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La materia dei sogni di Vincenzo Vela

Al museo di Ligornetto il progetto artistico di Adriano Kestenholz tra gessi, statue, musica e immagini di una realtà dislocata

10 giugno 2021
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I modelli in gesso di Vincenzo Vela prenderanno vita, a partire dal 13 giugno, per la videoinstallazione musicale che il Museo Vela di Ligornetto nell’ambito delle celebrazioni per i duecento anni della nascita dell’artista. ‘Vincenzo Vela. Il sogno della materia’ è il titolo di questo progetto artistico di Adriano Kestenholz che occuperà alcune sale del museo dalle 11 alle 12 e dalle 16 alle 17. ‘Il sogno della materia’ è una coproduzione Aleph Film e Rsi.

Adriano Kestenholz, in che cosa consiste questo lavoro? Che cosa vedrà lo spettatore negli spazi del museo?

Vedrà i gessi che fanno parte della collezione permanente del museo, sui quali saranno proiettate delle immagini che hanno una relazione con i modelli in gesso: le immagini delle statue che si trovano in giro nelle piazze in Italia in Svizzera e in parte anche in Francia.
Alla base del progetto sta l'idea che la musica sia in grado di “interpretare emotivamente” la scultura di Vela: il punto di partenza dell'installazione è quindi la musica, una composizione per soprano e strumenti scritta ad hoc dal compositore svizzero Andreas Pflüger ispirandosi alle varie tematiche sviluppate da Vincenzo vela.
È difficile spiegare il progetto restando sul piano descrittivo: alla base sta la musica e su questa musica io sono andato a cercare le relazioni tra i gessi e le statue che si trovano in giro per le piazze.

Un dialogo a tre tra i gessi di Vela, la musica e le immagini delle statue.

E le immagini dei musicisti che eseguono virtualmente il pezzo, proiettati sulle statue stesse. Ma per capire il progetto, anche se forse complico un po’ le cose, bisogna guardare al concetto che c’è dietro. In un periodo come quello attuale, anche pre-pandemico, il reale in un certo qual modo è evaporato: siamo circondato da molti media e non sappiamo più bene dove siamo. Viviamo in un museo, viviamo in un’immagine del museo, viviamo attraverso il telefonino. L’idea è rendere tangibile allo spettatore questa sorta di dislocazione della realtà: ci si trova sì in un museo, ma allo stesso tempo si viene trasportati in un altrove, un altrove musicale, un altro fatto di luoghi lontani dal museo stesso. Alla fine il museo stesso si trasforma in un luogo virtuale in cui la realtà concreta si smaterializza.

La virtualità a partire da qualcosa di molto concreto come le sculture in gesso.

Si è anche voluto, grazie all’intuizione della direttrice Gianna Mina, provare a realizzare confronto tra il classico – l’Ottocento, il museo fatto di materia – e le nuove tecnologie fatte di virtualità. Questo incontro tra i due estremi, tra le proiezioni sincronizzate e il luogo concreto, porta secondo a una sorta di riattualizzazione dell’opera, perché io credo che sia importante, oggi, non solo conservare le opere ma anche capire che sono riserve di potenziali sviluppi anche creativi. Ogni opera ispira inspira altre cose, non è ferma nel tempo.
Speriamo di riuscire a sensibilizzare lo spettatore su questi due estremi. E, ritorno a dire, sensibilizzare sul fatto che spesso ci troviamo dislocati rispetto alla realtà: siamo costantemente immersi nel virtuale della rete perdendo il contatto con il reale diretto. L’esperienza che spero faccia lo spettatore è di trovarsi in un luogo un po’ smaterializzati in cui il qui e l’altrove si mescolano attraverso l’uso della tecnologia.

Vincenzo Vela ha creato il gesso, poi dal gesso si è passati alla statua nello spazio pubblico. Possiamo pensare alle sue immagini come un’ulteriore passaggio, un’ulteriore metamorfosi?

C’è una sorta di principio: l'immagine di un’immagine è sempre un'altra immagine. Lei le ha fatto l'esempio del gesso che diventa scultura e la scultura è già una cosa diversa, e la scultura filmata è di nuovo una cosa diversa. Le immagini continuano a trasformarsi, non c’è mai un’immagine ultima, originaria, delle cose. Sono un po’ teorico, in questo, me ne rendo conto.

Immagino che, dai tempi di Vela, sia cambiato molto il contesto in cui si trovano alcune sue statue.

Alcune statue hanno avuto collocazioni diverse, sono state spostate, ma io non ho voluto fare un discorso filologico dell’opera di Vela, ma creare un mondo un po' onirico tra il qui e un altrove che quando siamo in un museo possiamo solo immaginarci.

La scultura di Vincenzo Vela era in molti casi una scultura pubblica e politica. Questo aspetta l’ha influenzata, nel suo lavoro?

Ha influenzato soprattutto il musicista: abbiamo estratto alcune frasi – molto asciutte, sintetiche, come “Libertà per il popolo” – che entrano della dimensione musicale e che sono cantate dalla soprano, però sono cantate come una sorta di flusso du coscienza di quelli che erano gli ideali di Vela. Non ho voluto calcare sugli aspetti ideologici, ma questo elemento c’è nell’interpretazione musicale: quando si parla delle statue giganti di Garibaldi, la musica è forte, si potrebbe quasi dire aggressiva. Preciso che parliamo di musica contemporanea, non è musica d’epoca.

Del resto, tornando a quel che aveva detto sull’immagine dell’immagine dell’immagine, il risultato non può che essere legato all’estetica di oggi.

Sì e dove appunto evapora leggermente di fronte al nostro uso costante della tecnologia. Adesso apro una parentesi: se si va in un museo, si vede che sempre più spesso le persone non guardano più direttamente le opere, l’80, il 90 per cento delle persone non ha più una relazione immediata con l'opera, ma fotografa l'opera dicendo “così me ne approprio e poi me la guardo poi a casa”. Questo filtro tra il supporto mediatico e la realtà sta modificando i parametri del reale.
Mi permetto di insistere, qui, su questo aspetto teorico perché poi il lavoro è in realtà più poetico, con i temi dell’infanzia, dei bambini che giocano con il cane con dall'altra parte appunto delle statue monumentali di Garibaldi e del Risorgimento.
È inoltre un progetto un po' transmediale, con un documentario per la televisione e 7 videoclip disponibili sul sito della Rsi che il visitatore può scoprire grazie a dei “QArt Code”, dei QR code grandi come fossero dei quadri. Anche questo è un aspetto di intreccio e di missaggio dei vari media.

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