Da dietro al bancone a fare il cappuccino in uno dei tanti ‘franchise’ musicali della città: ‘Cantiamo in bianco e nero, come al Sanremo di un tempo’
Nel parlare di case d’artista ci eravamo dimenticati della rosticceria BigMama, che sta dalle parti del Palafiori. Lì, la rapper avellinese – protagonista di una toccante conferenza stampa sul tema del bullismo – serve pasta, patate e provola. Evidentemente è il Sanremo del franchising. Brioche, pizzette, focaccia e panini erano in mostra anche nella casa d’artista di Piazza Sardi, dove però gli artisti sono due, ‘in dialogo’, come si dice in questi casi, e pronti a prepararti il cappuccino di persona. In questo bar-ristorante che chiameremo atelier ti accolgono Francesco Renga da Brescia, noto nel mondo dell’arte come ‘Renga’, e Filippo Neviani da Sassuolo, per i galleristi della musica semplicemente ‘Nek’.
Più che di panini e brioche, è di ‘Pazzo di te’ che si parla, canzone in gara che affonda le radici in una collaborazione denominata ‘Renga Nek’ iniziata tempo fa. «In un modo molto naturale – racconta il Neviani – ci siamo chiesti: “Mi fai ascoltare i tuoi pezzi?”». L’unione tra voci maschili si è compiuta per la naturalità del mettere in condivisione i rispettivi repertori, ma anche perché «il nostro pubblico è simile, la tessitura vocale anche», fa notare il Renga. Che aggiunge: «È anche un modo per rinnovarci dopo tanti anni di carriera, 30 (Nek, ndr) o 40 (Renga, ndr) che siano, per scoprire nuovi tracciati, trovare nuove energie, nuova linfa, cosa che oggi non è semplicissima per la nostra generazione di cantautori».
‘Pazzo di te’ è il classico che avanza, è il ‘sanremese’ nella sua accezione migliore, è la canzone ‘all’italiana’ in senso non dispregiativo, ‘all’italiana’ come la commedia di epoca pre-panettoniana. Ci senti dentro Dalla e Vasco, nell’inquadratura da Canzonissima col microfono che scende dall’alto, o in una da Studio Uno, dove “cantano Renga e Nek” potrebbe dirlo Mina. Renga, sempre dal bancone: «Siamo convinti che la canzone conti, e conti soprattutto il modo in cui la si porta sopra un palcoscenico come quello dell’Ariston. È stata pensata per quel luogo e per quell’orchestra, e tutto il resto che va dall’interpretazione fino agli outfit si adatta a quel racconto. Parliamo di una canzone scritta in un modo in cui non si fa più, di un brano che ha echi anni ’60, che ricorda quel Sanremo in bianco e nero». Appunto.
Detto in versi, gran parte di ‘Pazzo di te’ sta più o meno in “L’amore è un giudice / È un miserabile / Lo trovi in tasca ma / Non lo puoi spendere / L’amore è nobile / È fatto di un metallo indistruttibile / Ma è così fragile”. Renga: «Sentivamo l’urgenza di raccontare un amore da uomini adulti, un amore irrisolto come tanti, incompleto come tanti, ma col quale rapportarsi in maniera pura, visti i moltoi amori tossici ai quali assistiamo, dei quali si racconta in modo malato anche in certe canzoni». A questo proposito: «Ascolto di rfilesso quello che ascolta mio figlio e rimango un po’ stranito da certi testi, non è quello l’amore che mi va di raccontare», dice papà Renga, prendendone atto. Anche quella musicale è una presa d’atto, l’idea che arrivati a una certa età potrebbe anche non servire più correre dietro al cambiamento, inteso come l’hip hop e i suoi fratelli. Nek: «Sono due linguaggi diversi, due stili di musica completamente differenti. È il caso che noi si continui a fare quello che ci riesce bene». Renga: «Non appartiene alla nostra generazione, sarebbe inutile scimmiottarlo».
Per chiudere. Il pezzo portato in gara è il risultato di una scelta con due sole opzioni: «Sono stati i nostri figli a scegliere ‘Pazzo di te’». Quanto alla serata dei duetti, farlo in casa, senza ospiti, scelta che qualcuno ha criticato, porta a una sola risposta: «Cantiamo cose nostre che grazie al Festival sono diventate un pezzo di storia. A chi non piacerà la scelta, c’è sempre il telecomando, che dà ampia facoltà di cambiare canale». Su chi vincerà in Festival, anche qui la risposta è una sola: «Noi, ma pensavamo che fosse già chiaro».