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Enrico Ruggeri, libera musica in libero pensiero

‘La caverna di Platone’ - ★★★★✩ - Il nuovo disco di uno che non le ha mai mandate a dire: ‘Chi scrive canzoni dovrebbe leggere libri’

In tv con ‘Gli occhi del musicista’
(Angelo Trani)
23 gennaio 2025
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Scritto in brutta, ‘La caverna di Platone’ è una metafora sulla condizione umana rapportata alla verità. Allegoria della filosofia platonica, parla di prigionieri incatenati in una grotta che credono che le ombre proiettate sulla parete della stessa siano la verità e non invece il risultato di oggetti mossi da alcune persone davanti a un fuoco. È in questa forma di illusione permanente che oggi vive il mondo secondo Enrico Ruggeri, fiero – e ne ha ben donde – del suo nuovo disco (‘La caverna di Platone’, appunto), album che ci si aspetterebbe sempre da ogni buono chansonnier al quale freghi qualcosa di quel che gli accade intorno o che canti un amore che vada oltre quello di coppia, materia che non disturba e di cui nessuno ti chiederà mai conto se non la pensa come te.

Un po’ grillo parlante e un po’ picconatore, Ruggeri non le ha mai mandate a dire. Limitatamente alla musica, che poi non è mai da prendersi limitatamente: “Per scrivere qualsiasi cosa – ha dichiarato di recente all’Ansa – serve un bagaglio interiore sviluppato. Lo dice la storia: le grandi canzoni sono state scritte da persone che i libri li leggevano o che comunque erano informati sul mondo. Ciò non significa che non si possano scrivere canzoni d’amore, ma bisogna vedere come le scrivi. Puoi comporre un brano o ‘La cura’, un pezzo rap su una vecchia usuraia o ‘Delitto e Castigo’: non è l’argomento che fa la differenza, ma il modo di trattarlo”.

Il giorno che arrestarono il poeta

Pare più o meno quello che Francesco Guccini rispose via terzi in dicembre a Jovanotti quando questi disse che ‘Gloria’ di Umberto Tozzi (vivente) non ha nulla da invidiare a ‘La locomotiva’, o quello che Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) non ha potuto rispondere allo stesso Jovanotti quando questi sostenne che ‘Sesso e samba’ non gli sarebbe dispiaciuta, a Mozart. Cherubini e Mozart a parte, già nel 2015, nei giorni di un concerto locarnese e di una generosa intervista concessaci, il sempre coerente Ruggeri dichiarava che “molte canzoni sono scritte da persone che non leggono libri e non ascoltano musica, e raccontano di microcosmi, microstorie. Microcose...”. Diceva che “prima se non ce la facevi al quarto album, addio. Oggi se non ce la fai al primo singolo, cambi mestiere. E il Fabrizio De André del 2020 ha già cambiato mestiere”. Qualche anno dopo, alla Rsi per presentare ‘Alma’, disse “i miei supereroi erano Pasolini, Flaiano, Dylan, Lennon che fermava la guerra in Vietnam: i supereroi di oggi sono quelli che ti consigliano quali scarpe mettere”.

E allora è un attimo trovare Pasolini ne ‘Il poeta’, il primo singolo da ‘La caverna di Platone’, Pasolini del quale “dissero di un lato sconosciuto e di quella vita sconveniente”, concetto estendibile ad altri presunti falsi poeti, silenziati perché “il libero pensiero ha un prezzo da pagare”, sostituiti da “quelli con un’opinione trasformata in un mestiere”. Vent’anni fa ‘Il poeta’ sarebbe stata in ogni radio almeno una volta al giorno, ma su quel che sono diventati i network, il Ruggeri ha già detto tutto in tempi non sospetti.

L’Europa che altrove non c’è

Aperto dalla decadente ‘Gli eroi del cinema muto’, che poi siamo noi confrontati alla “bugia della vita senza una sola battuta”, in ‘La caverna di Platone’ Ruggeri canta ‘Il cielo di Milano’, un ritratto della metropoli con tutte le sue “rose e spade” (e lecite citazioni melodiche da ‘Mistero’), la città vista con gli occhi del figlio Pico Rama, unico feat. del disco in ‘Benvenuto chi passa da qui’. Altra attualità sta in ‘Zona di guerra’, ovvero quel posto “tra gli angoli e il fango dove Dio non c’è”. E “qualunque sia” questo Dio, e “chiunque sia, non c’è”. In ‘Das ist mir Würst’, traducibile con un “non me ne può fregare di meno”, c’è il Ruggeri ‘rien ne va plus’ che maledice, a tempo di valzer e di metal, “l’Europa delle banche, delle multinazionali, dei centri di potere, della manipolazione del pensiero”, da contrapporsi a quella che sta “nell’architettura, tra i quadri e gli eroi, tra Čechov e Kant, tra Bach e Monet, tesoro d’Europa che altrove non è”.

‘Arrivederci addio’

Nel disco c’è anche un balzo indietro nel tempo chiamato ‘La bambina di Gorla’, nel quale Rouge è la voce di una delle 184 piccole vittime del bombardamento anglo-americano del 20 ottobre 1944, che colpì anche la scuola elementare Francesco Crispi di Gorla. La bambina e i suoi compagni di classe, dei quali resta “la memoria un giorno all’anno nel brusio della città”, hanno avuto un’anteprima ne ‘Gli occhi del musicista’, il più recente dei viaggi musicali curati dal cantautore per la Rai, dove il Ruggeri pensiero sui rapper (“Sogno un futuro in cui a vedere Tony Effe non ci va nessuno”, disse a Repubblica dopo l’esclusione del rapper dal concerto di Capodanno a Roma) è passato al vaglio di Eugenio Finardi, suo ospite: “Ascoltavo Miles Davis e mia madre gridava: ‘È rumore!’”, ha commentato il più conciliante collega.

Per restare a questo disco. Un cenno è dovuto al flicorno di ‘Le notti di pioggia’, alla canzone tutta e pure all’intimismo tutto. Più di un cenno merita ‘Arrivederci addio’, così riuscita che quasi Ruggeri ci stava intitolando l’album: “Poi ho pensato che sarebbe sembrato un ritiro dalle scene”, disse presentandolo. A noi è parso al massimo il finale dei concerti, perché quel “ci siamo conosciuti, ci siamo innamorati” vale per gli amanti, ma anche per artista e pubblico.