Culture

La psicomagia di Jodorowsky

Nei cinema ticinesi e, in anteprima all'Otello di Ascona, l'ultimo film dell'artista cileno

11 ottobre 2019
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Se Dalí voleva portare il sogno nella realtà, Jodorowsky vuole insegnare alla ragione il linguaggio del sogno e dell’inconscio, recuperando l’imprescindibile dimensione simbolica dell’essere umano Alejandro Jodorowsky è uno che “attraversa con la potenza del sogno e la sublimità delle arti lo spazio cinematografico, trascendendolo e trasformandolo in vita”, per riprendere le motivazioni del Premio Boccalino della critica indipendente che – si era al Festival di Locarno del 2016 – ha nominato il cineasta cileno “personaggio dell’anno”. E un personaggio lo è indubbiamente, Jodorowsky: nato in Cile da emigrati ebraico-ucraini, ha vissuto in Francia, dove ha lavorato con Marcel Marceau, e in Messico, è stato marionettista, poeta, saggista, compositore, regista di cinema e di teatro e tanto altro, autore di film culto come il surrealista ‘Il paese incantato’, che si racconta provocò una sommossa alla prima proiezione, il western allucinato ‘El Topo’, che conquistò John Lennon e Peter Gabriel, fino ai più recenti ‘La danza de la realidad’ e ‘Poesía sin fin’. Un personaggio complesso e affascinante: non stupisce il suo interesse per i tarocchi, lo sciamanismo, l’alchimia. E qui troviamo la psicomagia, disciplina da lui inventata che è al centro del suo ultimo film – in anteprima all’Otello di Ascona lunedì prossimo, 14 ottobre, e poi in programmazione anche al Forum di Bellinzona, e Multisala di Mendrisio e al Lux Arthouse di Massagno – intitolata appunto ‘Psicomagia: un’arte che guarisce’. E qui è lecito – anzi doveroso – alzare un sopracciglio, perché purtroppo abbondano pratiche e trattamenti che promettono guarigioni ma si rivelano inutili o pericolose. Tradizioni infondate, cure proposte in buona fede o vere e proprie truffe, l’universo della pseudomedicina è purtroppo incredibilmente vasto, un mare in cui è facile perdersi – e perderci la salute – e, diciamocelo, un regista per quanto geniale non è la bussola migliore per orientarsi.Tuttavia quella di Jodorowsky si presenta, fin dal titolo del film, come un’arte: se la psicanalisi nasce con il neurologo Sigmund Freud, la psicomagia nasce con l’artista Alejandro Jodorowsky. Artista surrealista, come accennato, ma come spiega lui stesso all’inizio del film, la psicomagia è piuttosto un anti-surrealismo: se Dalí voleva portare il sogno nella realtà, la terapia di Jodorowsky si pone come obiettivo quello di insegnare alla ragione il linguaggio del sogno e dell’inconscio. Il risultato è un curioso insieme di pratiche sorprendenti, a volte esilaranti, sempre portate su schermo con il tocco del bravo cineasta: il bambino terrorizzato dal buio viene completamente dipinto di nero; la coppia in crisi si ritrova a passeggiare per il centro con una lunga catena legata alla caviglia; un uomo abusato dal padre da bambino e con istinti suicidi viene seppellito e (apparentemente) divorato dagli avvoltoi; un altro, balbuziente, viene “costretto” a diventare adulto girando per la città dipinto d’oro.Alla base c’è questa idea che la causa del malessere sia nell’inconscio e quindi è lì che bisogna agire, perlopiù simbolicamente. Idea pericolosa, se applicata non a disturbi psichici ma a malattie come il diabete o i tumori, ma Jodorowsky pare tenersi lontano da simili eccessi (anche se purtroppo lo stesso non si può dire di alcuni suoi epigoni). E proprio l’ultimo esempio di psicomagia ne rivela l’intima natura: una impressionante manifestazione in Messico per le vittime del narcotraffico, un grande rito collettivo che si muove in quella ineliminabile dimensione simbolica propria dell’essere umano. Con la calda voce di Jodorowsky che esorta: “Viva il Messico! Viva il cambiamento di coscienza! Viva la vita! Allegria! Allegria! Allegria!”.

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