laR+ Il ricordo

Giuliana Pelli Grandini, raccontare l'indicibile

Tra gli scritti della scrittrice scomparsa domenica scorsa a Lugano, frutto di esperienze terapeutiche che l'autrice ha saputo volgere al letterario

(Teatro Dimitri)
22 aprile 2024
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Una capacità d’ascolto fatta di sensibilità (estrema), coinvolgimento, condivisione. Sono stati i tratti forse dominanti, cruciali del percorso culturale, artistico e letterario di Giuliana Pelli Grandini, nata nel 1951 in una famiglia dal forte imprinting artistico: un bisnonno musicista, un nonno fotografo, un padre raffinato editore d’arte, amico di noti e importanti artisti e scrittori.

Giuliana ha una natura timida, irrequieta, a volte fragile che la porta ad avvicinare le varie predilezioni artistiche famigliari con una sorta di introversa timidezza che, ad esempio, la conduce, giovane pianista, sino alle soglie del Consevatorio, dove capisce che la sua strada non è quella, poiché troppa è l’emozione da tenere a bada per esibirsi anche solo per un concertino in famiglia.

Poi viene il teatro, il salire sul palco, stare in scena, nella compagnia del Teatro delle Radici diretta da Cristina Castrillo, come per mettere nuovamente alla prova una propria natura appartata e riservata. E Giuliana che fa? Si mette a fotografare scene e attori, cercando di fissare, in un’istantanea, i corpi in movimento nel loro disvelare, misteriosamente, storie e traumi, fra i detto e il non detto.

Emerge così, a poco a poco, anche grazie a un’acquisita formazione psicanalitica (di scuola junghiana) un progetto di lavoro sull’attività corporea come strumento terapeutico, che la fa diventare psicomotricista e la conduce ad avviare un proprio studio, ‘la mongolfiera’, dove accoglie e si prende cura di bambini e bambine (fra i quattro e gli otto anni) fortemente condizionati da sofferenze profonde vissute nei primi mesi di vita e poi sepolte o rimosse, brucianti e indicibili.

È un’esperienza per molti versi sconvolgente, che investe Giuliana Pelli Grandini nella propria sensibilità ed emotività, mettendola a sua volta in gioco e in crisi, ma portandola anche a decidere di scriverne, di registrare su carta, nell’immediato del post-seduta o a distanza di qualche tempo, quel che di volta in volta emerge dall’inconscio dei bambini alle prese con una spontanea autorappresentazione di sé e del proprio mondo interiore.

Una di queste vicende diventa così l’oggetto del suo primo libro, ‘La statuina di Maissen e il mandala’ (Casagrande-Bollati Boringhieri, 1999) che offre al lettore, anzitutto, un personaggio indimenticabile chiamato Albarosa, una bimba indiana abbandonata alla nascita, adottata a 15 mesi e arrivata nello studio della ‘mongolfiera’ poco oltre i sei anni mostrando tratti comportamentali fortemente problematici. Con questo libro ci troviamo di fronte a un’opera davvero particolare, intensa, coinvolgente, che ci racconta di una terapia che passa attraverso le invenzioni “sceniche” della bambina, ma anche attraverso l’esperienza che ne fa l’autrice-terapeuta, descrivendo quel che capita e si trasforma nell’una e nell’altra in un rapporto che non può lasciare indifferenti, non può, a sua volta, che coinvolgere anche il lettore.

‘La statuina di Maissen e il mandala’ è un libro importante, dentro un genere così difficile da definire, per il quale il termine di “saggio” non basta e non serve. Vi emerge tutta la naturale e straordinaria empatia di un rapporto terapeutico complesso e doloroso, che segna l’autrice anche nella scrittura e nel desiderio di voler privilegiare l’aspetto del racconto piuttosto che quello del “referto” medico.

Una “messa in scena”, che diventa ancor più letteraria (e, se vogliamo, teatrale) nel secondo libro di Giuliana Pelli Grandini, ‘La mummia bambina’ (Casagrande Bellinzona, 2004) che porta la prefazione della nota psicoanalista Silvia Vegezzi Finzi e un sottotitolo molto intrigante: ‘Atti unici. Piccole storie di ombre infantili’. Atti unici, appunto, come certe “pièce” teatrali, in cui una storia si riassume in una situazione emblematica capace di dire quel che pagine e pagine di dialogo non saprebbero neanche lontanamente raccontare. Si pensi alla vicenda che dà il titolo al volume e che narra, concentrata in una sequenza che vede protagonista una bambola completamente incerottata, dei primi giorni e mesi di vita di una bambina rumena abbandonata in un orfanotrofio, avvolta in una fasciatura che le lacera la pelle e salvata per miracolo dai genitori adottivi grazie all’intervento della Croce Rossa. Proprio intorno all’uscita di questo volume, che nel 2005 ha ricevuto il premio Schiller, la scrittrice ha concesso a Pierre Lou Lepori una bellissima intervista pubblicata da culturactif.ch.

Sono racconti strazianti, quelli di Giuliana Pelli Grandini, frutto di esperienze terapeutiche che non possono che lasciare segni dolorosi anche in chi cura, ma che l’autrice sa progressivamente volgere al letterario, nella sperimentazione di un registro che fra il teatrale e l’infantile diventa uno strumento narrativo per opere successive, più esplicitamente e chiaramente letterarie: si pensi alla raccolta di racconti “Le Margunfole” (Ed. Opera Nuova, 2013) o alle prose dai tratti autobiografici di “Talismano” (Alla Chiara Fonte, 2022), che reca una bella prefazione di Manuela Camponovo e che era stato presentato solo pochi mesi fa alla Biblioteca Salita dei Frati di Lugano.

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