Preoccupazione e domande per il caso dei tredici aspiranti insegnanti di italiano. Berger (Divisione della scuola): ‘Troppe variabili imprevedibili’
Preoccupazione e già qualche atto parlamentare. Suscita anche interrogativi politici la vicenda dei tredici candidati selezionati per l’abilitazione all’insegnamento dell’italiano nel settore medio superiore che da settembre dello scorso anno frequentano il Dfa, il Dipartimento formazione apprendimento, di Locarno. Tredici aspiranti docenti che, come riferito sabato dalla Rsi, durante una riunione di fine febbraio alla presenza di rappresentanti del Dipartimento educazione, cultura e sport (Decs) e del Dfa, si sono visti spiegare che non troveranno posto in nessuna delle sette scuole medie superiori del cantone. Sicuramente non a settembre dell’anno prossimo.
Fermi però i puntini sulle ‘i’ messi sia dal Decs che dal Dfa, interpellati dalla ‘Regione’. «Come Dipartimento siamo molto dispiaciuti per la situazione che si è creata. L’aspettativa di chi desidera lavorare come docente – osserva il direttore della Divisione della scuola Emanuele Berger – è spesso ancora che iscriversi alla formazione del Dfa/Asp sia sufficiente per avere da subito delle ore garantite, ma non è così». E ricorda: «Come viene spiegato esplicitamente sia nelle giornate informative che sulle pagine pubbliche delle due istituzioni coinvolte, quindi Decs e Supsi, l’ammissione e il conseguimento dell’abilitazione pedagogica presso il Dfa, analogamente ad altre formazioni di livello universitario, non garantiscono un posto di lavoro presso il Cantone». Insomma, «l’ottenimento di un titolo accademico in insegnamento è una condizione che permette poi di concorrere per un posto di lavoro, quando viene aperto un concorso, in Ticino, ma anche altrove in Svizzera».
Sulla stessa lunghezza d’onda il direttore del Dfa Alberto Piatti: «Dalla riforma del 2000, le Alte scuole pedagogiche non erogano ‘abilitazioni’, bensì titoli universitari riconosciuti in tutta la Svizzera». Ciononostante, rileva, «in parte del senso comune rimane l’idea per cui la formazione di insegnante permetta l’accesso diretto a posti di lavoro nelle scuole comunali o cantonali. Sebbene la richiesta di docenti osservata negli ultimi quindici anni abbia perpetuato questa immagine, i titoli universitari erogati dal Dfa/Asp, così come dalle altre Alte scuole pedagogiche, sono la condizione per accedere ai concorsi pubblici, ma non l’automatica garanzia di assunzione di un diplomato», evidenzia Piatti.
Rispetto al caso specifico dei tredici aspiranti docenti, riprende Berger, «nel settembre 2023, come accade da molti anni, sulla base delle informazioni allora disponibili, è stata effettuata una previsione del possibile fabbisogno di docenti a partire dall’anno scolastico 2025/2026 e per gli anni successivi». Previsione, continua il direttore della Divisione della scuola, che «prevedeva in quel momento un certo fabbisogno di docenti di italiano nelle scuole medie superiori». Ed è «sulla base della condivisione di queste indicazioni che il Dfa ha aperto la procedura di ammissione per offrire la formazione per ottenere il diploma in insegnamento dell’italiano nelle scuole di maturità nell’anno scolastico 2024/2025». Nel frattempo, tuttavia, qualcosa cambia e, precisa Berger, «alla luce delle scelte effettive dei giovani in uscita dalle scuole medie al termine dell’anno scolastico 2023/2024 e dei movimenti dei docenti già in carica durante l’estate del 2024, il fabbisogno stimato di nuovi docenti è calato, al punto da condurci, dopo approfondimento, alla decisione di non aprire la procedura di assunzione di nuovi docenti di italiano per le scuole medie superiori per l’anno scolastico 2025/2026».
Arriva dunque la doccia fredda per coloro che speravano, dopo essere stati selezionati e aver cominciato l’abilitazione, di poter iniziare a insegnare italiano in una scuola media superiore in Ticino. Eppure, aveva dichiarato in dicembre la direttrice del Decs Marina Carobbio durante la presentazione dell’offerta formativa per l’anno accademico 2025/2026 rivolta a futuri docenti, “si cerca per quanto possibile di fare in modo che chi decide di investire tempo ed energie in percorsi di abilitazione, che necessitano di un grande impegno, abbia poi anche delle concrete possibilità di trovare un posto di lavoro negli anni seguenti, evitando così di formare persone che non avranno sbocchi in Ticino”... «L’incontro avuto con gli abilitandi il 20 febbraio scorso – annota Berger – è servito a informarli con trasparenza delle prospettive lavorative per l’anno prossimo, spiegando i motivi che hanno causato la riduzione del fabbisogno inizialmente previsto». Che tiene a precisare: «Umanamente comprendiamo e siamo molto dispiaciuti per la delusione di chi ha investito e sta investendo negli studi universitari sperando di poter cominciare al più presto a insegnare e ora si trova temporaneamente senza prospettive immediate di poter avere ore di insegnamento nelle scuole del nostro Cantone». E puntualizza: «La formazione non è però un anno perso, in quanto il diploma conseguito darà loro la possibilità di concorrere per un posto di insegnamento non appena si libereranno delle ore. Non è infatti da escludere che alcune si liberino anche nel corso dell’anno scolastico. Il contatto con queste persone rimane dunque aperto».
Come spiegare però queste fluttuazioni? «Il Dfa e il Decs – mette in luce Berger – si coordinano affinché vengano formati sufficienti docenti per coprire il fabbisogno prevedibile per le scuole ticinesi. Purtroppo la previsione del numero di docenti necessari negli anni successivi non è infallibile, se effettuata con due o più anni di anticipo». Molte, per Berger, le variabili in gioco: «Da un lato vi sono il numero e la mobilità dei circa tremila allievi in arrivo ogni anno dalla scuola media, diversi dei quali si iscrivono parallelamente a più scuole, sia licei, sia scuole professionali, e scelgono solo all’ultimo il loro indirizzo». Non solo. «Vi sono poi spostamenti di allievi da e tra i vari circondari e distretti del Cantone, oltre che da e per il Ticino». Spostamenti che, «anche se di poche unità, possono comportare la necessità di creare o abolire sezioni, alterando conseguentemente l’esigenza di docenti. Quest’anno si è verificata ad esempio una diminuzione non prevedibile di alcune sezioni rispetto al precedente anno scolastico, che ha comportato anche un minor fabbisogno di docenti». Di più. «Dall’altro lato – spiega ancora Berger – ci sono numerose variabili legate al numero di docenti necessari in quanto, su un totale di oltre seicento docenti liceali attivi, molti dei quali a tempo parziale, ci possono essere partenze, richieste di variazione della percentuale di lavoro di docenti attivi, pre-pensionamenti, malattie, infortuni, maternità e altro ancora». In altri termini, fa il punto il direttore della Divisione della scuola, «la combinazione di questi elementi esterni e non interamente prevedibili, specialmente se cumulati su più anni, può portare a previsioni che alla luce dei fatti reali si rivelano poi inaccurate, come in questo caso».
A dare speranza, l’istituzione di un Osservatorio docenti nato dalla collaborazione tra Decs, Dfa/Asp e la Scuola universitaria federale per la formazione professionale (Suffp), come annunciato a dicembre. «Un dispositivo di monitoraggio permanente – rammenta Berger – volto a fornire tra le altre cose una panoramica aggiornata del corpo docente in carica nella scuola pubblica e dell’evoluzione del fabbisogno, allo scopo di pianificare ancor meglio l’organizzazione e le risorse necessarie al buon funzionamento del sistema educativo cantonale sul medio-lungo termine, prevedendo per tempo le necessità di formazione di nuove e nuovi insegnanti per i diversi ordini scolastici».
In sede politica è intanto già partita la richiesta di chiarimenti al Consiglio di Stato, con un’interrogazione, inoltrata da Maurizio Canetta per il gruppo dei socialisti, e un’interpellanza depositata dai deputati dell’Mps Giuseppe Sergi e Matteo Pronzini. Canetta e cofirmatari chiedono nello specifico sulla base di quali calcoli e riflessioni sia stato aperto il corso di abilitazione che coinvolge i tredici candidati selezionati, quali criteri e parametri vengano utilizzati per valutare l’apertura dei corsi di formazione per le singole materie e quando sia emersa l’evidenza che non ci saranno posti di lavoro per i tredici corsisti. Ma anche come intendano agire Dfa e Decs nei loro confronti, nonché se il governo sia a conoscenza delle critiche e dei malumori legati al modello formativo proposto dal Dfa. Dal canto loro Sergi e Pronzini puntano sull’istituzione di un gruppo di lavoro, che coinvolga gli abilitandi, i direttori delle scuole medie superiori e altri responsabili, per individuare delle soluzioni. I due parlamentari del Movimento per il socialismo chiedono poi al governo se, “per evitare la dispersione delle competenze acquisite dagli insegnanti abilitati”, non ritenga opportuno valutare “un allentamento dei criteri relativi alla formazione delle classi, in particolare per quanto riguarda il numero di allievi per sezione”. Citando quanto dichiarato da Piatti alla Rsi, domandano: “Quali sono le reali ragioni per cui ‘il tentativo di coordinamento con il Decs non ha funzionato’?”. Non è tutto: “Considerata la situazione attuale, il governo ritiene necessario avviare una discussione sul modello di abilitazione dei docenti, valutando la possibilità di reintrodurre la formazione ‘en emploi’?”. E ancora: “Non è forse opportuno aprire un confronto sull’opportunità che la formazione dei docenti torni a essere gestita direttamente dal Cantone?”. L’auspicio è che il Consiglio di Stato risponda a questi e agli altri quesiti di Sergi e Pronzini nella prossima sessione di Gran Consiglio, al via lunedì 24, data l’importanza e l’interesse generale dell’argomento.
Preannuncia a sua volta un atto parlamentare Evaristo Roncelli. «Con una mozione, che sto allestendo, chiederò al Consiglio di Stato – spiega il granconsigliere di Avanti con Ticino & Lavoro – di attivarsi affinché venga adottato in Ticino il modello degli altri cantoni, dove la formazione per diventare docente avviene parallelamente a quella universitaria, in altre parole l’abilitazione è un corso complementare al master. Inviterò inoltre il governo a rendere più facile il passaggio alle scuole professionali di chi è abilitato a insegnare una certa materia nel medio superiore e viceversa. L’obiettivo è quindi di rendere molto più flessibile il sistema».
Allarga lo sguardo la deputata del Centro Maddalena Ermotti-Lepori, presidente della commissione parlamentare ‘Formazione e cultura’. «È chiaro – premette – che possono esserci cambiamenti anche a corto termine che, come quest’anno, sono difficili da prevedere. In questo caso la previsione di pianificazione sembra non si sia verificata perché già da settembre scorso ci sono cinque classi in meno al liceo». Per la granconsigliera, «il calo del numero degli allievi al liceo è un imprevisto, ma non un segno per forza negativo. Al di là, ovviamente, della situazione in cui si trovano queste tredici persone. Se non sono state informate del fatto che la loro assunzione non fosse assicurata, è uno sbaglio perché l’informazione è importante», chiarisce. E osserva: «È da tempo che si parla di potenziare l’orientamento scolastico dopo la scuola dell’obbligo per evitare che troppi giovani si iscrivano al liceo quando ci sono delle alternative interessanti». Un principio, prosegue, «caro anche al governo e che mira a offrire alternative valide al liceo. Che ci siano meno classi potrebbe quindi essere un segno che si stanno facendo passi importanti in questa direzione. Negli anni si è fatto un grande lavoro per avere nuovi posti di apprendistato». Con una proposta: «Visto che l’abilitazione non verte sulle tematiche specifiche della materia, ma piuttosto sugli aspetti pedagogici e didattici – aggiunge Ermotti-Lepori, richiamando il suggerimento di Roncelli –, mi chiedo se non si possa prevedere un accesso facilitato per chi è stato abilitato all’insegnamento al liceo verso le scuole professionali e viceversa». Un tema che la commissione granconsiliare di controllo su Usi e Supsi, anch’essa presieduta dalla centrista, ha già affrontato. «Chi vuole insegnare presso le scuole professionali viene abilitato dalla Suffp, chi invece vuole lavorare alle scuole superiori dal Dfa. Si potrebbe pensare a una collaborazione tra i due istituti nel riconoscimento dei diplomi».
Dalla commissione scolastica a quella ‘Economia e lavoro’. “Spero che la questione venga risolta: non si può investire nella formazione, che ha un costo, di futuri docenti senza che questo percorso abbia degli sbocchi concreti – rileva il suo presidente, il leghista Omar Balli –. Non stupiamoci se poi i giovani lasciano il Ticino per trovare delle opportunità professionali altrove. In questo cantone siamo specialisti nel tirarci la zappa sui piedi...».