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Commercio al dettaglio, il Ticino arretra: non esclusi dei tagli

Lo studio del Kof: ‘Risultati inferiori alle attese’. Sommaruga: ‘Se continua così si rivedranno gli organici’. Le reazioni di Cc-Ti e sindacati

In cerca di soluzioni
(Ti-Press)
15 gennaio 2025
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Per il commercio al dettaglio ticinese i risultati dell’ultima indagine statistica del Kof, il Centro di ricerche congiunturali del Politecnico federale di Zurigo, che comprende i dati fino a ottobre e le proiezioni con le previsioni delle stesse aziende fino a tutto il mese di dicembre, sono stati “inferiori alle attese”. Certo, riporta l’Ufficio di statistica nel suo Notiziario, “gli acquisti a ridosso delle festività continuano ad assumere un ruolo centrale”. E qualche sostegno su base annua l’hanno dato. Ma non abbastanza, rispetto alle previsioni: “Il divario rilevato in particolare è tra i negozi medio-grandi e in Ticino. Confrontando i risultati raccolti a livello nazionale con quelli a livello cantonale, non si rilevano dei chiari cenni di ripresa”.

E ancora: “Rispetto ad altri settori, il commercio al dettaglio sembra uscire da questi anni di rincaro con dei margini di guadagno più bassi”. Finito? No, è un crescendo. Perché “in termini di occupazione emergono dei segnali poco rassicuranti, visto che da un paio di mesi cresce il numero di negozi medio-grandi che valutano come eccessivi i propri livelli d’impiego attuali”. Tradotto: si potrebbe licenziare. E forse senza nemmeno usare il condizionale.

Cosa dice l’analisi

Con ordine. A livello di situazione degli affari, “tra i piccoli negozi i risultati tratteggiano una chiara tendenza positiva, che raggiunge in ottobre il suo valore più alto. Tra i commerci medio-grandi le prospettive sono pure relativamente buone, ma in questo caso il saldo è leggermente inferiore rispetto alle aspettative espresse in aprile”. E fin qui, si regge. I problemi cominciano quando si passa dall’analisi trimestrale a quella mensile, e si passa al mese di dicembre. In teoria quello delle vacche grasse, in pratica? In pratica “emerge un leggero peggioramento dell’indice relativo alla situazione attuale degli affari tra i commercianti attivi in Ticino”.

Butta male, detta breve. Anche considerando come “al contrario in Svizzera affiorano cenni di un ulteriore lieve miglioramento, che riporta il saldo in positivo”. Va da sé che “specialmente i risultati raccolti in Ticino stridono con le attese positive e in crescita espresse solo qualche mese fa”. Quindi sì, butta male.

L’Ustat rimarca come “la tendenza negativa rilevata a Sud delle Alpi può essere distinta in due: tra i negozi medi e grandi i risultati erano in calo già da alcuni mesi e questo leggero peggioramento è un po’ una conferma; tra i piccoli commerci emergevano da diversi mesi dei flebili segnali di miglioramento, per cui qui la flessione è invece arrivata un po’ a sorpresa”.

Anche la curva relativa alla valutazione degli affari segnala “un leggero peggioramento a dicembre”, anche se “allargando l’orizzonte di qualche mese, si nota una tendenza in crescita”.

‘In alcuni ambiti di vendita cali significativi’

Ma le prospettive restano quelle che sono. Lo conferma la presidente di Federcommercio Lorenza Sommaruga, citata nello stesso Notiziario statistico dell’Ustat: “Nonostante le difficoltà, il periodo natalizio ha visto un buon afflusso di clienti nei centri urbani e nei negozi. Tuttavia, il quadro delle vendite è rimasto disomogeneo, con alcuni settori che hanno subito cali significativi”. I motivi? Per Sommaruga sono “i rincari legati al contesto economico internazionale, che hanno pesato sui bilanci familiari. Sebbene l’inflazione continui a rappresentare una variabile importante, il consumo complessivo nell’ultimo trimestre è risultato inferiore rispetto all’anno precedente”. Un elemento costante è l’apprezzamento del franco, “che ha spinto molti ticinesi a fare acquisti Oltreconfine”. Senza dimenticare che “la tendenza a effettuare gli acquisti online non cessa di creare difficoltà ai negozi di ogni genere”.

Il carico pesante, Sommaruga lo piazza alla fine. Perché, gira che rigira, “qualora la situazione dovesse peggiorare, non si esclude la necessità di rivedere l’organico aziendale. Tuttavia, resta viva la speranza che la situazione possa stabilizzarsi”.

E siamo al punto. Il settore della vendita al dettaglio è a rischio licenziamenti? Le sfide portate dall’e-commerce e dai cambiamenti epocali che sta vivendo il settore porteranno a questa conseguenza?

Albertoni (Cc-Ti): ‘Stravolgimento nel settore’

Il direttore della Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi Luca Albertoni, da noi interpellato, non si definisce stupito dalle dichiarazioni di Sommaruga: «Siamo di fronte a uno stravolgimento nel settore, portato da una parte dal modello di business e dall’altra dall’aumento importante di costi di ogni genere: approvvigionamento, regole interne, tasse...». L’e-commerce, va da sé, è un problema: «Esistono piattaforme che portano a chiedersi se la concorrenza sia davvero leale o diventi sleale». Un esempio su tutti, Temu, il gigante cinese: «Lavora in perdita pur di occupare il mercato, e al di là della qualità dei prodotti su cui si può lungamente disquisire, ci si domanda come reagire. Proibire? Mettere dei limiti? È difficile, perché l’equilibrio tra limiti e libertà economica rende complessa la situazione che non potrà essere risolta da una misura definitiva».

‘Il problema adesso è reinventarsi’

Quindi, che fare? Bella domanda. «La difficoltà del negozio fisico, che ha meno possibilità di far affidamento sulla vendita online rispetto alla grande distribuzione, potrà avere riflessi sull’occupazione», conferma Albertoni. Il problema, adesso, è «reinventarsi». Ma non sempre si può, ed è un problema nel problema. «La durissima realtà è che occorre reggere, non fa assolutamente piacere, io consumo solo locale perché ci credo veramente» ribadisce il direttore della Camera di commercio. E rispetto al passato, c’è anche il grave peggioramento che «l’elasticità mentale, la creatività e l’inventiva non servono più». Se non è una sentenza, ci siamo vicini.

I SINDACATI

Unia preoccupata, l’Ocst meno

E i sindacati? Chiara Landi, responsabile del settore terziario di Unia, non usa mezzi termini: «Sono dati che non ci stupiscono, perché lo diciamo da tempo e l’abbiamo detto anche durante la campagna per le aperture domenicali: assistiamo a politiche che vanno a detrimento dei piccoli commerci». Con un peccato originale, nel senso che «anche il Kof lo afferma, nonostante un aumento della clientela non si vede un impatto sui volumi di vendita. La traduzione è che la popolazione residente ha sempre più difficoltà economiche e quindi nello spendere in Ticino». Per Landi la questione delle aperture domenicali da parte della grande distribuzione è cardinale, dal momento che «hanno eroso parte della cifra d’affari del piccolo commercio. Ed è una cifra d’affari che non recupereranno mai». Sommaruga dice che i datori di lavoro potrebbero andare a toccare il personale riducendolo... È un timore anche presso Unia? «Non voglio fare la Cassandra anche in questo caso – risponde Landi –, ma nonostante si sia sbandierato che ogni cosa veniva fatta per andare incontro al piccolo commercio non è stato così. E anche le grandi catene, come Migros, non solo stanno promettendo di ridurre il personale ma lo stanno proprio facendo». No, la situazione «non è rosea» rincara la sindacalista di Unia. E di conseguenza «se i datori di lavoro stessi, quindi le grandi catene, le associazioni padronali e il piccolo commercio non riescono a trovare soluzioni strategiche per risolvere i problemi che affliggono il commercio al dettaglio, non si uscirà mai dal problema. Certo le associazioni padronali firmatarie del Ccl del commercio al dettaglio potrebbero cominciare stabilendo livelli salariali più alti».

‘Tutto ha origine dal potere d’acquisto sotto attacco’

Perché da lì non si scappa, per Landi: «Tutto ha origine dal potere d’acquisto in calo. Tutte le ricette come ad esempio l’abbassamento della franchigia per gli acquisti all’estero dimostrano che non si vuole risolvere niente. Ripeto e ripeterò sempre – attacca ancora la responsabile del settore terziario di Unia – che sono gli stessi residenti che lavorano nel commercio al dettaglio o nella grande distribuzione a dire che si trovano costretti a fare la spesa in Italia perché sennò non riescono a riempire il frigorifero: è qui il problema».

Infine, l’annotazione di Landi è che «il commercio al dettaglio è una cartina di tornasole, un indicatore anche rispetto a come va il mercato del lavoro e come stanno altri settori a lui legati: logistica, industria dell’approvvigionamento alimentare su tutti. L’indotto è talmente importante che servono ricette strutturali, profonde e a lungo termine. Non miopi e che servono solo a mettere una pezza, applicando soluzioni già confermatesi fallimentari altrove».

Meno preoccupato sembra il responsabile terziario dell’Ocst Marco Pellegrini, che ci spiega come «fino alla fine del 2024 non abbiamo riscontrato una riduzione del personale nel settore della vendita, anche perché non sono nemmeno aumentati gli annunci di disoccupazione». Insomma, «siamo nella media degli altri anni». Poi è chiaro, continua Pellegrini, «il settore della vendita è sotto pressione, e sicuramente bisognerà far qualcosa per contenere questa flessione al ribasso». Ma è netto: «Non sono così tragico, nel senso che come tutti gli anni ci sono fluttuazioni positive o negative, sono cicli che rientrano nel rischio aziendale di ogni attività. È giusto essere preoccupati, ma lanciare allarmi mi sembra un po’ esagerato».

Per Pellegrini «bisogna reinventarsi, ma anche collaborare maggiormente tra sindacati e mondo imprenditoriale per trovare una strategia che porti a soluzioni migliori, e a far crescere il settore. Non è chiudendosi a riccio, con ognuno fermo sulle sue posizioni, che queste soluzioni si trovano».

L’ESPERTO

Greppi: ‘Il Ticino ha problemi endemici’

«È chiaro che questo studio rivela una serie di problemi ormai endemici e strutturali del Ticino», commenta da noi interpellato Spartaco Greppi, economista e professore al Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale della Supsi. Problemi che Greppi snocciola: «Difficoltà di reclutamento, salari stagnanti e bassi, capacità di consumo commisurata ai livelli salariali e in generale alle condizioni finanziarie delle economiche domestiche, che determinano a loro volta ulteriori problemi al settore del commercio al dettaglio». Se poi si considera anche l’e-commerce, quindi «la disponibilità online di un vastissimo ventaglio di prodotti a prezzi “interessanti” e facilmente fruibili, e una zona di confine dove i prezzi sono altrettanto interessanti, il contesto è piuttosto preoccupante. Negozi che chiudono, altri che aprono per brevissimi periodi, e l’offerta che cala, con risvolti negativi per l’occupazione e per la capacità di generare reddito. Ne sa qualcosa chiunque passeggi per il centro di Bellinzona: un po’ desolante». Per Greppi, quindi, «si può parlare di una fuga dei consumatori che si aggiunge a quella dei cervelli».