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Gigi Proietti, c'era una volta un re

Se n'è andato all'età di ottant'anni, nel giorno del suo compleanno, dopo una lezione di vita e di spettacolo.

Gigi Proietti (1940-2020) - foto: Keystone
2 novembre 2020
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Che ti chiamino Pupone, Albertone, Renatino, Antone’, che tu sia calciatore, attore, cantautore, ristoratore o anche proprietario del più noto chiosco che fa la grattachecca (una specie di granita che non è descrivibile a parole), Roma ha sempre posto per un re. Ma il titolo te lo devi guadagnare. E così pure la tua foto proiettata sul Colosseo e sul Campidoglio nel giorno in cui muori. Se poi muori nel giorno in cui dovresti compiere gli anni, allora è possibile che gli amici ti scrivano “Te possino a Mandra' proprio oggi? Ma che è una mandrakata?”, firmandosi “Er Pomata”.

Il cuore non gli ha retto e Gigi Proietti è morto oggi all’età di ottant’anni. Nel giorno del suo compleanno come William Shakespeare, “una pratica che viene lasciata agli uomini saggi”, scrive il regista Giovanni Veronesi. E più che autocitandosi da ‘Febbre di cavallo’, film del 1976 con il quale Proietti viene cinematograficamente e assai ingenerosamente troppo spesso ricordato, Enrico Montesano tira fuori altre parole, certo che l’amico, dissacratore sino al midollo quando c’era da dissacrare, avrebbe intonato ‘'So' contento di morire ma mi dispiace”, rimettendosi i panni decadenti del decadente Gastone, stella in declino dell’avanspettacolo Anni Venti creata da un altro re di Roma, Ettore Petrolini

Quando si dice ‘Un Fregoli’

Era talento puro Gigi Proietti, non il prodotto dell’accademia. Attore, regista, doppiatore, cantante. Quel canto nei night club della capitale che gl’impedì (una scelta) di finire gli studi di giurisprudenza per diventare avvocato. Lezioni di pianoforte, fisarmonica e contrabbasso, un corso di mimica al Centro Universitario Teatrale dove’è notato da Giancarlo Cobelli, che lo scrittura per un primo, importante spettacolo d’avanguardia. Negli anni ’60 l’esperienza con il Gruppo Sperimentale 101 (con Andrea Camilleri co-direttore), e i primi spettacoli al Teatro Stabile dell’Aquila, città già pronta a conferirgli, oggi, la cittadinanza onoraria. Il debutto sul grande schermo nel 1967, i film con Festa Campanile e Brass in Italia, e all’estero con Sidney Lumet (‘La virtù sdraiata’) e più tardi Altman e Tavernier. La grande visibilità arriva con ‘Alleluja brava gente’ di Garinei & Giovannini, in sostituzione di Domenico Modugno. E ancora cinema con Monicelli, Bolognini, Elio Petri, Luigi Magni, Alberto Lattuada. La radio, la televisione, e quel ‘Febbre da cavallo’ (1976) in cui è il molto sopra le righe Bruno Fioretti detto ‘Mandrake’, in un film stroncato dalla critica ma diventato negli anni un cult. Mandrake, e tanto meno, più tardi, ‘Le barzellette’ e un paio di non indimenticabili cinecocomeri (i cinepanettoni estivi) offuscheranno il suo Fregoli nell’omonimo sceneggiato del 1981. Prima del Mangiafuoco nel ‘Pinocchio’ di Matteo Garrone, un anno fa, e di ‘Io sono Babbo Natale’, che uscirà postumo, Proietti è stato amato nei panni di Giovanni Rocca, maresciallo dei Carabinieri della caserma di Viterbo che ha tenuto compagnia agli italiani per cinque stagioni. "Non mi sono mai fermato, ma forse negli anni la tv ha cambiato un po' il pubblico che ora ride anche per cose che non fanno ridere”, raccontava Proietti, addolorato la chiusura del Teatro Valle nella sua Roma “proprio in un momento in cui nulla potrebbe essere più aggregante del teatro”.

Lacrime e sonetti

Non veniva dall’Accademia, Gigi Proietti, e se il cinema non gli ha dato, in termini di popolarità, quanto il teatro e tutto il resto, è forse perché il grande schermo è sempre apparso limitarne l’estro e la grandezza. Non veniva dall’Accademia, Proietti, ma Accademia è stato lui per i giovani talenti usciti dal suo Laboratorio di Esercitazioni Sceniche, all’inizio autofinanziato. Da lì vengono Enrico Brignano e Flavio Insinna, Giorgio Tirabassi e Chiara Noschese, le cui parole hanno il peso del padre che non c’è più. Più leggere, non meno profonde, quelle di Pierfrancesco Favino, che gli dedica un sonetto in romanesco, chiuso così: “All'angeli là sopra faje fa du risate, ai cherubini imparaje che so' le stornellate. Salutece San Pietro, stavolta quello vero, tanto già ce lo sanno chi è er Cavaliere Nero'', riportando in vita quella che non è una barzelletta, ma un opera d’arte di un paio di minuti.

Il sonetto di Favino non giunge a caso. Al funerale di Alberto Sordi re di Roma, era il 27 febbraio 2003, Gigi Proietti salutava umilmente (“Sono quattro versi, forse non saranno nobilissimi, Alberto mi perdonerà”) in forma proprio di sonetto “che nella nostra città è stato sempre un modo di annunciare nascite e morti, prese in giro e riappacificazioni”, scusandosi per il non saper fare discorsi di commiato. Lui che per tutta la vita, dal 1976 in avanti, aveva bombardato il pubblico di parole aprendo il baule dell’attore nel suo ‘A me gli occhi, please’, spettacolo scritto nel 1976 con l’aquilano Roberto Castri e nato per tappare un buco, poi diventato imprescindibile: un trionfo di stili, satira, giochi di parole, prese per i fondelli (il teatro serio messo alla berlina), il prodotto del genio allo stato puro capace d’impressionare Eduardo, la sera della prima, seduto in quel Teatro Tenda che presto avrebbe lasciato il posto a sale più prestigiose. Cinque date diventate dieci anni di repliche, fino all’Olimpico di Roma, nel primo anno del nuovo Millennio, davanti a 500mila spettatori, nell’ennesima replica di un one man show dai tempi meno serrati di un tempo, perché l’età è l’età, ma uno stadio è uno stadio.

Era il 27 febbraio dei 2003, si diceva, e ai funerali di Alberto Sordi, il sonetto di Gigi Proietti si chiudeva così: “Tutta la città sbrilluccica de lacrime e ricordi, ‘che tu non sei sortanto un granne attore, tu sei tanto di più, sei Alberto Sordi”. Questo declamava l’ultimo re di Roma riferito al penultimo. A ben sentire, riascoltato oggi, basterebbe trovare una parola che sostituisca “ricordi” e faccia rima con “Proietti”, e quel sonetto varrebbe (almeno) per entrambi.

 

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