Cinquant’anni fa in gennaio andava in onda la prima puntata di una sitcom che è stata un percorso di crescita, la cui storia sta in un libro-enciclopedia
“Io e Fonzie… siamo molto diversi e, allo stesso tempo, molto simili. Non sono mai stato un figo. Non ho mai avuto la disinvoltura di Fonzie con le ragazze, e non sono mai riuscito a far partire il juke-box con un colpo della mano. Vi svelo a tal proposito un segreto: quando Fonzie colpiva leggermente il vetro del juke-box con un pugno, era un uomo meraviglioso dal nome Bob ad attaccare tempestivamente la spina per farlo partire”.
Apriamo le commemorazioni che il 2024 ha in serbo per noi con parole di Henry Winkler, in arte Arthur Fonzarelli, Fonzie o The Fonz, in uno dei mille aneddoti che un appassionato di qualsiasi cosa – film, serie televisive, dischi, imprese sportive, festival canori, riunioni di condominio – si farebbe raccontare per ore. Il destino (il tempo) ci dice che a giorni, nel gennaio appena cominciato, cadono i cinquant’anni dalla prima puntata di ‘Happy Days’ negli Stati Uniti e gli odierni ‘teenager dentro’ che hanno sognato il giubbotto di pelle di Fonzie anche se non ne avevano il fisico, potranno celebrare la ricorrenza come gli pare. Eventualmente, anche con una specie di enciclopedia intitolata ‘La nostra storia’, sottotitolo ‘Tutto il mondo di Happy Days’, uscita nei mesi scorsi per Minerva con largo e giusto anticipo. Inaugurate dalla prefazione di Fonzarelli, le 447 pagine di questo tomo si devono al giornalista e scrittore Emilio Targia e a Giuseppe Ganelli, che unisce il titolo di medico radiologo a Codogno a quello di fondatore dell’Happy Days International Fans Club e a quello di collezionista di ogni cosa del telefilm (preziosi, coloratissimi cimeli appaiono in mezzo e in coda al libro provocando nell’appassionato un misto di nostalgia, invidia e desiderio di appropriarsene in modo illecito).
Nel caso in cui la Generazione Z, in altre e più digitali faccende affaccendata, volesse sapere cosa guardavano i nonni in tv prima del Tg, può essere divertente sapere che la situation comedy ‘Happy Days’ (Giorni felici) è ambientata tra gli anni 50 e 60 del secolo scorso e narra le vicende della famiglia Cunningham, padre commerciante (il pacioso Howard, proprietario di ferramenta e membro della Loggia del Giaguaro) e madre casalinga (Marion, fonte inesauribile di positività). Il figlio maggiore si chiama Richie ed è premuroso nei confronti della sorella Joanie, nota anche come ‘Sottiletta’. I Cunningham avrebbero anche un secondo figlio maschio, Charles (‘Chuck’), che un bel giorno la produzione decide di eliminare dalla storia senza dare spiegazioni, dando così vita alla ‘Sindrome di Chuck Cunningham’, quella con la quale, in un’opera televisiva, s’intende la scomparsa di un personaggio senza un perché. I Cunningham vivono a Millwaukee, nel Wisconsin, in un clima di finzione televisiva che – guardando a quel che accade oggi nelle nostre città – pare quello di ‘Truman Show’, ma che invece ha tutte le caratteristiche di un sogno americano almeno sognabile, nel quale anche il bulletto di quartiere – il meccanico Fonzie, la cui popolarità negli anni della serie sfiorò le intensità della Beatlesmania – nasconde un cuore tenero.
Nelle undici stagioni di un telefilm capace d’insegnare il rispetto reciproco in modo più immediato del catechismo, in ‘Happy Days’ si sono alternati personaggi a decine: da Ralph e Potsie, i migliori amici di Richie, ad Arnold e Alfred, i proprietari di ‘Arnold’s’, luogo di ritrovo giovanile che è l’equivalente del Bar Mario di Ligabue. E poi Jenny Piccalo, la migliore amica di Joanie, e Chachi Arcola, cugino di Fonzie e innamorato di Joanie, che nella vita reale s’innamorerà davvero di lei (ma non per molto).
‘La nostra storia’ regala la genesi di ‘Happy Days’, le monografie dei singoli personaggi, le interviste esclusive agli attori viventi, la guida completa agli episodi, le reunion, il musical e dettagliatissimi approfondimenti tecnici: le auto e le moto del telefilm, le location, le sigle e un’imperdibile fenomenologia di Arthur Fonzarelli con approfondimento sul giubbotto (si apprende che uno di quelli usati in scena è esposto dal 1980 al Museo Smithsonian di Storia americana a Washington).
Il capitolo spin-off apre al ricordo di Robin Williams, chiamato sul set della sit-com dal produttore e sceneggiatore Garry Marshall, curioso di sapere dal figlioletto quale nuovo personaggio avrebbe voluto vedere di fianco a Fonzie; figlioletto che, in piena era ‘Guerre Stellari’, gli suggerì un alieno. Tanto forte fu l’impatto televisivo dell’alieno Mork in una delle puntate da spingere Marshall a dare vita allo spin-off di ‘Mork & Mindy’, da cui la fortunatissima serie della Abc; da cui il virale giochino con le dita (“Na-no na-no“); da cui il lancio definitivo del grande attore morto suicida nel 2014 in un non raro cortocircuito della felicità.
Cinquant’anni dopo, Richie Cunnigham è un regista da due premi Oscar di nome Ron Howard; Marion Ross (Marion) è ancora fonte inesauribile di positività; sono in buona salute anche Ralph Malph (Donny Most) e Potsie Weber (Anson Williams), ospiti per eccellenza dei programmi sui bei tempi andati. Stanno bene anche Chachi (l’autodichiaratosi trumpiano Scott Baio) e Jenny Piccalo (Cathy Silvers), tra gli intervistati del libro insieme alla rocker Suzi Quattro (Leather Tuscadero nel telefilm).
‘Happy Days’ ha salutato per sempre Alfred (Al Molinaro, 1919-2015), Arnold (Pat Morita, 1932-2005, più tardi maestro di arti marziali in ‘The Karate Kid’) e papà Howard (Tom Bosley, 1927-2010). ‘Happy Days’ ha perso soprattutto Joanie. Bimba prodigio, sorella di altri due attori, uno dei quali (Tony) è entrato nella storia del cinema con la faccia di un altro (è il Michael Myers di ‘Halloween’, con indosso una maschera), Erin Moran è il giorno triste di ‘Happy Days’: sfumato il provino per diventare Regan, la bimba posseduta de ‘L’Esorcista’ (la madre non le avrebbe permesso di recitare in un ruolo così scomodo, nemmeno se la figlia fosse stata scelta), scavalcata da Brooke Shields per il ruolo di Emmeline Lestrange in ‘Laguna Blu’, Moran è stata un tutt’uno con la sitcom per le complessive undici stagioni e i ruoli successivi in ‘La signora in giallo’, ‘Love Boat’ e ‘Beautiful’, più che un rilancio, sono stati una prigione. I problemi di alcol e droga hanno fatto il resto.
Le ultime apparizioni pubbliche di Sottiletta non sono state edificanti. Nella meno edificante, l’attrice commenta le dimensioni dei genitali di Chachi ai tempi dell’innamoramento, prima che un tumore alla gola scriva per lei la parola fine. “La bambina del set”, come la ricorda Ron Howard (“Use me, use me!”, lo implorò Moran, chiedendo una parte in uno qualsiasi dei film dell’ormai affermato regista), stava raccogliendo le sue memorie nell’eloquente ‘Happy Days, Depressing Nights’, libro autobiografico che non ha mai visto la luce. Dai racconti in vita dell’attrice, che il Tubo regala, il libro sarebbe forse partito da quando Hollywood la scritturò a 5 anni per uno spot pubblicitario, con un contratto durato tutta la vita, nella buona e nella cattiva, anche cattivissima sorte.
“Storielline insulse, interpretate pessimamente da attori che si muovono come burattini e recitano battute improbabili. È un mistero, anche doloroso, quando si scopre che i propri figli assumono immediatamente gli insulsi modi di fare di Fonzie”. Questo, nel 1980, era ‘Happy Days’ per Maurizio Costanzo, che una ventina d’anni dopo avrebbe propinato al pubblico italiano gli eroi del Grande Fratello nel giorno di festa, affondando un dignitoso momento d’intrattenimento intitolato ‘Buona domenica’. “Potranno anche essere storie diseducative, di assoluto disimpegno, che fanno parte del cosiddetto riflusso che sta dominando l’Italia, ma... devo vergognarmi perché mi diverto?”, gli fece eco Renzo Arbore.
Di questo e di quando, nel febbraio del 1978, la Rai trasmise ‘Furia’ (il cavallo del West) al posto di ‘Happy Days’ aprendo alla raccolta di firme per il ritorno di Fonzie & C. alle 19.20, si narra amabilmente nel capitolo ‘La febbre italiana’, comprensivo del parere di Nanni Moretti che (in ‘Aprile’) vide nella serie tv una delle cause della crisi della sinistra, e di quello di Jovanotti, per il quale ‘Happy Days’ era “una vaccata”.
Gli anni d'oro del grande Real
Gli anni di Happy days e di Ralph Malph
Gli anni delle immense compagnie
Gli anni in motorino sempre in due
Gli anni di che belli erano i film
Gli anni dei Roy Rogers come jeans
Gli anni di qualsiasi cosa fai
Gli anni del tranquillo siam qui noi
Siamo qui noi
Max Pezzali, ‘Gli anni’ (1995)
Interpellati dagli autori, in tanti dicono la loro su ‘Happy Days’ in ‘La nostra storia’. A cominciare da Fabio Fazio, uno che “avrebbe tanto voluto ritrovarsi da Arnold’s, ma che doveva accontentarsi del caffè del centro”. E poi Massimo Cotto (“Ci saremmo presto svegliati, ma il sogno è stato così forte che ancora ce lo portiamo dietro”), Ale e Franz (“Era un mondo che ci arrivava addosso prima di cena, e lo si aspettava con grande gioia”) e Luca Bizzarri: “C’era chi voleva essere Fonzie, ma io sapevo di non avere il fisico, quindi mi sarei accontentato di essere Potsie, anche se alla fine sono diventato una via di mezzo tra Ralph Malph e Alfred”.
Di tutte le voci fuori campo, ce n’è una che lascia un segno tutto suo: “‘Happy Days’ mi ha insegnato l’America, non quella dura e cruda della guerra del Vietnam e della segregazione, non quella dei ghetti urbani e delle diseguaglianze sociali, bensì l’America dei sogni, delle opportunità, dei motori esagerati, del rock’n’roll, dei giubbotti di pelle ma anche dei cardigan, dei buoni sentimenti, delle famiglie unite e dei milk-shake alla fragola”. Lo dice Max Pezzali nella postfazione, e al netto degli accenti messi un po’ come gli pare nelle sue canzoni, chi mai vorrebbe contestare la capacità evocativa a uno che ha scritto ‘Gli anni’? “Il 16 marzo 1978 – scrive soprattutto Max – Suor Liliana entrò in classe bianca in volto, ci disse che la scuola avrebbe chiuso a breve, non era mai successo”.
Nel restituire fedelmente a tutti i teenager italiani del tempo l’identica sensazione di paura vissuta il giorno del rapimento di Aldo Moro, e quella vissuta nelle ore e nei giorni a seguire, compresa in pieno solo da giovani adulti, Pezzali sintetizza ‘Happy Days’ in un paio di semplici e definitive righe: “La famiglia Cunningham con la vecchia DeSoto blu parcheggiata nel vialetto era la nostra unica granitica certezza, l’immagine di un mondo ideale e incantato che ci dava la forza di affrontare un presente incerto e inquietante. E con Fonzie al nostro fianco, tutto sarebbe andato per il meglio”.