Pubblicato il decreto governativo che fissa le nuove soglie: 19,50/20 franchi. Il bilancio di padronato e sindacati. Tra chi frena e chi rilancia
Il decreto esecutivo del Consiglio di Stato era atteso. Ed è uscito. Datato 4 ottobre, è stato pubblicato sul ‘Bollettino ufficiale delle leggi’. È il decreto che stabilisce la nuova forchetta (importi minimo e massimo) del salario minimo, secondo la normativa cantonale entrata in vigore il 1° gennaio 2021. Stiamo per entrare dunque nella cosiddetta fase due. Oggi il salario minimo orario lordo è compreso tra 19 e 19,50 franchi. “Entro il 31 dicembre 2023” le soglie minima e massima andranno elevate rispettivamente a 19,50 e a 20 franchi. Il salario minimo orario lordo dovrà essere compreso in questo intervallo. La terza e ultima fase scatterà entro la fine del 2024, con la seguente forchetta: 19,75/20,25 franchi.
Ma qual è il bilancio che stilano, nell’imminenza della seconda tappa, sindacati e associazioni imprenditoriali?
Il discorso del segretario di Unia Giangiorgio Gargantini è chiaro: «Innanzitutto va notato che l’introduzione del salario minimo non ha posto alcun problema particolare all’economia ticinese, che invece prospettava disastri. A parte il triste episodio di TiSin, poi rientrato, come ampiamente previsto non c’è stato alcun impatto negativo». Il secondo aspetto che Gargantini annota è che «però, purtroppo, il salario minimo attuale è estremamente basso». Di conseguenza, «con le prossime soglie, e con l’adeguamento al rincaro che ci auguriamo venga finalmente deciso, speriamo di cominciare a vedere un leggero impatto positivo: perché ci sia, si deve arrivare a soglie che diano stipendi degni di questo nome».
«Come sindacato – afferma Lorenzo Jelmini, segretario regionale dell’Ocst e già deputato del Centro al Gran Consiglio – riteniamo che occorra sempre e comunque privilegiare la contrattazione. Lo ricordiamo sino alla noia: il senso di un contratto collettivo è duplice. Da un lato permette una relazione diretta dei rappresentanti dei dipendenti con il datore di lavoro, il che come sindacati ci rende i primi interlocutori anche in caso di difficoltà dell’azienda, e questo è un aspetto fondamentale. Ultimamente infatti siamo confrontati con imprese dove non essendoci un contratto collettivo i datori di lavoro fanno in pratica quello che vogliono. Dall’altro lato consente anche di migliorare tutta una serie di ulteriori condizioni – come ad esempio la tredicesima mensilità o la quinta settimana di ferie – a vantaggio del personale: parliamo di benefit che la legge sul salario minimo non prevede. Ciò premesso, in alcuni settori lavorativi, non coperti da contratti collettivi, la legge sul salario minimo – aggiunge Jelmini – ha rimosso situazioni salariali indecenti». Per il segretario regionale dell’Ocst, la normativa introdotta nel 2021 «ha però anche rischiato di compromettere in determinati casi il prosieguo della contrattazione, visto che il datore di lavoro, grazie alla presenza di un Ccl, versava un salario più alto rispetto a quello minimo legale».
Lo scorso anno il capogruppo socialista in Gran Consiglio Ivo Durisch aveva sollecitato, tramite mozione, l’adeguamento del salario minimo legale, incluse le soglie delle varie fasi, ma il Consiglio di Stato gli ha risposto picche. «Secondo me il governo ha interpretato la legge in maniera sbagliata, perché l’adeguamento è previsto – dice oggi Durisch –. Secondo il Consiglio di Stato, tuttavia, la normativa non si applica alle soglie: è però un’arrampicata sui vetri, considerato il capoverso tre dell’articolo 4 della Legge sul salario minimo». Secondo il quale “il Consiglio di Stato fissa all’inizio di ogni anno per decreto il salario minimo orario lordo di riferimento per settore economico secondo i parametri di cui al capoverso 2 in relazione all’evoluzione della mediana salariale nazionale e dell’indice nazionale dei prezzi al consumo”. Sta di fatto, riprende il capogruppo del Ps, «che negli ultimi due anni l’inflazione è cresciuta del cinque per cento circa. Cosa che corrisponderebbe a 170 franchi circa al mese in più. E come ha attestato anche ‘Comparis’, l’inflazione sta colpendo soprattutto le fasce della popolazione con i salari bassi, essendo aumentati soprattutto i prezzi dei beni di consumo primari. Con quei 170 franchi in più non sarebbe nemmeno coperto l’aumento del 20%, in due anni, dei premi di cassa malati! Il comportamento del Consiglio di Stato è semplicemente inaccettabile. La mozione è ancora pendente in commissione della Gestione, dove intendo risollevare il tema».
«La nostra opinione non è certamente cambiata…», commenta da noi interpellato il direttore dell’Associazione industrie ticinesi (Aiti) Stefano Modenini. In ogni caso, la sua premessa è netta: «Ricordiamoci che il salario minimo riguardava e riguarda una chiara minoranza dei lavoratori, attorno alle diecimila persone. Di queste, due terzi non risiedono in Svizzera». E questo dato «basterebbe a dire che l’impatto complessivo della misura è limitato». Si continuerà a monitorare il tutto, da parte imprenditoriale. Ma, continua Modenini, l’attesa è per lo studio che farà il Consiglio di Stato sugli effetti del salario minimo sul mercato del lavoro ticinese prima di arrivare alla terza e ultima soglia: «Probabilmente confermerà che è stato assorbito generalmente senza gravi problemi – predice Modenini –, ma quello che vedremo è che ci sono casi dove alcune aziende hanno fatto più fatica ad adeguarsi, e che si è verificato un livellamento verso il basso dei salari superiori». A ogni modo, insiste il direttore di Aiti, «il salario minimo non è la risposta per colmare un ritardo salariale che c’è in Ticino».
Modenini guarda anche all’iniziativa popolare ‘Per un salario minimo sociale’, con 12mila firme consegnate in cancelleria il 7 febbraio 2022 da Ps, Verdi, Pc, Pop, Giso, Vpod, Unia e Syndicom e che secondo i loro calcoli prevederebbe una paga minima di oltre 22 franchi orari: «Il fatto che il salario minimo riguardi poche persone non deve indurre a pensare che si possa andare tranquillamente ancora più in alto, questa iniziativa arriva ai limiti del consentito a livello cantonale, e sappiamo già che la competenza è grandemente federale e gli spazi di manovra non sono molti». Per l’Associazione industrie ticinesi «l’unica strada è lo sviluppo economico, in modo da avere attività che possano pagare stipendi più alti. Le imposizioni e i salari minimi hanno dei forti limiti».
Dall’osservatorio della Camera di commercio, dell’industria e dell’artigianato «le riserve sul salario minimo restano intatte, è uno strumento che per noi irrigidisce in maniera inutile e va a beneficio soprattutto dei frontalieri» sottolinea il direttore Luca Albertoni. In più, «esistendo i Contratti normali di lavoro anche a livello sistemico il salario minimo non ci sembra la misura idonea a correggere eventuali distorsioni». Ciò detto, «siccome non sono un politico e non ho bisogno di cercare consensi» Albertoni afferma che «è difficile oggi misurarne l’impatto, in un senso o nell’altro. È arrivato in un contesto abbastanza confuso, quindi le ricadute negative che temevamo e temiamo sono complicate da valutare oggi: non posso essere catastrofista o meno un tanto al chilo».
Ma c’è l’iniziativa popolare di sinistra e sindacati, dicevamo. E riprende Gargantini: «Siamo partiti dalle tre forchette del salario minimo, ma per tendere più in alto: questa iniziativa ci porta a livelli salariali veri, che si vedono in altri cantoni, e noi non chiediamo niente di più rispetto a quanto è applicato altrove: se per adesso non abbiamo visto i pericoli prospettati, vedremo in un futuro spero molto vicino anche aspetti positivi». Nel merito dell’iniziativa il Gran Consiglio deve ancora pronunciarsi. «Questa iniziativa introdurrebbe un salario minimo veramente dignitoso – rileva Durisch –. Che se pensiamo a una famiglia con figli non sarebbe ancora sufficiente. In ogni caso introdurrebbe un importo che è superiore a quello previsto da non pochi contratti collettivi».