laR+ Fotografia

La luce dipinge la foto

Fino al 26 gennaio, una parte del lavoro di Christof Klute è in mostra tra la Galleria Cons Arc di Chiasso e la Fondazione Rolla a Bruzella

Cézanne’s window I-XII – Aix-en-Provence 2021
(Christof Klute)
14 gennaio 2024
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Una gran bella presentazione tra la Galleria Cons Arc di Chiasso e lo spazio espositivo della Fondazione Rolla a Bruzella ci mostra una parte del lavoro di Christof Klute, fotografo tedesco che proviene dall’alveo della scuola di Düsseldorf. Si tratta di una matrice culturale dai molteplici significati storici, tra i quali possiamo citare il magistero dei coniugi Hilla e Bernd Becher che ci hanno consegnato una importante indagine tassonomica sulla civiltà industriale attraverso una numerosa serie di ritratti di fabbriche, silos, serbatoi pubblici… In seguito e al seguito dei due maestri si è sviluppato il lavoro di un gruppo di fotografi che è riuscito a traghettare la loro pratica nel sistema dell’arte beneficiando di importanti profitti e di una brandizzazione della propria identità anagrafica e di alcuni contenuti iconici. Ancora qualche mese fa, a Bologna, Andreas Gursky veniva presentato da Urs Stahel come un brand di successo e così le immagini da lui prodotte.

All’interno del sistema di produzione detto ‘scuola di Düsserldorf’ troviamo immagini significative, anche in termini di metodo di ripresa, di indagine sullo statuto della fotografia e di produzione di immaginario; insieme troviamo una buona dose di inquinamento e di pornografia immaginifica (pensiamo ai giochi di frammentazione grafico-automatico-sociali operati da Andreas Gursky o a certe celebrazioni cartolinesche e dozzinali di Thomas Struth). Christof Klute è invece specificamente interessato ad analizzare lo spazio attraverso modalità interessanti, delle quali nella duplice mostra vediamo più esempi.

Assemblaggio

A Chiasso, entrando a sinistra, c’è una grande rappresentazione della enorme finestra volta a nord situata nell’atelier di Paul Cézanne, a Aix-en-Provence. Stiamo parlando di un luogo di lavoro ormai trasformato in luogo turistico, con tanto di gadget iconici come le due mele appoggiate sul parapetto che dubito siano state lasciate dall’artista, morto nel 1906 (l’impegno profuso da Paul Cézanne nel dipingere correttamente una mela è leggendario). Klute registra nell’immagine ciò che il pubblico riceve dagli allestitori dello spazio turistico-museale e si concentra sul significato di finestra. Nella specifica situazione, a Aix-en-Provence, notiamo due elementi. La verdeggiante vegetazione esterna all’edificio domina il campo della immagine con la sua varietà cromatica e diventa, nel lavoro di Klute, un tributo e una ripresa di un importante tema cézanniano: cosa è un albero, come rappresentarlo e qual è il ruolo possibile dei verdi nella nostra percezione e nella rappresentazione. La finestra ci viene presentata dunque come il filtro che dà accesso alla realtà, al vero, a ciò che ai tempi di Cézanne si chiamava motif e il fotografo ci restituisce tutto ciò in immagine con una ricchezza cromatica che induce la nostra mente a riprendere il modo in cui l’artista al quale si sta rendendo tributo trattava la questione del colore.

Veniamo al secondo aspetto. La grande finestra è fatta a griglia: i rettangoli di vetro sono circondati da cornici metalliche, il risultato è una griglia attraverso la quale noi dall’interno dell’atelier vediamo l’esterno. Guardando bene, però (io ci ho messo un bel po’, come di consueto) ci accorgiamo di vedere una doppia griglia come se ci fosse una doppia finestra incaricata di fare da filtro tra l’interno e l’esterno dell’atelier di Cézanne. Realizziamo poi che la seconda griglia non è interna all’immagine, non fa parte della realtà rappresentata ma dell’allestimento costruito, perché Klute ha assemblato 12 fotografie rettangolari e la cornice che definisce i contorni dei 12 tasselli costruisce la seconda griglia che disassa, disarciona, disloca e dinamizza la nostra percezione. Aggiungiamo a ciò il fatto che la ripresa fotografica si distribuisce in una sequenza nella quale ogni tassello include un pezzo del precedente: se per esempio guardiamo il primo rettangolo in alto a sinistra, ciò che vediamo nella parte destra coincide con ciò che vediamo nella sinistra del successivo. Ciò conferisce alla rappresentazione un connotato narrativo.


Christof Klute
Sognefjord II

Passiamo alla casa progettata da Ludwig Wittgenstein per sua sorella e il marito di lei. Christof Klute si concentra, ancora, su dettagli delle finestre e gioca con i molteplici piani e linee definiti dalle imposte, dalle vetrate, dagli stipiti, dalle cornici e dalle stesse maniglie verticali in metallo. È una riflessione su un particolare tipo di architettura, razionale, moderata; scava in profondo, attraverso dettagli, sul significato spaziale del dispositivo architettonico.

È piuttosto interessante vedere come Klute, a distanza di anni, ritorni sullo stesso soggetto con coerenza e continua ricerca. Lo vediamo confrontando le immagini esposte alla Fondazione Rolla e quelle più recenti esposte alla ConsArc.

In entrambi i casi (ma vale anche per il lavoro con i bianchi fatto nelle fotografie della chiesa del collegio di Sarnen che vediamo alla Fondazione Rolla e per il gioco di curve e fughe di linee della scala della Casa Cattaneo a Cernobbio che vediamo alla ConsArc) la matrice dell’indagine è architettonica ma noi vediamo come Klute persegua un percorso più profondo di analisi della realtà e più interno alla questione dell’immagine, per realizzare il quale ci mostra una spiccata sensibilità pittorica. Tutto ciò è particolarmente evidente nelle immagini esposte alla Fondazione Rolla, dedicate alla montagna che si vede, al di là del piano d’acqua, dalla casa dove Ludwig Wittgenstein andava a lavorare.


Christof Klute
Sognefjord III

Qui Klute non ha bisogno del supporto dell’architettura; il lavoro dei piani viene svolto soprattutto dallo specchio d’acqua, molta importanza ha ancora la gamma di verdi e la luce si raccoglie nella superficie visiva sul vuoto del cielo, sul corpo della montagna con le sue vene, rughe, macchie di colori diversi e sul piano riflettente, trasluccicante o talvolta opaco dello specchio d’acqua.

Mettendo in gioco un limitato novero di componenti, ambientando il proprio lavoro in contesti culturalmente molto contrassegnati (Cézanne, Wittgenstein, Studer, Le Corbusier…) , Christof Klute ci restituisce una rappresentazione tanto delicata quanto strutturata, tanto analitica quanto lirica e all’interno di questa un florilegio policromo di verde.

Di fronte al cielo ripreso dalla abbazia di Mariawald o alle due finestre della casa dei Russi al Monte Verità, vediamo in che modo la sensibilità pittorica di questo artista gli consenta di dipingere ogni volta, con la luce impressa nella fotografia, una idea di spazio e la popolazione di segni che lo rendono vivibile nella nostra percezione.