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Il realistico sogno di una pace perpetua

In un breve scritto, Kant stabilisce le condizioni della ragione per porre fine a tutte le guerre: Stati democratici riuniti in una Federazione di popoli

Nicolas-Antoine Taunay, ‘Morts au combat dépouillés de leurs armes, de leurs uniformes et de leurs effets personnels lors de la campagne d’Italie en 1797’

In un breve scritto, Kant stabilisce le condizioni della ragione per porre fine a tutte le guerre: Stati democratici riuniti in una Federazione di popoli

6 maggio 2024
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Autore di numerosi trattati filosofici e scientifici, Immanuel Kant scrisse anche un trattato di pace: non un vero accordo tra Paesi in guerra, ma un “progetto filosofico” che, nella sua brevità, esercitò una grande influenza sul pensiero politico e giuridico successivo. Parliamo di ‘Per la pace perpetua’, titolo che Kant prese dall’ironica insegna di un’osteria olandese, nella quale era raffigurato un cimitero.

«È un’opera che, anche se motivata da situazioni storiche contingenti, si inserisce a pieno titolo nell’impianto complessivo della riflessione kantiana» ci ha spiegato Massimo Mori, professore emerito di Storia della filosofia all’Università di Torino e autore di numerosi saggi, tra cui uno, ‘La pace e la ragione’ (Il Mulino 2008), dedicato proprio al problema delle relazioni internazionali in Kant.

Quali circostanze hanno portato Kant a pubblicare, nel 1795, ‘Per la pace perpetua’?

La Pace di Basilea, stipulata pochi mesi prima della stesura dell’operetta. È una pace separata, concordata soltanto tra la Prussia e la Francia rivoluzionaria, che permette alla Prussia di chiudere il fronte occidentale e di concentrarsi su quello orientale, in vista della terza spartizione della Polonia. Come tutte le paci separate, questo accordo franco-prussiano non fece molto piacere agli altri alleati antifrancesi, in particolare l’Austria. Invece non dispiacque affatto a Kant, il quale aveva sempre apprezzato la Rivoluzione francese e vedeva nelle guerre condotte dalla Francia rivoluzionaria un mezzo di diffusione delle idee di libertà della Rivoluzione.

Ma non solo uno scritto occasionale.

Kant approfitta di questa situazione particolare per fare un discorso generale sulla pace. ‘Per la pace perpetua’ ha infatti la forma di un trattato di pace, con articoli preliminari, articoli definitivi e addirittura un articolo segreto. Ironicamente, Kant osservava che la differenza tra questo suo scritto e i trattati di pace ordinari è che questi vogliono concludere soltanto una guerra, quindi stipulare una pace provvisoria, mentre quello di Kant è un trattato di pace perpetua che vuole porre fine a tutte le guerre.

E la ricetta per questa pace perpetua è politica.

Sì, è politica. Come detto, il trattato è composto di sei articoli preliminari e tre definitivi. Quelli preliminari sono, oggi, meno interessanti perché fortemente condizionati dal contesto e dalla cultura del tempo. I tre articoli definitivi contengono invece le condizioni filosofiche generali per la pace: esse sono l’espressione di quanto la ragione richiede per perfezionare i rapporti giuridico-politici tra gli individui e tra gli Stati. Secondo Kant, questi rapporti possono essere di tre tipi: tra gli individui dentro lo Stato; tra gli Stati; tra un individuo e gli Stati stranieri.

Sulla base di questi tre tipi di relazioni, Kant individua i tre articoli definitivi: uno sulla Costituzione dello Stato, cioè sulla natura del governo; uno sulle relazioni tra gli Stati, nel quale si propone la Federazione degli Stati; infine un articolo sul “diritto cosmopolitico”, sul fatto che ogni individuo debba essere considerato come un cittadino del mondo che, per ragioni commerciali o diremmo noi oggi turistiche, ha diritto ad accedere temporaneamente al territorio di un altro Stato.

keystoneIl manoscritto originale della ‘Pace perpetua’

Inizierei dal primo articolo, sulla costituzione degli Stati.

Kant afferma che la costituzione di ogni Stato deve essere repubblicana, intendendo che il sovrano deve esercitare legittimamente il potere e questo è possibile solo se il potere viene esercitato in nome del popolo. Kant qui riprende le idee di Rousseau: il popolo deve essere sovrano e legislatore, i sudditi devono essere anche cittadini.

Questa idea era gradita al re di Prussia?

Mica tanto, perché si parla di mettere il potere nelle mani del popolo: il modello è quello della Rivoluzione francese. Tuttavia Kant precisa che la forma repubblicana non implica necessariamente la democrazia (per la quale, nel senso settecentesco e rousseauiano di democrazia diretta, egli aveva forti perplessità); può anche essere una monarchia, a condizione che il sovrano-monarca agisca come se il potere fosse nelle mani del popolo, quindi agendo non per volontà arbitraria ma in base all’interesse del popolo.

Perché una costituzione repubblicana è essenziale per la pace?

Ci si potrebbe in effetti chiedere cosa c’entri la forma di governo di uno Stato, visto che la pace riguarda i rapporti esterni tra Stati. In realtà, Kant coglie lucidamente il rapporto che sussiste tra forma di governo interna e politica estera. Le relazioni internazionali, pacifiche o non pacifiche, sono influenzate dal tipo di governo. Uno Stato retto da una costituzione repubblicana, nel quale le decisioni vengono prese in nome del popolo, prima di iniziare una guerra ci penserà due volte, perché sarà il popolo stesso a sopportare sulle proprie spalle il peso del conflitto. Invece, in uno Stato autocratico o, come dice Kant, dispotico, il sovrano, che considera lo Stato sua proprietà personale, decide in maniera arbitraria quando iniziare una guerra per estendere i suoi domini o affermare i suoi interessi individuali. Senza rinunciare ai suoi lussi personali e senza tenere conto delle ricadute sulla popolazione.

Il secondo articolo definitivo del trattato di pace perpetua?

Gli Stati si trovano, tra di loro, in uno stato di natura che è uno stato di guerra e l’unico modo per uscirne è fare la stessa cosa che hanno fatto gli individui: entrare in qualcosa che somigli alla società civile, ovvero dare vita a una organizzazione mondiale di tutti i popoli. L’idea è quella di estendere dal piano interindividuale a quello internazionale il principio del contratto sociale.

Qui si aprono però due possibilità: la prima è la creazione di uno Stato mondiale con un potere centrale fornito di poteri coercitivi, con piena analogia con la società civile. Questa sarebbe l’unica vera soluzione per garantire la pace perpetua, ma Kant si rende conto che non è possibile chiedere ai sovrani di rinunciare alla propria sovranità, di chiedere cioè agli Stati di diventare parte di un unico Stato mondiale. Consapevole di queste difficoltà, Kant propone un “surrogato” allo Stato mondiale “perché non tutto vada perduto”. Una Federazione di popoli senza un organismo centrale e senza poteri coercitivi.

Una perplessità ancora attuale.

È stato il grande problema che ha accompagnato il processo di integrazione dell’Unione europea, istituzione che ha realizzato a livello macroregionale quello che Kant auspicava a livello mondiale. E ancora oggi vediamo prevalere i “sovranismi” che contrastano la progressiva cessione della sovranità nazionale.

depositophotoIn questo modo l’idealismo politico si rivela la migliore forma di realismo. Il valore della normatività è uno dei grandi insegnamenti di Kant

La federazione dei popoli può ricordare la soluzione delle Nazioni unite?

Esattamente. La prima realizzazione di questo progetto kantiano è la Società delle nazioni voluta, alla fine della Prima guerra mondiale, dal presidente statunitense Woodrow Wilson: ma sappiamo che fine ha fatto. La seconda realizzazione storica potrebbe essere l’Organizzazione delle nazioni unite che, rispetto alla Società delle nazioni, è sicuramente più strutturata, prevedendo risoluzioni che dovrebbero essere rispettate dai Paesi membri. Ma ancora una volta il carattere non coercitivo, nonché il diritto di veto che vige all’interno del Consiglio di Sicurezza, rendono poco efficace anche l’Onu.

Il contrattualismo di Kant in cosa si distingue da quello di altri filosofi?

Kant, come tutti i giusnaturalisti, è un contrattualista, come lo furono Hobbes, Locke, Rousseau e tanti altri. Però dice una cosa un po’ diversa. Chiaramente nessun giusnaturalista ha mai pensato che il contratto sia un fatto storico: esso è stato generalmente considerato un accordo tacito, una finzione giuridica, se vogliamo. Ebbene, secondo Kant il contratto originario non è neanche questo, ma piuttosto una “idea della ragione”. Noi dobbiamo agire “come se” lo Stato si fondasse su un contratto originario perché così impone la ragione: ma ciò significa che, affinché uno Stato sia legittimo è sufficiente che il sovrano agisca “come se” ci fosse un contratto originario. Può quindi anche essere un sovrano assoluto, purché sia al contempo illuminato, guidato dalla ragione. E infatti il modello al quale pensava Kant era Federico II di Prussia.

Ma come capire se il sovrano è illuminato? E cosa fare se non lo è?

Questo è il problema. Kant nega al popolo qualsiasi diritto di resistenza, anche di fronte a palesi violazioni del diritto da parte del sovrano. Perché, argomenta, anche il peggiore degli Stati rappresenta comunque il diritto costituito e minacciare il diritto significa tornare allo stato di natura. L’unica cosa che deve essere garantita è la libertà di pensiero e di espressione, che Kant chiama “libertà di penna”: come studiosi i sudditi possono criticare il governo con i loro scritti, purché non passino a forme di resistenza, secondo il motto che egli attribuisce a Federico II: “Ragionate finché volete, purché obbediate”. Kant infatti spera che alla fine queste critiche possano essere ascoltate dai sovrani illuminati, come Federico appunto.

Insomma, in maniera un po’ ingenerosa potremmo dire che i rivoluzionari avevano la simpatia di Kant per quel che hanno detto, non per quel che hanno fatto.

La questione è più complicata. Kant ha sempre deprecato la violenza, però vedeva nelle idee della Rivoluzione francese il momento ideale della espressione della ragione. E rimase a favore della Rivoluzione anche dopo il regicidio del 1792 e dopo il Terrore, quando praticamente tutti gli intellettuali tedeschi, inizialmente a favore, cambiarono idea. Nell’entusiasmo che gli osservatori europei provarono allo scoppio della Rivoluzione egli vide un segno del progresso storico. Bisogna però sottolineare che, in effetti, ciò che per lui rivela questo progresso morale è l’approvazione disinteressata degli spettatori di fronte alle idee di cui si faceva portatrice la Rovoluzione, non le azioni in sé dei rivoluzionari.

Come possiamo considerare la proposta della Pace perpetua? Idealismo ingenuo oppure un progetto concreto del quale si hanno ben presenti i limiti?

Kant non è un utopista visionario. Anche in ambito morale è consapevole dello scarto incolmabile tra l’essere e il dover essere: il comando della ragione è assoluto, ma non potrà mai essere realizzato pienamente. Tuttavia senza questa dimensione normativa non possiamo progredire. Senza un modello ideale al quale tendere all’infinito ci si appiattisce sull’esistente, rinunciando anche agli avanzamenti che, con qualche sforzo, si sarebbero potuti realizzare. In questo modo l’idealismo politico si rivela la migliore forma di realismo. Il valore della normatività è uno dei grandi insegnamenti di Kant.

5 – fine