Berlinale

Un buon Concorso e il drammatico ricordo del Covid a Bergamo

Applausi per ‘Roter Himmel’ di Christian Petzold, applausi alla storia nera di ‘Limbo’. Ben fatto, benché lunghissimo, ‘Le mura di Bergamo’

Thomas Schubert, Paula Beer, Langston Uiber, Enno Trebs in ‘Roter Himmel’
(Christian Schulz, Schramm Films)
22 febbraio 2023
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Giornate frenetiche alla Berlinale, che tira i primi bilanci seguiti alla chiusura di un mercato risorto dopo il Covid, ma con ferite ancora aperte dalle perdite di sale e dalla serialità di una distribuzione troppo legata al facile mercato per aprire nuove strade. Avrà invece sicuramente un buon mercato ‘Roter Himmel’ (Cielo rosso), seconda parte della trilogia di Christian Petzold, iniziata proprio qui nel 2020 con ‘Undine’. Il film in concorso ha un merito nell’apparente semplicità e pulizia di un racconto sempre in grado di essere in tensione e di giocare tra l’umorismo e il dramma, mantenendo con classe un delicato equilibrio. È innanzitutto uno spettacolo godibilissimo, anche se il regista si diverte a giocare con la cultura, finemente intellettuale quando cita ‘Der Asra’, magnifica poesia di Heinrich Heine (per ben due volte) e il pubblico tedesco, insieme al film, sottovoce ha recitato quel testo. Come dimenticare il verso: "E lo schiavo disse: ‘Il mio nome è Mohamed, sono dello Yemen, e la mia tribù è quella degli Asra, che muoiono quando amano". Ecco, il cinema talvolta serve a ricordare la bellezza di essere uomini.

Film sulla vita e sulla morte

‘Roter Himmel’ ci presenta due giovani amici, Leon (il bravissimo Thomas Schubert) e Felix (Langston Uibel), che hanno deciso di passare l’estate insieme sulla costa baltica, in una casa nel bosco abitata da una parente di Felix, Nadja (una intensa Paula Beer). La vacanza non comincia benissimo: la loro auto si ferma con il motore bruciato, i due raggiungono la casa a piedi e qui cominciamo a capire quanto siano lontani. Leon è nervoso, arriverà a trovarlo il suo editore, perché ha scritto un secondo libro dopo il successo del primo; Felix non è preoccupato della tesi che deve presentare, preferisce fare i bagni al mare e scherzare con David (Enno Trebs), il bagnino della spiaggia. Leon si mostra impacciato, ma soprattutto indisponente verso gli altri, che si divertono; Nadja fa la gelataia in spiaggia e un po’ Leon s’infatua di lei e le fa leggere il suo manoscritto; lei, sinceramente, gli dice che è da buttare, che è la stessa cosa pensata dall’editore quando legge lo scritto. Leon si sente allora al centro di un complotto: preso dal suo ego non s’interessa degli altri, non coglie l’amore tra Felix e David, non quello che gli offre spontaneamente Nadja, non il fuoco che brucia la foresta intorno a loro, non il cancro che sta uccidendo il suo editore, nulla. Neppure si accorge della cenere che cade come pioggia, del cielo che si tinge di rosso, delle alghe che brillano di notte. Sente come un dispetto il fatto che Nadja si stia laureando in letteratura e non sia solo una gelataia. Fino a che il suo castello di egoistiche certezze crolla di fronte alla morte del suo amico e dell’amante nel fuoco della foresta, e come gli amanti di Pompei ancora si tengono per mano. Film sulla vita e la morte, sul percorso d’iniziazione alla vita di un uomo che quella vita non ha mai guardato, ben girato e ben recitato, ‘Roten Himmel’ ha meritato tutti gli applausi.


Bunya Productions
Simon Baker e Natasha Wanganeen in ‘Limbo’

Storia di Charlotte

Altri applausi, sempre in Concorso, per ‘Limbo’, un film australiano scritto, diretto, fotografato, montato da Ivan Sen, che lo ha anche musicato: veramente un vero e bravo filmmaker. In un buon bianco e nero, ‘Limbo’ esalta il paesaggio delle Opal Mountains e nei pressi di Coober Pedy, capitale dell’estrazione dell’opale, dove Sen ambienta una storia nera dai confini grattati come il paesaggio. È qui che arriva in missione il detective Travis Hurley (un eccezionale Simon Baker) per indagare su un caso di vent’anni prima, l’omicidio irrisolto di una ragazza aborigena di nome Charlotte Hayes, vicenda per la quale le uniche prove sono alcune registrazioni su nastro. Dove si svolge la storia non esiste una città ma luoghi dove vivere, e se qualcuno ha una casa, altri vivono in roulotte abbandonate o nei buchi delle miniere chiuse. Hurley incontra i parenti della ragazza, e se prima essi sono tutti diffidenti, poi si aprono con fiducia, dando modo al detective di chiudere, non ufficialmente, il caso prima di tornare alla centrale, lasciando dietro di sé la pena di un amore che poteva sistemargli la vita, dopo il divorzio e la perdita del figlio, evitandogli di bucarsi di eroina ogni sera. Ma sono altre storie. Ivan Sen è bravo a raccontare.


ILBE
Da ‘Le mura di Bergamo’

Dolore, rabbia, silenzio

Nella sezione Encounters si è visto ‘Le mura di Bergamo’, un film che Stefano Savona ha dedicato agli oltre seimila morti per Covid a Bergamo. Il film – ben fatto, onesto, capace di emozionare profondamente – ha il difetto di disperdersi in 137 lunghi minuti, con superflue ripetizioni. Il suo cammino si apre con la Bergamo colpita dal virus nei primi mesi del 2020, si vedono gli ospedali in panne, si sentono le voci affrante di malati, parenti, dottori, personale medico e volontario. Il regista regala a chi muore lacerti di una vita trascorsa attraverso immagini private, poi segue l’evoluzione, fino alla fine, nel mancato respiro di sollievo perché il dolore si è trasformato in rabbia e poi in silenzio. Tante le voci, tanti i pensieri, e si corre a cercarsi dentro quello che il Covid ci ha tolto, e non è solo la perdita di vite, ma la perdita di una società. E questo è il risultato più drammatico.

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