Sulla Croisette

Cannes, un grande pubblico sotto la pioggia festeggia il cinema

Le oltre tre ore di Martin Scorsese portano a guardare l'orologio; Todd Haynes fa il filo agli Oscar, Jonathan Glazer al cinema d'autore, e lo onora

Scorsese & Friends
(Keystone)

C’è voluto tutto il coraggio di chi ama il Cinema in questo lungo weekend, su una Croisette dove i tappeti rossi erano intrisi di acqua e, soprattutto il pubblico – tanto, tantissimo, incredibile – ha sopportato lunghissime file inattese con caparbia pazienza, senza ombrelli sotto la pioggia battente. Il fatto è che ormai è cattiva abitudine il ritardo di gran parte delle proiezioni. Ieri si sono passati i 45 minuti, non di fila ma di ritardo dopo un’ora di fila, e sempre sotto l’insistente e gelida pioggia. Non c’è niente da fare: qui sulla Croisette c’è il Cinema, quello grande e vero, che si ama nonostante tutto, nonostante i capelli grondanti, le scarpe più simili a barche che affondano e altro. E, incredibile, i ristoranti e i bar pieni fino a notte fonda. Di sabato notte, nel leggendario Hotel Martinez, la festa della Campari, sempre sotto la pioggia, è stata assalita da un’orda giovane pronta a sfondare il picchetto di guardia posto all’entrata. Ed era solo una delle tante feste che riempiono ogni notte il festival.

L’ottava volta

Sugli schermi si è visto l’attesissimo ‘Killers of the Flower Moon’, di e con un pacato Martin Scorsese affiancato dai fedelissimi Bob De Niro e Leonardo DiCaprio, e da una sorprendente Lily Gladstone, nel ruolo principe della storia basata sull’omonimo e acclamato libro bestseller di David Grann che, ambientato in Oklahoma negli anni 20 del secolo scorso, ripercorre un caso di strage di membri della tribù Osage, diventata ricca grazie al petrolio. Omicidi dovuti alla voracità impietosa di ricchi uomini che chiamano “affare” il sopraffare. Martin Scorsese è per l’ottava volta sulla Croisette, dove si è laureato con la Palma d’Oro con ‘Taxi Driver’ nel 1976, ed è stato premiato come miglior regista nel 1986 con ‘After Hours’.

C’è subito da dire che Scorsese se la cava con buon mestiere, ma che il film non tiene le oltre tre ore di durata; anzi, spesso vien voglia di guardare l’orologio. Robert De Niro è qui il Re del territorio; tratta con gli Osage in tono bonario convincendoli che con lui gli affari sono buoni anche se la sua e quella dei suoi amici è una truffa continua. Quando suo nipote, DiCaprio, torna ferito e scosso dai campi della Prima guerra mondiale, il Re sta per concludere un losco affare: strappare un ricco territorio a una famiglia Osage le cui componenti soffrono di diabete. Tra queste la bella Molly (Lily Gladstone), che si ritrova sposata con il nipote del principe, un uomo senza scrupoli come lo zio, un violento assassino e rapinatore, che stranamente sembra innamorarsi davvero di lei, prima di provare a ucciderla con l’insulina mescolata a un liquido mortale. È l’America questa, finché in questo western autunnale interviene la cavalleria, ovvero la polizia a contare i morti e a spedire in galera tutti dopo aver salvato la coraggiosa Molly. Detto della bravura di Gladstone, c’è da sottolineare il gran lavoro dei comprimari, mentre De Niro e DiCaprio gigioneggiano senza riuscire a convincere.

La prestigiosa coppia

È l’industria cinematografica a stelle e strisce, la stessa che ha prodotto in Concorso ‘May December’ di Todd Haynes, che qui guida una prestigiosa coppia al femminile composta dalle brave ed esperte Natalie Portman e Julianne Moore. Siamo proprio nel cinema in cerca di Oscar, e Haynes convince di più con una vicenda intrigante che vede un’attrice un po’ in difficoltà con la carriera – Elisabeth (Natalie Portman) – incontrare un personaggio reale che andrà a interpretare: si tratta di Gracie (Julianne Moore), che anni prima era stata al centro di uno scandalo per la relazione con un suo allievo minorenne, con cui aveva avuto un primo figlio, prima di sposarlo e farne degli altri pagando il prezzo dei troppi anni di distanza. Succede che il ragazzino ora cresciuto intrighi l’attrice e il dramma è confezionato bene, anche se talvolta sembra mancare qualche certezza alla sceneggiatura. Inutile dire che le attrici sono da applauso.

Il mondo oltre lo specchio

Su un altro pianeta, quello del cinema d’autore, ci porta invece l’agghiacciante e affascinante ‘The Zone Of Interest’ di Jonathan Glazer, un film sul criminale nazista Rudolf Franz Ferdinand Höß, primo comandante del campo di sterminio di Auschwitz. Ispirato dall’omonimo romanzo di Martin Amis, pubblicato nel 2014, il film analizza e compone il significato di un altro libro fondamentale, ‘Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil’ di Hannah Arendt, 1963. Cos’è la banalità del male? È vivere in un giardino fiorito, con le vigne attaccate ai muri, in una casa adatta all’armonia di una famiglia benestante, dove i figli si sentono cullati dall’amore familiare, solo che di là dei muri di cinta funzionano a pieno ritmo i forni crematori, perché è l’inferno di Auschwitz. Glazer racconta con immensa pulizia e maestria il mondo oltre lo specchio, solo che non c’è Alice e nessuno può vedere dietro un vetro annerito dal fumo di corpi che bruciano. Ma Glazer vuole che non si dimentichi, e quello che stava al di là del muro lo mostra con l’impianto museale che fa memoria oggi ad Auschwitz.

Ci sono film che pensano allo spettacolo e altri, come questo, che onorano la bellezza narrativa del Cinema, il suo non solo essere testimone, ma il creare memoria, e soprattutto denunciare il nostro non vedere l’orrore che sta dietro a tanti specchi che raccolgono i nostri sorrisi.

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