Culture

Tutta un’altra musica

Slow Music, con Mireille Ben e il suo festival a Bellinzona alla scoperta di sonorità non omologate

27 giugno 2018
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Il suo «scopo di vita è conoscere la gente». Per questo un bel giorno ha chiuso con le tournée da cento concerti l’anno – strada/albergo/palco – senza poter incontrare davvero luoghi e persone per cui cantava. Per questo, un anno fa, ha scacciato il proposito di desistere, sopraffatta dalle difficoltà nell’organizzare un festival di musica «non globalizzata». Così, «una mattina mi sono svegliata e ho detto no, bisogna resistere».

Mireille Ben ha così confezionato la sesta edizione di Slow Music, in programma nella corte del Municipio a Bellinzona fra il 5 luglio e il 28 agosto. Sette concerti che spaziano fra i molti riflessi della musica popolare, ispirati dal desiderio di non incasellarsi in alcun genere specifico: perché in fondo «la musica è dialogo». Dunque, ci dice Mireille, una vita dedicata alle musiche popolari, «questo festival è un atto di resistenza non contro i grandi festival, che è giusto che esistano, ma contro le cose scontate; è un atto di resistenza perché esistono altri stili e altre musiche, e persone che rischiano esibendosi in contesti come il nostro, in cui musicalmente non si può barare».

Quali sono le intenzioni di Slow Music? Che cosa lo distingue? «Quando l’ho creato ho pensato prima di tutto ai musicisti: volevo offrire loro un concerto in un bel posto, con una bella accoglienza e una retribuzione onesta. Infatti, purtroppo spesso i musicisti sono costretti a suonare in luoghi non appropriati».

E pensando al pubblico? «Volevo offrire musica di qualità, l’occasione di ascoltare il suono di ogni strumento senza o con pochissima amplificazione. E la possibilità d’incontrare i musicisti, avendo uno scambio con loro». Il tutto, aggiunge, forti di una vocazione «archeologica». In altre parole, «vogliamo ritrovare la base di ogni musica. Un musicista parte giustamente da uno stile che gli interessa e lo fa evolvere. Però noto spesso che questo processo viene portato al punto che non c’è più identità, con il rischio che si riduca a musica di sottofondo».

A parte poche eccezioni, nelle radio, nei locali e nei festival si è imposto il pop più commerciale: lo spazio per sonorità “diverse” col tempo si restringe? «Certo. Io vengo dalla Francia, dove ogni paese ha il suo gruppo di musica popolare e ha condotto delle ricerche sulle sue canzoni tradizionali. Già il primo anno di scuola elementare avevamo un libretto con dieci canzoni popolari che facevano parte del programma. Qui, invece, durante le mie ricerche mi sono resa conto che la musica popolare è stata messa ai margini: a parte un paio di gruppi, che fanno ricerca e la ripropongono, è andata completamente persa. Non c’è la voglia di andare a recuperare le proprie musiche, c’è anzi un po’ di vergogna perché richiamano un’epoca povera. Non si è fieri di questo patrimonio, e si ascoltano le musiche che arrivano da altrove, si segue una linea dettata in America».

Qual è la realtà fuori dei nostri confini, vista da una persona che questi repertori li frequenta da 50 anni? «Io ho viaggiato tanto, ho conosciuto musicisti di diversi paesi. So che la qualità c’è, so che altrove hanno molto rispetto della loro musica e la ripropongono per farla evolvere: l’importante è non perdere ciò che si ha. Qui in Ticino ho ritrovato due canti che hanno origine nel Medioevo, ma siamo solo in due a proporli: quando non ci saremo più noi saranno persi».

Il programma

Slow Music si aprirà il 5 luglio con la BandAlpina. Il 19 incontro suggestivo fra Kurdistan e Francia, fra saz e flamenco, con Rusan Filiztek e François Aria, seguiti il 26 dalle musiche del Delfinato del Quartette Drailles. Ad agosto ecco il trio di Danilo Boggini e Maristella Patuzzi. Ritmi infuocati franco-spagnoli il 23 agosto con il duo PiediMani (danza e percussioni di Nicola Marinoni), in chiusura le danze tradizionali delle Quattro Province con il duo Valla-Scurati. Info: slowmusic.ch.

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