«Siamo un Paese troppo piccolo per lacerarci». Questo auspicio, che poi è anche un impegno, è il punto centrale dell’intervista a Maurizio Canetta sul futuro della Rsi e le sfide che l’azienda di Comano sta affrontando, dall’iniziativa No Billag per l’abolizione del canone in votazione a marzo, ma anche il tetto di 1,2 miliardi di proventi dal canone recentemente deciso dal Consiglio federale, il ridimensionamento del mercato pubblicitario, il nuovo panorama mediatico… Ricucire, quindi, «con il mondo dell’editoria privata, a livello nazionale e regionale», ma anche con il pubblico «perché non basta fare radio, televisione e online di qualità, il pubblico vuole essere partecipe, non solo ascoltare, ma essere ascoltato».
A livello Ssr, a partire dal 2019 e se vinceremo, come spero, la votazione di marzo, avremo un problema finanziario di un centinaio di milioni, non 50, perché oltre al canone ci sono anche le previsioni pubblicitarie. Ma non ci sarà una distribuzione automatica dei tagli: alle unità aziendali non sarà detto “dovrete risparmiare tot, arrangiatevi”. Ci metteremo al tavolo per definire un nuovo modello di impresa. Ovvero decideremo dove andremo a intervenire secondo delle visioni strategiche proprio perché sarà necessaria una nuova Ssr, dovremo ridefinire il perimetro del servizio pubblico.
Ma adesso non posso dire da che parte andremo, perché iniziamo a parlarne adesso…
Il nostro obiettivo è quello di lavorare sul ricambio naturale determinato da pensionamenti o partenze spontanee.
Agiremo secondo i valori e la missione che abbiamo… All’interno dell’offerta attuale ci sono delle parti sulle quali dobbiamo ragionare, anche in relazione ai rapporti con gli editori privati. Purtroppo non posso fare degli esempi specifici, perché cominciamo adesso questo percorso di riflessione…
Lì dovremo fare un serio e saggio ragionamento su come trovare dei meccanismi per fare sì che siamo, come servizio pubblico, presenti su tutti i vettori – non ci si può dire di non fare l’online! – ma tenendo conto di queste sovrapposizioni. Dovremo evitare di invadere eccessivamente un campo legittimo dell’editoria privata e della stampa. Tenendo anche conto che oggi si mescola tutto: i quotidiani fanno anche online, ci sono gruppi editoriali con radio e televisioni… proprio per questo dico che non bisogna più ragionare in termini di vettori – togliere una rete o un canale, oppure l’online – ma sul perimetro d’azione.
Però dovremo farlo. Dovremo dirci come avere un’offerta online – che secondo me dobbiamo avere, altrimenti è impossibile pensare di raggiungere tutti i pubblici – ma senza fare la stessa cosa dei privati. È questo che intendo con ridefinizione del perimetro, facendo anche delle scelte di priorità: il nostro obiettivo sarà capire la nostra missione, capire dove siamo unici, e dove invece ci sono altri che svolgono lo stesso compito e quindi è giusto tirarci indietro.
Il cuore sono certamente i prodotti audio e video. Come missione, intendo, perché poi la radio e la televisione la fanno in tanti. L’online è invece certamente uno dei temi su cui bisognerà riflettere.
Allora, sull’informazione equilibrata – preferisco questo termine a neutrale – siamo in chiaro. Penso che anche sulla cultura ci sia abbastanza chiarezza: senza servizio pubblico, difficilmente altri attori del mercato audiovisivo potrebbero investire senza ritorno nel cinema, nella musica… Poi c’è lo sport: c’è a chi piace e a chi no, ma è un grande fattore di coesione. Il fatto che esista una struttura di servizio pubblico che offre soprattutto lo sport locale svizzero è quindi importante e, con una privatizzazione completa, questo aspetto verrebbe a sparire.
E arriviamo all’intrattenimento, dove effettivamente ci si dice “lasciatelo fare ai privati”. Al che dico: si chiede al servizio pubblico di raggiungere tutto il pubblico e – c’è scritto sulla concessione – di contribuire alla libera formazione delle opinioni, di promuovere la cultura, di svolgere una funzione di formazione ma anche di intrattenere…
È chiaro, ma non vedo motivi per cui andrebbe tolta.
Se tu fai un’offerta globale al pubblico, deve farvi parte anche l’intrattenimento. L’importante non è che cosa si fa, ma come lo si fa. Dobbiamo essere capaci di spostare l’accento dall’intrattenimento di puro gioco – che comunque da noi ha già caratteristiche diverse, con montepremi non particolarmente elevati e mai basati solo sull’azzardo – a un intrattenimento ‘di società’. Penso a trasmissioni come Bande e cuori, la fiction Casa Flora o quella in arrivo del Guardiacaccia… punteremo maggiormente su un intrattenimento di questo tipo che secondo me ha una forte componente di servizio pubblico perché racconta la società con taglio anche leggero.
Non esiste un piano b, c’è la chiusura. Di fronte a un sì nazionale la Ssr e la Rsi chiuderanno e si tratterà di gestire la chiusura in maniera controllata, in modo da poter, nel limite del possibile, salvaguardare i diritti dei lavoratori.
L’iniziativa è chiara e limpida: non ci sono alternative, non si può pensare di trovare alternative.
Purtroppo no. E per vari motivi. Il primo è quante persone pagheranno il canone, l’anno prossimo, dopo aver votato per la No Billag? Sarà certo ancora obbligatorio fino a fine 2018, ma molti si diranno “ma perché devo pagarlo se l’abbiamo appena abolito?”. Secondo aspetto, i fornitori. Se devo fare un programma e mi rivolgo a un fornitore per servizi o materiali, questo vorrà essere pagato in anticipo, sapendo che siamo un’azienda in difficoltà. Terzo, la pubblicità: chi investirebbe in spazi pubblicitari su una rete che sta per chiudere?
Al di là delle norme, avremo subito una mancanza di liquidità: per questo l’unica nostra possibilità sarebbe gestire una chiusura controllata.
Il testo dell’iniziativa è chiaro: niente più concessioni, ma si metteranno all’asta le frequenze. E chi offre di più prende, indipendentemente dal progetto. Quindi, un gruppo regionale che proponesse una radio-tv tipo servizio pubblico anche se fortemente ridotto dovrebbe innanzitutto vincere l’asta, e poi avere un investimento pubblicitario sufficiente, ma il mercato della Svizzera italiana è quello che è.
I dirigenti della Ssr, e lo so perché ne abbiamo parlato, non considerano l’ipotesi di una Ssr a due velocità. Non c’è nessuna intenzione di legare le risorse al risultato regionale dell’iniziativa, ma certo noi ci troveremmo privi di argomenti per giustificare la nostra presenza. E non so quali pressioni arriveranno ad esempio da San Gallo dicendo “siamo una regione periferica della Svizzera tedesca, date a noi le risorse, visto che loro non le vogliono”.
Credo ci siano più fattori. Il primo è stato il nostro limite nel non aver colto un segnale ed essere rimasti fermi al “facciamo (al meglio) la radio e la tv”, quando i social media hanno aperto il capitolo della partecipazione e della discussione. Questo, in un momento di difficoltà economica e di diffidenza verso le istituzioni, ha certo creato una parte dello scollamento. Un altro aspetto è che chi è considerato istituzione e privilegiato è attaccato a prescindere: succede ai funzionari, succede ai docenti, succede ai manager, succede a noi…
Quindi, abbiamo un fattore che dipende da noi e sul quale dobbiamo ricuperare – e lo stiamo facendo –, e un fattore sociale più generale.
Di fronte a esempi concreti, abbiamo sempre spiegato le nostre ragioni e ammesso quando c’era da ammettere di aver sbagliato. Spesso però si sta sull’ideologico, sul “siete tutti di sinistra” o, al contrario “siete tutti statalisti”… poi essere attaccati da destra e da sinistra non vuol dire aver ragione, perché magari si è sbagliato due volte. Però, sempre restando in generale, se tutti dicono che la tv è così potente e che noi siamo faziosamente di sinistra, mi si deve spiegare perché l’elettorato ticinese va dappertutto tranne che a sinistra…
Se la propria azienda è messa a rischio, è normale che una persona fatta di carne e ossa abbia dei moti dell’animo anche forti… Noi non abbiamo sollecitato nessuno a fare chissà che interventi, ma chiediamo ai nostri collaboratori calma e lucidità, ovvero: spiegare chi siamo e che cosa facciamo, rispondere ad affermazioni non corrette. Poi sappiamo che sui social network è facile infiammarsi, per cui parliamo regolarmente con le persone per ricordare quale deve essere l’atteggiamento: spiegare, non fare polemiche