Diversi docenti prendono posizione. Carobbio (Decs): ‘Sul tavolo la possibilità di offrire percorsi diversi’. Lunedì nessuna risposta alle interpellanze
Aspiranti insegnanti senza ore, monta la polemica. Sono oltre sessanta – sessantadue per la precisione, tra nominati, abilitati e abilitandi – i docenti di scuola media e scuola media superiore che hanno sottoscritto una fitta lettera all’indirizzo del Dipartimento educazione, cultura e sport (Decs) e del Dipartimento formazione apprendimento (Dfa) di Locarno. Documento in cui non vengono usati mezzi termini: “Siamo delusi e profondamente preoccupati – si legge – per il nostro futuro. Da anni ci viene chiesto di riporre fiducia e pazienza, ma la continua incertezza sta minando la nostra sicurezza e serenità. I docenti, che hanno investito anni in un lungo percorso di formazione, non possono continuare a subire questa condizione di instabilità”. Motivo per cui, viene auspicato, “è giunto il momento di dare risposte concrete e immediate”.
Il caso dei tredici docenti di italiano del medio superiore, si puntualizza però nella presa di posizione, “non è affatto un unicum”. Tant’è che, incalzano i firmatari, “la mancanza di trasparenza rilevabile nel corso degli studi al Dfa pare permeare non solo il percorso di abilitazione per le scuole medie superiori (sms), ma anche quello di coloro che conseguono un master in Insegnamento per la scuola media (sm)”. Numerosi gli esempi snocciolati dai firmatari della lettera. Tra questi il caso “dei docenti d’italiano (sm) abilitati nel 2022 e nel 2023, molti dei quali lavorano a bassa percentuale, poiché il mercato del lavoro non riesce ad assorbire la continua richiesta d’ore”. Non pochi i casi in cui qualcosa va storto. “Sempre per la materia italiano – viene rilevato – nel giugno 2024 sono stati abilitati dodici docenti, e tutti hanno svolto il concorso d’assunzione cantonale”. L’aspettativa? “Che la maggior parte di questi avrebbe ottenuto un impiego, ma le attese sono state deluse: solo pochi abilitati hanno ricevuto una quota oraria dignitosa, gli altri hanno invece ottenuto percentuali lavorative che variano dal 10 al 45%, e che evidentemente non permettono la sopravvivenza in Ticino”. Tali “errori di calcolo”, sostengono i firmatari, proseguono. “Sempre nel 2024 – rievoca la presa di posizione – lo stesso schema si è ripetuto per altre discipline delle sm. La stragrande maggioranza dei docenti di storia ha ottenuto percentuali di lavoro esigue, normalmente inferiori al 50% e spinte fino a un 4%”.
Tra le note dolenti, anche il sistema delle supplenze, “reso ancor più sconveniente dalle nuove disposizioni cantonali, che impediscono la trasformazione delle supplenze lunghe in incarichi limitati”. Non solo. “La posizione raggiunta dai candidati in graduatoria – rimproverano poi i firmatari – non viene mai resa nota, neppure in caso di ricorso, e i criteri per l’attribuzione delle ore lavorative restano ignoti”. L’ultima stoccata è al direttore della Divisione della scuola Emanuele Berger, secondo cui l’abilitazione non garantisce l’assunzione automatica, “così come avviene quando si consegue una laurea in Lettere”. Gli insegnanti però non ci stanno: “Sottolineiamo come l’abilitazione del Dfa sia un percorso estremamente specifico che per di più, nel caso dell’italiano, permette di esercitare la professione unicamente in Ticino, nella maggior parte dei casi in seno al Decs”.
A questa si aggiunge un’altra presa di posizione, firmata nientemeno che dai tredici docenti attualmente in abilitazione al Dfa. Nella lettera viene dettagliato passo passo l’iter che ha preceduto la comunicazione del 20 febbraio, da cui è emerso che non sarebbe stato aperto nessun concorso per l’assunzione. Iter, afferma il gruppo degli abilitandi, caratterizzato dal primo giorno da “mancata trasparenza”. La critica di fondo è una: “Ci sembra inammissibile – constatano – che questa comunicazione non sia giunta repentinamente”. E questo proprio perché la “situazione di ‘imprevedibile’ diminuzione delle sezioni scolastiche doveva apparire chiara già a giugno 2024 e avrebbe potuto dunque essere illustrata a settembre”. Ovvero all’inizio della loro abilitazione. Gli abilitandi contestano poi il “divario tra il numero di docenti ammessi alla formazione, 13, e i posti per i quali si potrà concorrere, 0”. Una “discrepanza” sollevata anche da una ventina di giovani abilitati per l’insegnamento nella scuola media superiore di chimica, matematica e arti visive, in una lettera indirizzata lo scorso anno alla direttrice del Decs.
Mercoledì 26 marzo si terrà tra l’altro a Bellinzona un’assemblea rivolta ai docenti neoabilitati e in abilitazione organizzata dalla Vpod.
«Sulle tematiche sollevate dalle lettere ricevute oggi stiamo svolgendo degli approfondimenti. Proporrò ai firmatari un incontro per approfondire e discutere i temi sollevati, che ritengo meritevoli di attenzione». La direttrice del Decs Marina Carobbio dice la sua sulle due prese di posizione. «Capisco le preoccupazioni espresse da docenti abilitandi e abilitati e le prendo molto sul serio», tiene a precisare la consigliera di Stato, che aggiunge: «Già negli scorsi mesi ho avuto più incontri con loro colleghi attivi e in formazione sia nelle scuole medie sia nelle scuole medie superiori che hanno condiviso con me preoccupazione per il loro futuro professionale a causa della scarsità di ore e di possibilità di impiego, in particolare per l’insegnamento dell’italiano». Carobbio riconosce come le persone coinvolte non siano alle prime armi: «Esprimono il desiderio di insegnare, di accompagnare i giovani nella loro formazione. Chiedono però anche comprensibilmente attenzione alla loro situazione personale e anche di possibile precarietà. Non parliamo infatti di giovani alla prima formazione, ma di adulti con master e ulteriori titoli universitari che desiderano trovare un impiego nel campo per il quale si sono lungamente formati». Quanto alla carenza di ore di insegnamento in alcune materie, in particolare in italiano, la consigliera di Stato sostiene che, «da quando sono alla direzione del Decs, negli incontri regolari con il Dfa il tema è stato sollevato più volte». Il che, evidenzia, «ha condotto il Dfa alla decisione di non aprire abilitazioni in italiano il prossimo anno scolastico, che dovrebbe consentire di offrire opportunità di impiego ai docenti nel frattempo già formati, ma anche alla decisione congiunta, con il Dfa e la Suffp, di creare un sistema di monitoraggio per identificare in modo più preciso il fabbisogno futuro di docenti, per evitare il ripetersi di situazioni come quelle sollevate nelle lettere». Carobbio si riferisce all’Osservatorio docenti presentato lo scorso dicembre, che dovrebbe appunto consolidare tra le altre cose le previsioni del fabbisogno del sistema scolastico. Sul tavolo, in discussione con il Dfa, «la possibilità di offrire percorsi di abilitazione diversi, per esempio ‘en emploi’, anche valutando quanto fanno altri Cantoni, proprio per meglio rispondere alle esigenze di chi è pronto a dedicare la propria carriera professionale alla scuola ticinese». Vedremo.
Sul caso dei tredici aspiranti docenti e più in generale sull’abilitazione degli insegnanti sono stati nel frattempo inoltrati alcuni atti parlamentari, tra cui due interpellanze. Una presentata da Giuseppe Sergi e Matteo Pronzini dell’Mps e datata lunedì 17 marzo, cioè due giorni dopo il servizio della Rsi sulla vicenda dei tredici studenti del Dfa, e una depositata ieri da Maddalena Ermotti-Lepori del Centro. Alle interpellanze il governo risponde oralmente in parlamento. Cosa che però non avverrà nella sessione di Gran Consiglio di settimana prossima. Motivo? Sono state inoltrate fuori tempo massimo. Il termine scadeva venerdì 14 marzo. Lo dice la legge, quella sul Gran Consiglio. Articolo 97 capoverso 4: “Se l’interpellanza è presentata almeno 10 giorni prima della seduta e a condizione che ne sia riconosciuta l’urgenza, il Consiglio di Stato risponde pubblicamente per un massimo di 10 minuti nella seduta stessa”. Eppure il tema non solo è di interesse generale ma alla luce del dibattito che sta suscitando in Ticino renderebbe altresì urgenti dei chiarimenti da parte del Consiglio di Stato. Non era possibile per l’Ufficio presidenziale del parlamento fare uno strappo alla regola, con una valutazione di natura politica? A quanto pare no: ‘dura lex, sed lex’.
La prossima settimana l’Esecutivo risponderà invece, essendo giunte in tempo utile e riconosciuta loro l’urgenza, alle interpellanze dell’Mps e di Evaristo Roncelli di Avanti con Ticino&Lavoro innescate dalla sentenza con cui il Tribunale cantonale amministrativo ha annullato, accogliendo il ricorso di uno dei candidati scartati, la nomina governativa di Mattia Pini e Désirée Mallè alla direzione congiunta della Sezione dell’insegnamento medio superiore in seno al Decs. “Occorre concludere – hanno scritto i giudici – che la valutazione dell’autorità di nomina è insostenibile nella misura in cui non ha verificato che i due candidati nominati fossero in possesso dei requisiti posti dal bando di concorso”. Il Tram ha così rinviato gli atti al Consiglio di Stato per una nuova decisione. Non è da escludere che rispondendo in aula alle citate interpellanze il Consiglio di Stato indichi i suoi prossimi passi, per esempio se ha deciso di impugnare (o meno) il verdetto del Tram, ricevuto il 24 febbraio, davanti al Tribunale federale (tempo trenta giorni).