Concerto dell’Orchestra della Svizzera italiana diretta da Charles Dutoit, con la violoncellista russa Anastasia Kobekina e il suo Stradivari del 1698
La Sinfonia n. 2 per orchestra d’archi di Arthur Honegger è del 1941, il Concerto per violoncello e orchestra n. 1 di Joseph Haydn del 1765, la Suite per Orchestra "Il borghese gentiluomo" di Richard Strauss del 1919. Dal Novecento al Settecento e ritorno, l’Ottocento scavalcato: brani tra i quali è difficile trovare un filo conduttore, ma sicuramente congeniali all’ottantaseienne direttore Charles Dutoit e per la ventinovenne Anastasia Kobekina un concerto che non può mancare nel corredo di una solista di violoncello.
Per il quarantanovenne Honegger, nato in Normandia, ma parigino d’adozione, il 1941 è reso tragico dall’occupazione tedesca della Francia. Nonostante l’aspirazione a una musica pura la sua seconda sinfonia contiene tracce di narrazione drammatica. Dutoit ha diretto con gesti sobri, ma essenziali i ventotto archi di un’orchestra in forma smagliante, con una freschezza di suono che anche nell’unisono perfetto lascia trasparire il timbro di ogni strumento. L’ascoltatore è stato calato nella prostrazione del "Molto moderato" iniziale, poi strattonato dai ritmi asimmetrici dell’"Allegro". È lasciato senza speranze nell’angosciante "Adagio mesto" centrale, ma poi i ritmi esasperati del "Vivace non troppo" lo portano a un corale finale dove la luce trionfa sulle tenebre con una tromba che si sovrappone al suon dei primi violini.
L’Orchestra della Svizzera italiana, per scelta di due violoncellisti ospiti, ha presentato a due settimane di distanza, in programmi diversi, lo stesso Concerto di Haydn: il 2 febbraio all’Auditorio con Jean-Guihen Queyras direttore e solista, giovedì scorso al Lac con Anastasia Kobekina accompagnata da un direttore famoso. Mi riesce difficile dire chi dei due sia stato più bravo. Kobekina ha cavato dal suo prezioso strumento un suono stupendo che ha cercato continuamente di amalgamare con quello dell’orchestra. Quasi per contrasto nelle cadenze ha sfoderato un cipiglio intrepido. Dutoit l’ha assecondata con ogni cura, la mano sinistra sempre pronta a chiedere pianissimi.
Forse questo concerto merita di essere ricordato per la Suite di Strauss, dove Charles Dutoit ha potuto esibire la sua maestria nel dominare l’orchestra del primo Novecento, completa di legni e ottoni, con piano, arpa e una ricca percussione, evocare con umorismo raffinato capricci e malinconie, le passioni pacchiane del Borghese gentiluomo.
Se un filo conduttore non si trova, c’è almeno un messaggio da cavare da questo concerto? Ne tento uno: alla larga dal romanticismo.