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L'importanza di ricordare

Un breve viaggio nell’Alzheimer e un ricordo di Pippo Bellone, siciliano cresciuto a Locarno, autore del racconto di formazione ‘Le strade’

Si stenta a riconoscere, perché tutto è cambiato
(Depositphotos)

Pubblichiamo contenuti da ‘Otium’, pagina culturale a scadenza mensile

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In memoria di Pippo Bellone, locarnese - Dall’emigrazione alla letteratura

di Jean-Jacques Marchand, storico della letteratura

Pippo Bellone, nato nel 1956 a Sambuca nella provincia di Agrigento, era giunto da ragazzo con i genitori nel Locarnese. Compiute le scuole dell’obbligo si era dedicato all’attività di parrucchiere. Nel 1982, all’età di 25 anni era tornato vivere in Italia, a Montescaglioso vicino a Matera, patria della moglie Maria. Ma durante tutta la sua vita aveva portato in sé il ricordo dell’infanzia in Sicilia, della prima sfida dell’emigrazione, della sua integrazione nella vita sociale ticinese, pur rimanendo fedele con la memoria alle sue radici. Questa esperienza aveva trovato modo di raccontarla in un trittico narrativo, intitolato Le strade (2016), che ripercorreva tre momenti salienti di cinquant’anni di vita, riunendo tre pubblicazioni degli anni precedenti.

Il libro – che avevamo presentato nel 2018 alla Biblioteca Cantonale di Locarno – evocava nella prima parte i luoghi dell’infanzia e della gioventù: quella di un periodo di innocenza e di serenità. Il luogo natio veniva in qualche modo mitizzato per i suoi aspetti geografici e climatici: il mare, la montagna, il sole, ma anche sociali (una rete di amicizie e di mutuo soccorso), e familiari (i nonni, gli zii, i cugini, i fratelli): insomma il grande nucleo della famiglia allargata con numerosi figli e varie generazioni sotto lo stesso tetto o comunque vicini. Seguiva l’episodio pure ricorrente nella narrazione di emigrazione: il lungo viaggio verso la meta migratoria: la città affollata, rumorosa e aggressiva da dove parte il treno, la stazione, gli altri viaggiatori che lasciano la casa forse per una vita, la promiscuità, il sonno, i mutamenti dei paesaggi, delle parlate e dei luoghi.

La seconda parte del racconto, abilmente collegato al primo con un’elegante transizione era centrato sulla scoperta del luogo di emigrazione segnata dall’estraneità dei luoghi e delle persone, poi, nel passare dei giorni, dall’impressione di non farcela né psicologicamente né materialmente; la forza tratta dalla falsa speranza di poter presto tornare al proprio paese per ritrovare un passato felice; i primi successi, ma anche le prime delusioni; il progressivo adeguamento agli usi del luogo, la comprensione degli altri, l’integrazione, l’ascesa sociale e professionale, i rapporti familiari e sociali che vanno mutando a contatto di altri usi, costumi e valori.

La terza, lontana quasi un cinquantennio dalle prime due, aveva per tema il ritorno dopo alcuni anni al paese natio, che si stenta a riconoscere, perché tutto è cambiato e perché si è anche cambiati nel crescere e nel vivere in un altro ambiente. E, a monte di tutta questa narrazione, si delineava la volontà di tracciare un percorso, di capirsi meglio, di offrire ad altrui motivi per affrontare simili realtà, e ancora più generalmente o profondamente la problematica delle radici, o, meglio, del radicamento e della formazione della personalità.

Le strade si presentava perciò, oltre che come un racconto di emigrazione, come un racconto di formazione.

La crescita di coscienza nata da questa esperienza, la scoperta dell’importanza della scrittura e della letteratura, nella quale si era in qualche modo inserito con questa opera d’intento letterario (a cui aveva fatto seguito un altro racconto nel 2017, intitolato Te lo dirò domani), lo avevano spinto a fondare a Montescaglioso, nella provincia di Matera, una casa editrice e a organizzare un evento culturale intitolato “Il paese dei libri”, che era divenuto un importante punto di riferimento per la cittadina.

La sua città natia, ma anche i numerosi amici locarnesi, ne hanno pianto la scomparsa nell’aprile del 2023.

Il suo nome e le sue opere compariranno nella nuova versione della “Banca dati sugli scrittori / scriventi di lingua italiana all’estero” (BASLIE) che stiamo allestendo per l’Accademia della Crusca di Firenze con già 700 opere e 400 autori. Questa nuova piattaforma creata all’Università di Losanna e prossimamente accessibile online su un nuovo sito della maggiore accademia della lingua italiana, informerà sulle opere letterarie scritte da residenti italiani all’estero.

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Disturbi della memoria e malattia di Alzheimer, I

di Matteo Borri, storico della scienza

Il funzionamento della memoria e i suoi disturbi sono argomenti da sempre ampiamente discussi in psichiatria e oggi, particolarmente, nello specifico campo del sapere relativo alla malattia di Alzheimer (AD). Ma contrariamente alle nozioni, oggi ampiamente accettate, sulla relazione tra malattia di Alzheimer e memoria, questo legame non è sempre stato così immediato nella storia della malattia. Le prime osservazioni di Alois Alzheimer sulla prima paziente menzionavano disturbi della memoria, ma senza spiegare il ruolo di questi nella patologia manifestata da Auguste D. Quando Alzheimer osservò il primo caso clinico, nel 1906, non prestò infatti particolare attenzione alla perdita di memoria o ai suoi specifici disturbi. Nella sua descrizione del caso, e in quelle successive dei suoi collaboratori – perlopiù italiani che si stavano perfezionando presso la clinica di Monaco diretta da Emil Kraepelin –, memoria era uno dei termini che accompagnavano – ma non determinavano – il morbo di Alzheimer.

La storia di questa patologia inizia a Francoforte nel 1901 con un incontro tra la paziente Auguste D. e Alois Alzheimer. Il medico di famiglia, che in quello stesso anno ne aveva richiesto il ricovero in clinica, la presentava come una donna affetta da manie di persecuzione, insonnia, agitazione e debolezza di memoria. Incapace di svolgere qualsiasi lavoro fisico o mentale. Auguste D. aveva dunque bisogno di cure nella clinica psichiatrica di Francoforte dove in quegli anni si trovava a lavorare Alzheimer. Attraverso un'attenta osservazione della paziente e grazie ai ripetuti colloqui con lei – tutti annotati meticolosamente – Alzheimer iniziò ad avere un'idea più chiara del quadro clinico di Auguste D. Lo psichiatra notò tra l’altro gravi disturbi del linguaggio, in particolare sintomi di tipo afasico, la cui gravità lo incuriosì; tali sintomi infatti erano stranamente presenti in una fascia di età in cui generalmente non avrebbero dovuto manifestarsi. Egli seguì dunque con interesse Auguste.

Quando la donna morì nel 1906, Alzheimer, che nel frattempo si era trasferito per lavoro nella clinica di Kraepelin a Monaco, si fece inviare il cervello della paziente e ne eseguì un'autopsia dettagliata. Nell'effettuare l'autopsia, ciò che osservò nei preparati istologici al microscopio lo convinse a condividere il caso di Auguste con la comunità scientifica. Pur esprimendo dubbi sul fatto di aver davvero scoperto una ‘nuova’ patologia, Alzheimer era tuttavia cosciente che le sue osservazioni non potevano essere ricondotte a nulla di noto fino a quel momento. La storia della sua ricerca è lunga e passa per diverse fasi, in diversi luoghi europei fino a giungere nel nuovo continente. Lì, negli anni del secondo dopoguerra, la AD verrà generalmente descritta come una patologia che manifesta esplicitamente disturbi della memoria. È però solo a partire dagli anni 90 del secolo scorso che troviamo studi specifici sulle patologie della memoria e sul loro funzionamento. E questi sono stati analizzati nonché approfonditi in una vasta gamma di campi: dalla psichiatria alla psicologia, dalla neurologia alle neuroscienze. È dunque in tempi recenti che la memoria diventa uno dei correlati standard dell'AD, di quella che oggi appare nel novero delle più diffuse forme di demenza riferite all’invecchiamento cerebrale.

Nel corso del XX secolo, distinti campi di ricerca hanno poi integrato le loro ricerche nel tentativo di definire il ruolo della memoria nell'AD, cercando di integrare le conoscenze delle funzioni mnemoniche con quelle di altre forme di decadimento cognitivo. Allo stato attuale, è possibile identificare con relativa semplicità i campi di indagine che stanno avendo un ruolo primario nell'avanzamento delle conoscenze su questa forma di demenza. Tuttavia, ripercorrendo la storia recente della materia, è possibile notare con chiarezza come aree disciplinari diverse siano andate sempre più intrecciandosi, determinando coi loro scambi ciò che oggi sappiamo della malattia. Una conoscenza integrata, dunque, la cui complessa storia ha portato alla descrizione degli attuali paradigmi della ricerca nonché alle correnti strategie di presa a carico di questa particolare (e ancora in parte sconosciuta) forma di decadimento cognitivo. Ciò che oggi viviamo – sia leggendo degli aggiornamenti scientifici sia nel caso in cui ci troviamo a convivere con un familiare diagnosticato con AD – è il risultato di un lungo dialogo fra tradizioni di ricerca che hanno dedicato particolare attenzione al morbo di Alzheimer in dialogo coi progressi della ricerca farmacologica. Ma questa è un’altra storia, ancora in corso ai nostri giorni.

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