Culture

Arte e Liberazione

Scegliere l'infimo e metterlo in una poesia o un brano di prosa significa compiere un gesto politico, nel senso più nobile del termine

Ieri, 25 aprile, in Italia, si è festeggiata la Liberazione dal fascismo storico, anche se il fascismo non è morto
(Keystone)
26 aprile 2023
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Ieri sono stato a Ginevra, alla ‘Maison Rousseau et de la Littérature’, in occasione della mostra di fotografie di Gustave Roud, scrittore di culto nella Svizzera francese e anche notevole fotografo. Da noi è poco conosciuto. Ho avuto l’onore di tradurre una sua opera in italiano, con il titolo ‘Del camminare in pianura’, per l’editore Dadò che ha anche pubblicato, del giovane scrittore romando Bruno Pellegrino, ‘Laggiù, agosto è già autunno’, romanzo liberamente ispirato alla vita di Gustave Roud e di sua sorella Madeleine, nella traduzione di Augusto Colombo.

Il tema che mi hanno proposto, per l’incontro ginevrino, è ‘L’infime et le politique’, riferito alla mia opera. L’infimo, ciò che si trova in basso, all’ultimo posto, che appartiene alla più bassa classe sociale. Ciò che è umile, vicino alla terra. Il che non vuol dire sottomesso: umile per esempio è un poeta dalla forte personalità come Camillo Sbarbaro, famoso collezionista di licheni, la forma di vita più piccola e “insignificante” (metto tra virgolette questa parola perché non c’è niente d’insignificante al mondo). Sbarbaro, che quando andava in città camminava leggero sulle strade, per non far rumore e dare fastidio.

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Ieri, 25 aprile, in Italia, si è festeggiata la Liberazione dal fascismo storico, anche se il fascismo non è morto. Ma che relazione c’è tra il tema letterario che ho trattato a Ginevra, rispondendo alle domande di una giornalista, e la Festa della Liberazione, che è un avvenimento politico? C’è questa relazione: scegliere l’infimo e metterlo in una poesia o un brano di prosa significa compiere un gesto politico, nel senso più nobile del termine. Parlare di un’erba selvatica, per me, vuol dire stare dalla parte dei semplici, dei vilipesi, e schierarsi contro i potenti del mondo. Parlare di un marginale o di un albero tagliato senza ragione, vuol dire prendere una posizione, anche se non parlo di Stato, partiti, ideologia. La poesia, l’arte in generale, ha sempre anche un significato politico. “L’infime est le politique”, si potrebbe dire.

Il poeta non è un predicatore o un magistrato, non si propone di dare lezioni di morale. Vorrebbe solo porre delle domande: ma non ha risposte. Ciascuno la risposta dovrebbe trovarla dentro sé stesso. Non è, il poeta, necessariamente religioso, né tanto meno clericale: ma ha una sua religiosità. Non fa parte di nessuna chiesa, ma ha una vita interiore. Come Gustave Roud, che cercava il Paradiso nei frammenti di bellezza sparsi nella natura, anche se sapeva di essere soltanto un’ombra.

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Bertolt Brecht dice che parlare di alberi significa tacere su molti misfatti compiuti dall’uomo. E Adorno rincara la dose: secondo lui dopo Auschwitz non è più possibile scrivere poesie. Ma i poeti hanno continuato a scrivere. Paul Celan, che perse i genitori catturati dai nazisti, ha continuato dolorosamente a scrivere fino al suicidio. E io credo che si debba continuare a parlare di alberi, ma tenendo conto di Auschwitz. Lo dico oggi, pensando alla Festa della Liberazione di ieri: perché la vera poesia, l’arte autentica dovrebbero aiutarci a liberare il mondo dal male.

Gli scrittori sono i custodi della metamorfosi, ha scritto Elias Canetti nel discorso sulla missione dello scrittore tenuto nel 1976 a Monaco di Baviera. Essi “dovrebbero essere capaci di diventare chiunque, anche il più piccolo, il più ingenuo, il più impotente. La loro brama profonda di vivere le esperienze degli altri non dovrebbe mai essere orientata dalle finalità che costituiscono la nostra vita normale e per così dire ufficiale, essa dovrebbe essere completamente esente dall’intento di ottenere successi o riconoscimenti, dovrebbe essere una passione a sé stante, la passione appunto della metamorfosi”.

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Ho letto con piacere nei giorni scorsi la notizia che il libro ‘Nella grande pianura’ di Bellintani è stato riproposto da Mondadori. Umberto Bellintani (1914-1999), poeta radicato nella terra mantovana, poeta di pianura che si è occupato, appunto, degli “infimi”. Bellintani, fratello dei paria e del topo di campagna, della venditrice d’amore, del cespuglio spinoso e dell’ortica, aveva un senso arcaico della fraternità. Era visionario e fraterno, aveva qualcosa di romanico, di primitivo, di naïf (ricordo, en passant, che nel 1946 era arrivato secondo ex aequo con Vittorio Sereni al nostro ‘Premio Libera Stampa’).

Ecco, di lui, alcuni versi significativi della poesia ‘Spartaco’:

Rosso di crine, camuso, l’occhio strano,

figlio di fame, di freddo, di miseria,

col genitore ubriaco all’osteria

hai fatto storia e il tempo non la varia.

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