Figli delle stelle

L'ultimo desiderio? Il nuovo di Daniele Silvestri

Daniele Silvestri – ‘La terra sotto i piedi’ - ★★★★✩ - Gratificante, realistico, amaro, autoironico, dannatamente vero: la recensione.

'Argento vivo', Sanremo 2019 (Letizia Reynaud)
15 giugno 2019
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Dopo aver cambiato il titolo, ma soprattutto dopo aver ritrovato la voglia di raccontare come stanno le cose oggi, Daniele Silvestri pubblica un album gratificante. Per lui, che si ritrae accasciato sul mixer al termine delle registrazioni, per noi, quotidianamente bombardati da ottimismo fine a se stesso. Volenti o nolenti, perché alcune cose sono schiaffi in faccia, ‘La terra sotto i piedi’ è (anche e soprattutto) un piccolo trattato di comunicazione e incomunicabilità, umana, tecnologica, artistica.

Il centro vitale di quest'album è un capolavoro intitolato ‘Concime’, che narra di “un tempo in cui comunicare era molto più scomodo e meno immediato”, un tempo in cui “le dichiarazioni, di guerra o d'amore non ammettevano errore”. E se nella sanremese (ma solo per collocazione storica) ‘Argento vivo’ il tormento lo cantava in prima persona il giovane, in ‘Concime’ a parlare è l’adulto: “Mi manca la terra sotto i piedi, un solido riferimento in basso da cui attingere conforto anche quando non lo vedi”, che pare il ritorno forzato sulla terra di Silvestri dopo i voli pindarici di ‘Acrobati’ (“Mi serve gravità, la stessa che negavo fino a ieri, quando predicavo di essere funamboli sospesi”).

A proposito di comunicazione. Uscita prima di Sanremo, ritmicamente un po’ cafona nel senso più ‘Salirò’ del termine (quindi bella), in ‘Complimenti ignoranti’ sono fniti i leoni da tastiera, una raccolta dei virgolettati di disistima digitati dal pubblico molesto (“Mi sono autoinsultato”, dice l’artista): esaltata dalla minaccia “Sono io il tuo fan vero, posso mandarti a fan c***”, alla fine è Silvestri a mandarcelo, il fan, a fan c***.

Rame’ è una specie di ricerca del tempo perduto non proustiana, con il sax di James Senese ad aggiungere poesia a poesia, anche amara, per raccontare il “tempo perso per rinfacciarsi qualche errore” che si sarebbe dovuto metter via “come spiccioli di rame in un apposito forziere” per evitare, un giorno, di frugarsi nelle tasche invano. ‘Blitz gerontoiatrico’, invece, è una strigliatina ai reucci della trap con riferimenti allo sballo – “Non penserai che sia colpito dal saperti stupefatto, il fatto è che puoi fare molto meglio di così, se alzi il livello del discorso, non del THC” – e al rapporto con il mondo femminile – “Mi dici che frequenti molte tipe, che le cambi come fai per la palestra con le tute. Perché tanto sono solo prostitute, anzi bitches. Che è come dire hot-dog mangiando le salsicce”. Verso la fine, poi, c’è ‘L’ultimo desiderio’, ballad costruita su di una manciata di versi per la quale ogni altra parola spesa per raccontarla sarebbe disturbo.

 

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