laR+ L'INTERVISTA

Cercas: i fascisti oggi si vestono da democratici

Lo scrittore spagnolo riflette sulle verità ambigue della letteratura e sui golpe postmoderni, da Trump alla Catalogna

Javier Cercas
(Wikimedia commons)
15 dicembre 2023
|

"Parlo alcune lingue, ma tutte in spagnolo", si schermisce Javier Cercas, che in realtà si esprime in un italiano fluente e limpido. Il successo duraturo di ‘Anatomia di un istante’, romanzo che racconta il fallito golpe del 23 febbraio 1981 in Spagna, tentato dal colonnello Tejero, è l'occasione per riflettere sul fascismo contemporaneo e sul ruolo della letteratura.

Cercas, lei distingue tra colpi di stato moderni e postmoderni: che cosa intende?

Quello di Tejero è stato l'ultimo golpe moderno in Spagna, un golpe tradizionale perché andava contro la democrazia: si voleva creare una dittatura come quella di Franco. Invece la gente che ha assaltato il Campidoglio su ordine di Trump pretendeva di difendere la democrazia: questa è una differenza enorme. Allo stesso modo nel 1917 in Catalogna si parlava di radicalità democratica ma in realtà si voleva distruggere la nostra Costituzione. Oggi si va contro la democrazia nel nome della democrazia, perché il suo prestigio è ancora alto, tranne in alcuni Paesi in cui si invoca l'uomo forte: penso a quel pazzo che c’è oggi in Argentina.

La Spagna passò alla democrazia in un modo particolare.

La guerra civile spagnola è stata il primo atto o il prologo della seconda guerra mondiale, e infatti in tutti i Paesi europei c‘è stata anche una guerra civile. La differenza è che in Francia e in Italia non ha vinto il fascismo, in Spagna e in Portogallo sì. Franco è stato un dittatore tradizionale col suo nazional-cattolicesimo. I libri di storia dicono che la guerra civile è durata 3 anni, ma non è vero: è durata 43 anni, perché la dittatura non ha portato la pace, ma è stata il prolungamento della guerra con altri mezzi. I politologi dicono per altro che la transizione è stata un'eccezione, senza rivoluzioni nè bruschi momenti di passaggio. Non c’è stato un piano, un cervello che abbia previsto tutto questo: nessuno, neanche il Re, aveva idea di cosa sarebbe successo. Penso che sia stato un patto non di oblio, ma di ricordo: all'epoca tutti ricordavano la guerra, l'odore della guerra, la realtà della guerra. Mia madre, una donna molto umile che non aveva studiato, di famiglia franchista, non voleva che andassi all'università il giorno del passaggio alla democrazia perché temeva chissà cosa. Non ci furono eventi traumatici grazie al senso di responsabilità della classe politica, che non voleva che certe scene del passato si ripetessero, visto che le ricordava bene.

Gli spagnoli da quale parte stavano?

Una delle menzogne che noi spagnoli amiamo raccontarci è che eravamo tutti antifascisti. Completamente falso: la maggior parte della società era passivamente franchista. In Spagna si arrabbiano se dico queste cose, ma non me ne importa nulla.

Il cuore morale di ‘Anatomia di un istante’ è il tradimento. La Spagna democratica nasce dal tradimento?

I tre che all'irruzione di Tejero nel parlamento di Madrid non cercarono riparo sotto i banchi dell'emiciclo, ma rimasero seduti in segno di sfida, sono eroi del tradimento. Nessuno di loro aveva un passato democratico, ma nella maturità avevano scelto tutti la democrazia. In questo caso il tradimento è virtuoso, coraggioso e onesto, perché si compie in favore della democrazia. Pensiamo a Santiago Carrillo: ancora oggi l'estrema sinistra di ‘Podemos’ lo ritiene un traditore per aver tradito stalinismo e accettato il Re, ma il dilemma democrazia/monarchia è antiquato, come dimostrano i Paesi nordici. Dal lato opposto, col primo ministro Suárez e col generale Gutiérrez i fascisti pensavano che il franchismo sarebbe durato altri 20 anni, e invece Suárez smontò il franchismo, convocando elezioni a cui furono ammessi anche i comunisti. Senza questi tradimenti del passato, oggi in Spagna non avremmo la democrazia. Loro non sono stati soltanto statisti, ma eroi del tradimento. Hanno dimostrato che non sono i fini a giustificare i mezzi, ma i mezzi a giustificare i fini.

Lo dice da romanziere o da cittadino?

Il romanziere e il cittadino sono figure diverse, anzi opposte. Il romanziere lavora con verità che sono sempre ambigue, contraddittorie, ironiche. Il romanzo è stato inventato da uno spagnolo, Cervantes, che ci ha messo l'ironia: Don Chisciotte è un pazzo, ma allo stesso tempo è l'uomo più lucido e intelligente del mondo, capace di discutere dei temi più complessi. Un personaggio ridicolo di cui tutti ridono, ma anche un personaggio tragico: tutto il Don Chisciotte è così. Per Thomas Mann il romanziere dice sì e no contemporaneamente, non dirà mai che un personaggio è buono e un altro è cattivo, che una cosa si può fare e un'altra no, perché deve mostrare l'infinita complessità del reale. L'intellettuale invece partecipa alla vita pubblica, è un cittadino che ha delle opinioni e in quanto tale può anche tener conto di ironie e sfumature, ma alla fine deve dire sì o no, non può essere neutrale. Davanti all'aggressione a una donna non si può dire che l'aggressore aveva le sue ragioni: bisogna dire di no. Dante chiamava i neutrali ‘ignavi’.

Come vive questa contraddizione tra romanziere e cittadino?

Ricordandomi che sono due aspetti diversi e che l'uno non deve invadere il campo dell'altro: se vince il cittadino, i romanzi diventano propaganda e pedagogia e questa è la morte della letteratura; ma neanche il romanziere può vincere perché si diventa neutrali e quindi complici del crimine. Io voglio che il lettore abbia empatia con personaggi dubbi, con gli impostori, con gli assassini, con Riccardo III, con Raskol'nikov. Se la letteratura non fa questo, smette di essere letteratura.

Da cittadino, che effetto le hanno fatto le dichiarazioni di Abascal, il leader del partito di estrema destra Vox, che ha invocato l'impiccagione per i piedi per il premier socialista Sanchez?

La storia si ripete sempre, però con maschere diverse. Replichiamo sempre gli stessi errori e, come diceva George Bernard Shaw, non impariamo niente. La violenza in epoca fascista era uno strumento politico legittimo, mentre oggi quando questo pazzo dice certe cose ne viene fuori uno scandalo internazionale e allora è costretto a precisare che ha usato una metafora e che non bisognava prenderlo alla lettera. Come vede, il fascismo si è trasformato e ha una faccia diversa e più pericolosa. Anche Putin parla di democrazia, perché oggi le democrazie si attaccano da dentro, si distruggono dall'interno. Mi spaventa che ormai anche i leader democratici si comportino come i nazional-populisti, con l'uso della menzogna come arma politica, vedi la Brexit o l'inondazione di bugie nel caso della Catalogna. Secondo il Vangelo, la menzogna crea gente schiava del potere. E questo è più pericoloso del fascismo. Non bisogna mai cullarsi sugli allori: nel momento in cui ci si rilassiamo, considerando la democrazia finalmente compiuta, in quel momento la democrazia è in pericolo.

Come si fronteggia la crisi della democrazia?

Con più democrazia. In Spagna il problema sono i partiti. Più in generale, bisogna trovare forme di partecipazione dei cittadini che non riducano la democrazia a un voto ogni 4 anni, perché così la democrazia diventa povera e insufficiente. Troppa partitocrazia e poca partecipazione sono fattori preoccupanti. Nel libro ‘Contro le elezioni’ il belga David van Reybrouck suggerisce di sorteggiare, anziché eleggere, la classe dirigente.

E che cosa facciamo con l'Europa?

Sono un europeista estremista. L'Europa mi sembra un'utopia ragionevole, quindi non utopia nel senso di luogo che non esiste, ma utopia nel senso di luogo ideale, ma bisogna che siamo tutti europei, che ci crediamo tutti. Invece ho l'impressione che i politici non ci credano.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔