle conferenze stampa – Amadeus che nell’estate degli anni Novanta danza al ‘Q’ di Ibiza, ignaro dei due cubisti nudi al suo fianco, come da resoconto di lunedì di Fiorello, con Savino che di martedì vorrebbe mostrarne la foto – arriva fino al palco, dove Rosario con la veste originale di Don Matteo («Uno dei pochi Matteo che funzionano in Italia») introduce il presentatore con un ecclesiastico “Amadeus” mutuato dall’Alleluia della funzione domenicale.

Nella splendida scenografia tra Notre-Dame e le grotte di Frasassi, il palco trasuda amicizia: «Andavo da Verona a Milano per costruire un sogno» esordisce Amadeus ricordando la gavetta: «Trentacinque anni fa dissi a Fiorello che se un giorno avessi condotto il Festival di Sanremo, il sogno di una vita, lui sarebbe stato con me». Fiorello che si offre di essere «il tuo Rocco Casalino». E il bambino che c’è in noi è soltanto all’inizio («Se funziona la cosa dei vestiti – annuncia Fiorello – domani mi vesto da Maria De Filippi»).

Al Bano e rovina

Tanta è la felicità di Amedeo Sebastiani diventato grande che il «Benvenuti alla 70esima edizione del Festival di Sanremo» è doppio. Il prologo di una serata lunghissima (ma dai?) è riservato alle Nuove promesse. Un piccolo spreco mettere in gara davanti a una giuria demoscopica di trecento persone gli Eugenio in Via Di Gioia di fronte a Tecla, per rallegrarsi che il limpido, giovanissimo talento che canta ‘8 marzo’ possa continuare la gara insieme a cose meno valide della band che canta ‘Tsunami’. Alle semifinali anche Leo Gassmann con ‘Vai bene così’ (ma lo sconfitto Fadi, ‘Due noi’, grida «Viva la Romagna, viva il Sangiovese», Premio Mia Martini alla Simpatia).

Da segnalare Tiziano Ferro che porta sul palco le luminarie di Corso Matteotti, swingando ‘Nel blu dipinto di blu’, per tutti noi felici di stare quaggiù, e se anche Bublé no, non c’è Robbie Williams che tenga (canterà ogni sera). Da segnalare soprattutto la saga di Cellino San Marco, il ritorno di Al Bano e Romina Power per cantare un medley di successi e – in rigoroso playback – l’inedito ‘Raccogli l’attimo’, con la sala stampa che canta ‘Sandokan’ (che è la stessa cosa) e l’Ariston che tributa l’applauso a Cristiano Malgioglio come a un Ungaretti. Al Bano e Romina, la cartolina dell’Italia nel mondo che non tutti gli italiani all’estero affrancherebbero, ma hanno vinto loro.

'Chiedetevi pure com’era vestita la Jebreal...'

Altro da ricordare: l’impalpabile Diletta Leotta, la più consistente Rula Jebreal che scende le scale dell’Ariston, ma «le scale più belle sono quelle che mi hanno portato in Italia». Divisa tra due leggii, quello nero della violenza sulle donne e quello bianco dell'amore per le donne nelle canzoni, la giornalista italo-palestinese chiude così: «Sono stata scelta stasera per celebrare la musica e celebrare le donne. Il senso di tutto ciò è nelle domande giuste. Chiedetevi pure com’era vestita la Jebreal, ma che non si chieda mai più com’era vestita una donna la notte un cui fu stuprata». E ancora: «Nessuno può permettersi di toglierci il diritto di addormentarci con una favola. Vogliamo essere silenzi e rumore. Vogliamo essere musica». A Jessica Notaro, in duetto con Antonio Maggio, il compito di chiudere il discorso con 'La faccia e il cuore', brano firmato da Maggio con Ermal Meta.

La prima serata si ricorderà anche (e per sempre) per la tutina aderente di Achille Lauro in ‘Me ne frego’, folle, ruffiano, trionfo del kitsch e del ‘fammi male’. E poi l’applauso al maestro Vessicchio più lungo del gruppo che dirige (Le Vibrazioni nella bella ‘Dov’è’, con tanto di cantante Lis sul palco), lo shuffle rap di Anastasio che farà storia. Ferro, con l’umiltà di chi tenta l’impresa – cantare ‘Almeno tu nell’universo – si commuove e con l’umiltà dei grandi dice «Ci ho provato».

Dal mattone al martello

Registrata la collocazione notturna (ore 01.05) dello splendido 'Carioca' Raphael Gualazzi, un passo indietro e definitivo al ritorno di Rita Pavone che ha il sapore delle imprese sportive, dei grandi che rientrano e vincono contro tutto e tutti, nella standing ovation di un teatro che non è in giuria, ma ha capito che se qualcuno ha l'X-Factor, ce l'ha anche a settantaquattro anni.

La classifica

Tutto passa in secondo piano quando si pensa che domani sera i Ricchi e Poveri si riuniranno tutti e quattro. Mica quegli sfigati dei Pink Floyd. Ma Sanremo è una gara e questa è la classifica:

1. Le Vibrazioni, 'Dov'è'

2. Elodie, 'Andromeda'

3. Diodato, 'Fai rumore'

4. Irene Grandi, 'Finalmente io'

5. Marco Masini, 'Il confronto'

6. Alberto Urso, 'Il sole ad est'

7. Raphael Gualazzi, 'Carioca'

8. Anastasio, 'Rosso di rabbia'

9. Achille Lauro, 'Me ne frego'

10. Rita Pavone, 'Niente (Resilienza 74)'

11. Riki, 'Lo sappiamo entrambi'

12. Bugo e Morgan, 'Sincero'

Domani mattina, su www.laregione.ch, senza la minima pretesa di verità assoluta, le nostre personali pagelle.

 

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