Culture

Beata gioventù

27 ottobre 2017
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Per superare la convinzione che la cosa migliore riconducibile a Miley Cyrus resti ancora ‘Achy breaky heart’ cantata da suo padre Billy Ray Cyrus e scritta da un altro, abbiamo ascoltato ‘Younger now’, nuovo album della ex-Hannah Montana. Concluso l’ascolto, restiamo nella convinzione che la cosa migliore riconducibile a Miley Cyrus resti ancora ‘Achy breaky heart’ cantata da suo padre Billy Ray Cyrus e scritta da un altro.

Ulteriore ironia sulla ragazza appesa alla palla per demolizioni sarebbe retorica, visto che l’artista ha già provveduto a fare mea culpa. Lo riporta una “importante rivista di sociologia applicata chiamata Vanity Fair” (cit. Antonio Ornano) secondo la quale la popstar vivrebbe l’incubo che al suo funerale qualcuno possa suonare ‘Wrecking ball’. Che è un po’ anche il nostro incubo. Sarebbe ulteriormente retorico ridurre a un unico ‘FU’ (che non è un passato remoto, ma l’invito ad andare a quel paese, titolo di un suo brano) la macchina da spettacolo che alimentò il “Bangerz Tour” (2014), dove Miley – ostentazione della propria lingua e del proprio bacino a parte – dimostra di saper cantare meglio di Madonna e Katy Perry.

Il libretto di ‘Younger now’ è un delizioso collage pop delle foto d’infanzia di Destiny Hope Cyrus (Miley all’anagrafe), ritratta con i denti da latte o in pose da Child Beauty Pageant, quei concorsi di bellezza per bambini (identici, per dinamiche, a quelli per cani e gatti) dentro i quali convergono i sogni infranti di mamme americane sovrappeso. Non manca la foto del suo Floyd, prima della tragica scomparsa che riempì le pagine delle riviste di sociologia applicata e che appare in forma di statua nel “Bangerz tour” (Floyd, come si evince dal video, era un cane).


Il disco si apre proprio con 'Younger now', e una constatazione: “Mi sembra di essermi svegliata, come se avessi dormito tutto questo tempo”. Viene da chiedersi, dunque, chi fosse la 22enne che nel maggio del 2014 cavalcò un grande pene gonfiabile all’Hotspot Gay Friday di Londra, prima di offrirsi ai palpeggiamenti delle prime file. Nel videoclip, a caratteri cubitali, si legge “Change is a thing you can count on” (più o meno “cambiare è sempre possibile”). Ma un bel “Better think twice” (“pensaci due volte”) non sarebbe stato fuori luogo. Al non epocale singolo ‘Malibou’ si fa preferire ‘Bad mood’, dalla ritmica Abba; ‘Inspired’, che chiude l’album, sembra davvero ispirata; ‘Rainbowland’, in duetto con Dolly Parton, è un ritorno disneyano nella casa del Country, del quale la pettoruta 71enne (in Piazza Grande 3 anni fa) è regina. In apertura di brano, il saluto telefonico di Dolly (da cui, lo ricordiamo, la pecora).

Sopravvissuta ai timori di Elton John (“Miley è vicina al tracollo”), sostituiti i completini inguinali con una tutina R’n’R in pelle e l’acconciatura alla Olivia Newton-John di “Grease” – pur con il fondoschiena centro d’equilibrio della copertina – Miley sembra tornare alla dimensione rurale e per famiglie degli inizi. Il tutto per la gioia dell’America puritana, sconvolta dal capezzolo di Janet Jackson fuoriuscito nell'intervallo del Superbowl 2004 (da allora in differita per prevenire altri capezzoli), ma permissiva verso gli amplessi mimati della Cyrus, fruibili da grandi e piccini anche in blu-ray.

Riepilogando. ‘Younger now’ è l'album di un’artista che nel titolo si definisce “più giovane adesso”, ma che rischia di essere già vecchia dentro per l’impossibilità di stupire ulteriormente. Per chi non avesse superato l’ostentazione di glutei in ‘Bangerz’, o pensasse fermamente che il confine tra pop e porno non sia soltanto questione di vedo e non vedo, c’è sempre l’ultimo, rassicurante album di grandi successi cantati – anzi, sussurrati – da Carla Bruni (questa era una battuta).

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