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‘La struttura della Chiesa rende improbabile la denuncia’

Per Markus Krienke, professore alla facoltà di teologia di Lugano, ‘il sistema ecclesiastico ostacola l'affrontare il problema’

Fino a pochi anni fa era impensabile che un prete venisse consegnato alla giustizia civile
(Ti-Press)
13 settembre 2023
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Oltre mille casi di abusi sessuali compiuti negli ultimi 70 anni da membri del clero cattolico svizzero e ora documentati – per la prima volta – da un'indagine sistematica dell'Università di Zurigo. Lo studio rappresenta la prima fase di una ricerca commissionata da tre organismi cattolici, tra cui la Conferenza dei vescovi svizzeri ed è stato pubblicato a pochi giorni di distanza dalla notizia dell'indagine in corso all'interno della curia (nella quale viene tirato in ballo anche l'amministratore apostolico della Diocesi di Lugano mons. Alain De Raemy) per verificare la accuse di insabbiamento da parte di membri emeriti della curia nella gestione di casi di abusi sessuali. Di questo tema abbiamo parlato con Markus Krienke, professore di filosofia moderna ed etica sociale alla Facoltà di Teologia di Lugano.

Professor Krienke, in un suo recente scritto ha affermato che le condanne dei casi di abuso non bastano perché quello della Chiesa cattolica è un problema strutturale. Cosa intende?

La Chiesa fino a qualche tempo fa ha sempre affermato che quelli di abusi erano casi isolati che non riguardavano l’intera struttura ecclesiastica. C’era quindi anche l’idea che un prete autore di abusi, dopo un breve periodo di terapia, potesse essere spostato in un’altra parrocchia e ritornare alle sue attività. Non si era insomma considerata la stessa struttura della Chiesa: ovvero il potere ma anche la morale e la disciplina, incluso il celibato. Questo ha prodotto una situazione che ha favorito atti pedofili, perché il prete aveva la quasi totale sicurezza di non dover rispondere di quello che faceva.

Un modo di agire che allontana gli abusatori dalle proprie responsabilità e nega alle vittime la possibilità di avere giustizia…

Esatto. Questa procedura porta a disconoscere la stessa vittima e la sua sofferenza. Non si va alla radice del problema. Va poi detta un’altra cosa: solo una minima parte dei preti che hanno commesso abusi su minori soffre di pedofilia in senso patologico. Per la maggior parte si tratta di persone che vivono la propria sessualità come un tabù, e quindi non sviluppano un rapporto maturo con essa. È quindi più facile che accadano casi di abusi.

Qual è il meccanismo che ha impedito di venire a conoscenza all’esterno dei casi di abusi?

La struttura della Chiesa rende improbabile la denuncia. Fino a pochi anni fa era impensabile che un prete venisse consegnato alla giustizia civile. Una serie di riforme è però stata introdotta negli ultimi anni, prima da Papa Benedetto XVI con la tolleranza zero e ora da Papa Francesco. Prima, con Giovanni Paolo II, c’era ancora la volontà di coprire molti casi. Il problema è che si tratta sempre di nuove regole all’interno di un sistema che in quanto tale va avanti. All’interno della Chiesa non esiste un’istanza autonoma di giustizia. Tutto si svolge in un apparato di potere dove tutto è interconnesso. È quindi improbabile che qualcuno avanzi delle indagini indipendenti.

Negli ultimi anni molti casi, anche se risalenti a diversi anni fa, sono venuti a galla. Quanto fatto dalla Chiesa negli ultimi anni è sufficiente?

Probabilmente è ancora troppo poco. Queste novità non hanno ancora cambiato la mentalità di molti all’interno del clero, che mette al primo posto la protezione del sistema. Un elemento sottolineato oggi anche da Bonnemain, vescovo di Coira incaricato di indagare sulle accuse di insabbiamento dei casi di abuso da parte di alti prelati svizzeri. Una dichiarazione che mi ha stupito molto. In ogni caso queste nuove regole sono però dei primi passi. Senza di esse oggi non se ne parlerebbe.

Casi sistematici di abusi sono emersi negli scorsi anni in Francia e Germania. In Svizzera se ne parla solo ora. Perché siamo arrivati in ritardo?

Qui si vede il problema strutturale della Chiesa nell’affrontare il problema. Non lo fa finché non è obbligata da pressioni esterne. Ad esempio l’opinione pubblica o l’emergere di casi molto rilevanti. In Germania questo è successo già nel 2010 con un caso clamoroso di gesuiti a Berlino, che ha fatto da scintilla. In Italia invece sono ancora più indietro che in Svizzera. Siamo in un momento di speranza e scetticismo allo stesso momento.

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