Sanremo

Nella stanza dei bottoni, dove nasce il suono

Nei 5 giorni frenetici del Festival, i fonici lavorano con il caffè in mano, ma con grande concentrazione. Il dietro le quinte raccontato da Pier Carlo Penta

9 febbraio 2019
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Ci sono uomini e donne che a Sanremo ci tornano ad intervalli regolari, ma non sono cantanti. «Ci sono stato con Fabio Concato, e con Venditti. Anche questa volta». Personalità multipla – pianista, arrangiatore, ingegnere del suono per Banco del Mutuo Soccorso, Pfm e molti altri – Pier Carlo Penta si occupa da lungo tempo del suono di Antonello Venditti. «L’artista vuole la tranquillità psicologica, nel momento della messa in onda vuole con sé la persona di cui si fida. Io vado ad aggiungermi al fonico, porto suggerimenti che vengono dal conoscere a fondo l’artista. È un lavoro di rifinitura». È Penta che ci racconta la “stanza dei bottoni”, il team che gestisce il suono di tutto il Festival.

Caffè in mano e tanta concentrazione

A lavorare al suono del Festival «c’è una regia audio bene organizzata, un numero di fonici elevato, 2 alla console principale, un altro alla console dell’orchestra, un supervisore e un assistente musicale con la partitura di ogni artista, che segue tutto, dalle parti solistiche alla discussione personale con l’artista durante le prove. «C’è grande collaborazione, in relax ma attentissimi». E se in 5 giorni la frenesia attanaglia tutti, «non in questo ambiente protetto, dove si lavora col caffè in mano, ma con adrenalina in corpo». La parte più piacevole di collaborare con lo staff audio del Festival? «Il dibattito di fine serata, costruttivo su come sia andata la serata, su quali artisti abbiano dato il meglio di sé e sulle differenze tra generazioni, tra giovani e decani, del coinvolgimento sempre grande della vecchia generazione, che sente amore per la canzone che sia di altri, o scritta da sé.

Di musica leggera, in realtà, Penta si occupa dal solo punto di vista tecnico. «Di Sanremo posso parlare come fatto di costume. Sembra non se ne possa fare a meno». Per l’essere anche pianista, sospeso tra jazz e classica, scinde la tecnica dall’anima artistica. Ma il pianista può tornare utile sempre: «Nel 2000 Fabio Concato portò al Festival ‘Ciao Ninin’, che avevo arrangiato per lui. Il pianista ufficiale del Festival mi chiese come intendevo gli accordi, e fu bello contribuire alla riuscita del pezzo».

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