Culture

Ippolita Baldini, la marchesa al Paravento

Ippolita Baldini
(Claudia Comoni)
24 luglio 2017
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Chi avesse visto “Benvenuti al Nord”, l’avrà conosciuta come la Dodi. Chi, invece, “Colorado” – fratellino di “Zelig” – avrà amato Lucy la single, stralunata ragazza brianzola che in rigoroso tacco 12 cerca di rimorchiare 'on the dance floor' (sulla pista da ballo). Tra inglesismi, ballo dance e sventure metropolitane, quel personaggio nasconde un’esilarante dolce-amaro di fantozziana memoria, con tratti di universalità tutta femminile. Ispirata da quelle che definisce “due donne franche” – Franca Valeri e Franca Rame – Ippolita Baldini è attrice sì comica, ma sempre con gli attributi: diplomatasi all’Accademia nazionale d’Arte drammatica Silvio d’Amico, lavora dal 2009 nel cinema e nel teatro. “Mia mamma è una marchesa”, in scena domani al Paravento nell'ambito di 'Teatro in festa' (inizio ore 21), è una riflessione ironica sui “parvenu” milanesi e sul desiderio di realizzazione, una pièce che la Baldini s'è scritta da sé, con la collaborazione di Emanuele Aldrovandi. Abbiamo strappato l'attrice al riscaldamento pre-tennis per chiederle di parlarci del suo spettacolo, certi della presenza di tratti autobiografici (già suggeriti dall'anagrafe).

Ippolita Baldini, più che un nome d'arte, una sintesi...

Sì, il mio nome completo è Roberta Ippolita Lucia Calcagno Baldini. Ci sono origini nobiliari nel mio nome. Arrivata a questo punto della mia carriera, i miei nomi credo di averli usati tutti. Dovrei inventarmene degli altri. Ma penso che mi fermerò qua.

“Mia mamma è una marchesa” è un monologo. Ce lo racconti?

Il personaggio principale è Roberta, che ogni tanto viene imbeccata dalla madre marchesa. Roberta descrive le sue avventure accennando le voci di chi incontra, ma senza una postura fisica, un cambio tonale, costumi. È un codice linguistico, come quando qualcuno dice “oh, sai che tizio mi ha detto che...”. Tranne la marchesa, che invece diventa un codice anche fisico. Ogni volta che arriva, io prendo il profilo, e inizio a toccarmi la chioma, che è il gesto che fa nella realtà anche mia madre quando parla…

Stavo proprio per chiederti da dove provengono le donne che porti in scena...

Mia mamma, per esempio. È come se fosse la co-protagonista dello spettacolo, muove davvero la chioma in quel modo. Alla fine della prima di questo spettacolo, a Roma nel 2015, ho preso gli applausi e sono tornata in camerino. Poi ne ho sentiti degli altri. Ho pensato che forse mi rivolevano sul palco, ma mi sembrava passato troppo tempo. Controllo da dietro la quinta, per non farmi vedere, e scopro che stavano applaudendo mia madre, che inconsapevolmente aveva fatto quel colpo di chioma davanti a tutti. Adesso, quando mia madre torna a vedere la marchesa, il colpo di chioma per gli spettatori lo fa consapevolmente, per prendere l'applauso.

Non posso non chiederti di Lucy la single...

Lucy è tutt'altro, è una maschera. Nasce sempre da me, ma ho abbassato il profilo. Dal marchesato, dalla città, l’ho messa nella provincia brianzola. È un personaggio tarato sui tempi stretti della televisione, vive bene in quel timing.

La Lucy ci è familiare, è universale...

Sì, la gente nella Lucy ci vede tante persone. Quando metto i suoi video su facebook, si taggano in tanti, scrivendo “è uguale alla...”, e mettono nome e cognome di qualcuno. Per la Lucy, ho attinto dalla realtà. Devo dire che funziona molto bene nelle grandi metropoli, e nel nord Italia. Fa un po' fatica al sud, dove il suo linguaggio forse è meno immediato. L'ho portata in un festival di cabaret in Puglia e mi guardavano spaesati. Non è entrata nemmeno una battuta.

Come l'hai portata a casa?

Ho ballato come una disperata, tutta sghemba come balla la Lucy, ho provato a comunicare col corpo. E comunque non ho vinto il concorso.

Quale Franca Valeri hai amato di più? La cinica Elvira de “Il vedovo” o la Sora Cecioni?

Franca Valeri è innanzitutto una grande poetessa. Le sue donne le amo un po' tutte, anche se resto affezionata al repertorio milanese, alla donna ricca, alla signorina snob. La mia preferita è la Cesira, la manicurista che lavora nel centro estetico.

E poi c'è Franca Rame, l'altra faccia della medaglia...

Sì, in tutti i sensi. Si va da una famiglia benestante di Milano (il cognome della Valeri è Norsa, ndr) alla famiglia di attori girovaghi della Rame. Ha una comicità graffiante. Quando ho portato i miei progetti a New York, ho scelto di proporre i suoi monologhi, che vanno molto oltre i confini italiani. Amo meno la Rame politicizzata, e di più quella che affronta le grandi tematiche, come il sesso, trattate sempre con eleganza.

La tua comicità ha le basi nell'accademia. Quella stessa formazione che ha reso grande, per fare un esempio, Anna Marchesini...

Sì, e tra l'altro Anna Marchesini è stata insegnante nella mia accademia. Ho fatto un corso di comicità gestito da lei, è stata un'esperienza mostruosamente bella.

Prima di lasciarti al tennis: la Lucy, come lo presenterebbe il tuo spettacolo?

Penso che direbbe: “Ragazzi, c’è la Betty che mi ha invitata a Locarno a vedere questa roba supertop, dicono che è uno spettacolo di teatro; va beh, il teatro è un po’ sbatti, però è all’aperto e al massimo, sti cazzi, mandi due o tre messaggi, guardi le stelle, fumi una siga, non so, fai due chiacchiere, strizzi l’occhio e poi se rimani lì a bere qualcosa, magari ci scappa che c’è qualcuno di carino e... figata!”. 

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