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Monica Bonfanti, per servire e proteggere

Cresciuta nel Bellinzonese, è stata a lungo l’unica donna a capo di un Corpo di Polizia cantonale in Svizzera. Dal 2006 è a capo di quella di Ginevra

Monica Bonfanti
6 marzo 2023
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Monica Bonfanti, capo della Polizia cantonale di Ginevra dal 2006, classe 1970, è cresciuta nel Bellinzonese da padre lucernese e madre ticinese. Dopo essersi laureata in Scienze forensi nel 1993 a Losanna, ha conseguito il dottorato nel 2001 con una tesi sull’analisi in 3D dei proiettili d’arma da fuoco. In seguito ha ricoperto vari ruoli presso diversi corpi di polizia e tribunali: ha lavorato come insegnante nel campo delle armi da fuoco, collaboratrice scientifica, traduttrice. Dal 2000 al 2006 è stata capo tecnico presso il Servizio di polizia tecnico e scientifico della Polizia cantonale di Ginevra.

Alla maturità del 1989 è stata la più brava del suo anno: aveva le migliori basi per studiare qualsiasi materia. Perché ha scelto proprio la scienza forense? Qual è il fascino che esercitava e ancora esercita su di lei?

Alla fine del liceo avevo tre grandi passioni: le lingue, la scienza e la giustizia. Per capire cosa avrei potuto fare con le lingue sono stata in visita alla sede dell’Onu a Vienna. Era un mondo affascinante, ma ero attratta anche dalla scienza (adoravo la matematica, la chimica e la fisica) e dalla giustizia. Quando ho sentito parlare della formazione in Scienze forensi di Losanna ho capito che si trattava della strada giusta per me perché mi avrebbe permesso di unire due dei miei grandi interessi.

Com’è nato il suo amore per le armi?

Ho cominciato a entusiasmarmi per le armi durante lo studio all’università perché trovavo che si trattasse di una materia completa. Quando si studiano le armi si considerano tanti aspetti diversi e complessi molto affascinanti: innanzitutto la balistica interna, la balistica esterna e la balistica terminale (e cioè gli effetti dei proiettili sul corpo umano); in secondo luogo tutte le tematiche che hanno a che fare con i residui di polvere da sparo, che richiedono la conoscenza della chimica e della chimica strumentale. Infine vi è la parte pratica, che mi è sempre piaciuta: all’università ero istruttrice di tiro, tiro tattico e tiro di combattimento.

È stato difficile approcciarsi a questo mondo in quanto donna? Che rapporti aveva e ha con i colleghi uomini?

Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, all’Istituto di polizia scientifica la metà degli studenti erano ragazze. La scienza forense è un campo davvero vasto, che va dalle armi, alle impronte digitali fino ad arrivare all’analisi del Dna. Ce n’è insomma per tutti i gusti. Durante gli anni di studio non ho quindi avuto alcun problema. Nel mondo professionale ho invece vissuto alcune situazioni che mi hanno messa a disagio, per esempio quando lavoravo per l’università come docente e avevo un assistente; in quel periodo c’era stata un’indagine per bracconaggio e nell’istituto in cui era stata eseguita l’autopsia sull’animale il responsabile non voleva "capire" che il capo ero io e non il mio assistente maschio. E poi ancora: durante la mia attività come perito a tempo parziale per la sezione armi da fuoco della Polizia di Zurigo ero l’unica donna e qualche volta mi è stato fatto capire che stavo "rubando" il lavoro agli uomini. In altri momenti la mia femminilità è stata al contrario fortemente apprezzata, per esempio dalle allieve del mio corso di tiro, che da me si sentivano più capite.

Come è riuscita a conquistarsi la posizione di capo della polizia?

Innanzitutto devo dire che non sono più l’unica donna a capo di un corpo di Polizia cantonale in Svizzera. Dal 1° luglio del 2022 vi è un’altra donna che svolge il mio stesso ruolo, nel Canton Vaud. Sono davvero molto contenta per lei. Come io abbia ottenuto il posto è invece una storia curiosa. Dal 2000 al 2006 la situazione in polizia a Ginevra era critica, visto che in quel breve lasso di tempo si erano susseguiti ben cinque diversi capi. Quando l’ultimo ha dato le dimissioni, sono stati pubblicati degli annunci, ma non si è riusciti a trovare la persona adatta. Il Consiglio di stato ha dunque deciso di provare un altro approccio, definendo a priori un profilo del candidato ideale. Si desiderava che a subentrare fosse una donna, giovane, non per forza originaria di Ginevra, che avesse una certa distanza sia con il Cantone che con il corpo di polizia, ma comunque anche una certa esperienza nel campo. Creando questo profilo hanno finito per trovare me, che allora lavoravo per la polizia scientifica e possedevo i requisiti richiesti.

Quali sono dunque le qualità che un capo della polizia deve avere?

Di sicuro una formazione in scienze forensi è utile. Bisogna inoltre essere in grado di dare il massimo e di lavorare ben al di là delle consuete quaranta ore settimanali. Visto che il nostro è un lavoro che porta a confrontarsi con situazioni non facili e a essere sempre sotto i riflettori, ci vogliono anche resistenza fisica, caparbietà e la capacità di accettare di buon grado le critiche che possono giungere dai media o dall’opinione pubblica. Non bisogna infine dimenticare che un capo della polizia deve servire i cittadini e prendere decisioni nel loro interesse. I cittadini devono essere fieri della propria polizia!

Quali sono i compiti di un capo della polizia?

I compiti che svolgo quotidianamente sono molto molto vari. Innanzitutto ci sono gli aspetti amministrativi come le risorse umane o le finanze. Poi viene il lavoro di coordinazione su più livelli: dalle questioni cantonali interne, al concordato di cooperazione romando, fino ad arrivare alle collaborazioni nazionali e internazionali. Ogni giorno devo affrontare nuove problematiche e nuove sfide.

Di cosa si occupa il corpo di Polizia cantonale ginevrino?

Il nostro è un territorio particolare, che richiede un lavoro altrettanto particolare. Ginevra ha 105 km di frontiera con la Francia e solo 4,5 km con il resto della Svizzera. Ciò significa che dobbiamo lavorare a stretto contatto con la polizia francese di Ain e dell’Alta Savoia. Finora siamo stati molto soddisfatti della collaborazione. I casi sui quali lavoriamo insieme sono soprattutto quelli riguardanti i furti con scasso. Spesso i ladri coinvolti vengono da lontano, da Parigi o da Marsiglia, dormono in territorio francese, durante la giornata compiono i furti da noi in Svizzera e poi di sera tornano in Francia. Ciò significa che i crimini si svolgono in Svizzera, ma la refurtiva e i criminali si trovano in territorio francese. Insieme alle autorità francesi cerchiamo dunque di seguire le tracce dei ladri. Qualcosa di simile avviene per lo spaccio di droga, che è anch’esso un affare di frontiera.

Quanti casi rimangono insoluti all’anno?

Di solito i casi che riusciamo a risolvere con maggiore successo sono quelli legati ai reati sessuali, con una percentuale dell’87,5%. Riusciamo invece a catturare solo una minima parte degli autori dei furti con scasso menzionati prima, con una percentuale di successo che purtroppo non supera il 15%. Questo tipo di delitto è di difficile risoluzione in quanto non c’è alcuna relazione fra ladri e derubati.

Nella sua vita, oltre alla polizia, c’è lo sport. Com’è riuscita a conciliare queste due passioni?

La mia passione è sempre stato il pattinaggio artistico, che praticavo da ragazza in Ticino. Quando sono andata a studiare a Losanna, per dieci anni ho insegnato pattinaggio artistico in ambito universitario. Ero io a formare i docenti di sport e devo dire che non si trattava di una materia molto amata poiché veniva chiesto un livello di conoscenza davvero alto. A Ginevra dal 2000 al 2006 ho invece insegnato ai bambini. Quando sono stata nominata capo della polizia ho dovuto smettere perché non avevo più tempo.

Qual è stato il suo più grande successo professionale?

Se devo citare un evento eclatante, non posso non parlare dell’incontro Biden-Putin avvenuto nel 2021, che siamo riusciti a organizzare con veramente pochissimo tempo a disposizione, facendo i salti mortali. Ci sono però anche tanti altri compiti importanti che i miei collaboratori svolgono, e di cui sono orgogliosa, che restano nell’ombra. Per esempio la comunicazione della morte di un congiunto o la raccolta delle testimonianze in casi di abusi familiari che vedono coinvolti degli uomini come vittime. È importante in questi casi che i miei collaboratori mostrino tatto, professionalità ed empatia.

Ci sono stati ostacoli contro i quali ha dovuto lottare? Ha l’impressione che la sua diversa lingua e cultura le abbiano impedito di raggiungere certi obiettivi?

Qui a Ginevra, dove ci sono duecento nazionalità diverse, venire dal Ticino non è davvero niente di particolare. Quando stavo invece nel Canton Vaud capitava che qualcuno mi facesse notare il mio accento o facesse battute sul fatto che noi ticinesi siamo dei bons vivants, alludendo al fatto che saremmo meno dediti al dovere di altri svizzeri…

Qual è la lezione più importante che ha imparato dalla sua vita a Nord delle Alpi?

Che come ticinese puoi andare dappertutto, puoi riuscire dappertutto.


Monica Bonfanti

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