laR+ Locarno 74

In Piazza è arrivato il coraggio del Cinema

Ieri sera sono passati ‘The Alleys’ di Bassel Ghandour e ‘Vortex’ di Gaspar Noé

Vortex
9 agosto 2021
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Una bella serata in Piazza, con il pubblico tremante per la minima possibilità di pioggia che dopo il terribile sabato si vorrebbe dimenticare. Un tempo l’indimenticabile presidentissimo Raimondo Rezzonico si recava in preghiera alla Madonna del Sasso per implorare Giove Pluvio perché risparmiasse il Festival. Oggi, in tempi più laici che il Savonarola avrebbe definito da miscredenti se non peggio, tutti guardano il meteo sul telefonino accettando le notizie incapaci di chiedere intercessioni. Così per fortuna si sono potuti vedere, nella serata che il Festival insieme all’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha voluto dedicare al 70° anniversario della Convenzione per i rifugiati del 1951, due film interessanti e importanti come ‘The Alleys’ di Bassel Ghandour e ‘Vortex’ di Gaspar Noé.

Il regista Bassel Ghandour, nato negli Emirati Arabi, si è trovato a guidare una produzione tra Giordania, Egitto, Arabia Saudita e Qatar, per un film che lo stesso regista così spiega: “La moneta corrente nel mondo di ‘The Alleys’ è la reputazione. Il film esplora le modalità tramite cui le persone celano segreti, raccontano bugie e indossano maschere per sopravvivere al pettegolezzo e allo sguardo della società”. Ci troviamo in un quartiere violento e pieno di pettegolezzi nell’East Amman. Qui troviamo il giovane imbroglione Ali (un bravissimo Emad Azmi) che non si fermerà davanti a nulla per stare con la sua amante segreta, la bella Lana (una sorprendente Baraka Rahmani), ma la spietata madre di lei non vuol saperne perché ha già offerto la mano della figlia a un ricco partito. Quando un ricattatore scopre la coppia sul fatto, la madre chiede a un gangster di porre fine a tutto, ma le cose non vanno come previsto, neppure per il gangster che per la prima volta si trova messo fuori gioco. Mancano al film veri eroi: il regista, con un’interessante fotografia di Justin Hamilton, riesce a descriverci un mondo di violenza e immoralità in cui tutti sono sconfitti se non restano nella solitudine della propria esistenza o se non fuggono lontano dimenticando tutto per poter provare a rivivere. Quello che ancora colpisce in questo ritratto di periferia è la condizione di menzogna in cui tutti sono costretti a sopravvivere per sopportare di essere vivi. Applausi meritati.

Il vero protagonista della serata è stato tuttavia il secondo film in programma: ‘Vortex’ di Gaspar Noé. Leggendo il catalogo sorprende la sinossi: “La vita è una breve festa che verrà presto dimenticata”. Il regista spiega di più: “Ho immaginato un film dalla narrazione estremamente semplice, con una persona in una condizione di deterioramento mentale che sta perdendo l’uso del linguaggio, e il nipote che invece non lo padroneggia ancora, come due estremi di questa breve esperienza che è la vita umana”. Il film è strano, come qui a Locarno era stato presentato a Cannes a mezzanotte nella sezione Première, meritava certamente il Concorso, ma questa scelta comune ai due Festival segnala una difficoltà a colloquiare con il pubblico, indica una paura, tipicamente televisiva, di presentare un film intelligente, dal linguaggio cinematografico straordinario, ma doloroso. È come se l’attesa cinematografica del pubblico fosse altra che il Cinema, fosse solo rivolta a prodotti facilmente digeribili. Certo il pubblico, per i direttori dei festival, come per quelli delle tv, ha troppo da pensare su una frase come “La vita è un sogno nel sogno”, meglio dire che il Cinema è sogno, tenendo lontana la vita, ma Gaspar Noé pone una questione diversa, gli interessa raccontare la vita e non sceglie il Cinema come sogno, ma proprio questa fragile nostra vita “sogno nel sogno”.

I suoi protagonisti sono una coppia di anziani, subito ci fa capire che sono una coppia, si sorridono, bevono del vino insieme, brindano seduti nel loro balcone fiorito guardando il cielo. Subito però il regista ci porta a scoprire il loro destino: sono a letto, è quasi mattina e lentamente una linea nera traccia la frattura tra due schermi che da ora saranno la costante del film. Quella linea divide lui da lei, lui dorme ancora pacifico, lei è agitata, angosciata. Lentamente scopriremo chi sono e qual è la loro condizione di salute: lui è un critico cinematografico impegnato nella stesura del suo nuovo libro, lei una psichiatra, lui ha avuto attacchi di cuore ed è sotto controllo, lei è stata colpita da una forma di demenza che la porta a mettere a rischio la vita di lui e a distruggere il suo libro.

Tra loro l’unico figlio, un regista documentarista in crisi, costretto da solo a far crescere il suo bambino, la droga ha sconvolto la sua vita e quella della moglie ora ricoverata. Il figlio non se la sente di stare appresso ai genitori e propone loro di trasferirsi in una casa di cura. Ma non serve perché lui, affranto dalle situazioni create dalla moglie e dalla sua malattia, muore per un infarto. Lei nella casa vuota comprende la sua infinita solitudine e apre il gas. Il figlio al suo funerale mostra di non conoscerla e al suo bambino che vedendo le urne dei nonni poste insieme su un loculo al cimitero, gli chiede se quella è la nuova casa dei nonni, risponde “Le case sono per i vivi”. Di grande forza è questo finale che mostra la casa dei due anziani vuota ma densa di una vita passata e poi la mostra svuotata, splendido parallelo al funerale con le immagini proiettate di lei e della sua vita davanti alla sua bara.

Indispensabile dire del formidabile Dario Argento alla sua prima d’attore e indimenticabile la magistrale recita di Françoise Lebrun. C’è in questo film, che è vero Cinema, uno sfrontato coraggio di dire oltre la solennità e l’emozione di un altro film che a Cannes era stato ricordato, ‘Amour’ di Michael Haneke, qui c’è più umanità palpitante e incredula di fronte alla propria fine, e alla fine si ricordano le parole che Noé dedica allo spettatore a inizio film “per tutti coloro i cui cervelli si decomporranno prima dei loro cuori”.

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