Culture

Mario Timbal: uno sguardo nuovo, 'ma non sono un innovatore'

Intervista al direttore nominato della Rsi, dalla centralità della cultura alla necessità di essere creativi. ‘Anche se sembra strano detto da un manager’

Timbal (Ti-Press)
11 dicembre 2020
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È retorico dirlo, ma inizia una nuova sfida per la quale immagino sia stata fatta la classica lista di pro e contro. Quali i contro della direzione della Rsi?

Non ne vedo. Ci sono delle difficoltà, certo, ma non vedo dei contro, altrimenti non mi ci sarei messo. Voglio vedere quelle difficoltà come opportunità. Arrivo in un’azienda che attraversa un momento delicato? Sì. Arrivo in un’azienda che sa di avere delle risorse che vanno diminuendo? Sì. Ma non sono dei punti contrari, perché il mandato che mi è stato dato è di cambiamento: senza quella volontà di cambiamento, sono d’accordo, sarebbero dei punti negativi; ma con la volontà di cambiare possono diventare delle opportunità. Adesso starà a me – o meglio a noi, perché credo molto nel lavoro di gruppo – trasformarle in opportunità.

Arriva con un profilo di innovatore.

Non mi piace molto come espressione: preferisco dire che arrivo con un profilo diverso. Non vengo dai media lineari, non vengo dalla Rsi; vengo dalla cultura, dall’audiovisivo, dalla produzione e distribuzione di contenuti, sia online sia offline. Penso che sia questo sguardo che porterà qualcosa di nuovo, ma non mi sento un innovatore: è il mio percorso che porta a un’innovazione.

Come tutti i manager della mia età, abbiamo sempre lavorato in un momento di cambiamento: fa parte della mia generazione di manager. Ho lavorato al Festival, dove abbiamo innovato nella tradizione; ad Arles si parlava di un progetto nuovo, se vogliamo di rottura con il mondo dell’arte. Ma non mi ritengo un innovatore, è un termine che sembra incentrato solo sulla tecnologia.

Porterà comunque delle novità.

Questo è sicuro, già solo per il mio percorso, per le mie esperienze, perché non ho quei meccanismi che si consolidano in chi sta in anni nella stessa azienda. Una cosa che soprattutto all’inizio dovrò sfruttare, e non perdere.

Tuttavia da una parte la Rsi, come tutte le grandi aziende, ha una certa inerzia; e un pubblico affezionato. Portare cambiamenti e novità potrebbe non essere semplice.

Una prima cosa da dire è che penso che nessuno possa cambiare un’azienda come la Rsi da solo. Una delle mie priorità sarà costruire un team. Il che non vuol dire portare gente nuova, ma vedere chi sono le persone con cui sarà possibile dare questo slancio.

Arrivando dall’esterno, so che probabilmente avrò – il termine non mi piace molto – del credito: intendo sfruttare il periodo che attende la mia entrata in carica per arrivare il più pronto possibile, per assimilare quelle conoscenze specifiche che forzatamente mi mancano, per andare in profondità.

Il cambiamento si potrà fare con dei progetti ad hoc, con la ricerca di nuovi modi di lavorare, nuovi formati, nuovi contenuti. Segnali iniziali certamente importanti, ma penso che il cambiamento sia soprattutto una questione culturale, che prende del tempo.

L’ultima domanda l’ho posta pensando alle reazioni per il progetto di ridefinizione di Rete Due.

Ho seguito il dibattito, ma non conosco a fondo la questione e non ho un’opinione precisa. Quello che posso dire è che vengo dal mondo culturale, sono un manager ma vengo da quel mondo e so quanto la cultura sia fondamentale nel servizio pubblico. Sicuramente la cultura sarà un pilastro, nel mio mandato, e non vedo nessuno spegnimento della cultura: si cercheranno nuove forme, nuovi punti di vista ma per allargare il pubblico, non per perderlo.

Aggiungo che ho lavorato con direttori artistici, con curatori: ho un profondo rispetto per chi crea contenuti, per chi crea cultura. Il mio lavoro è dare gli orientamenti, ma soprattutto dare le migliori condizioni possibili. E qui bisognerà essere creativi, per quanto possa sembrare strano detto da un manager.

Quello di direttore sarà anche un ruolo di mediatore. Chi sono gli interlocutori, gli ‘stakeholders’ della Rsi?

Parlerei più di dialogo che di mediazione. E mi verrebbe da girare la domanda: chi non è un interlocutore della Rsi? Il servizio pubblico deve toccare il pubblico più largo possibile, idealmente ogni persona. In una impostazione di dialogo e di apertura, sono tutti stakeholder: chiaro, alcuni sono fondamentali, ce ne sono di piccoli e grandi, ma penso che tutti debbano essere interlocutori. Come canalizzare questo dialogo, come riuscire a essere aperti e allo stesso tempo franchi e decisi? Chiaramente è una delle sfide: essendo servizio pubblico, ognuno sente sua la Rsi, ognuno ha un’idea di come dovrebbe essere la Rsi. Sicuramente dedicherò tanto tempo nel dialogo con il territorio, con gli stakeholder, con le persone, con chiunque vorrà parlarci in modo costruttivo.

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