laR+ Ticino

Elsa, Emma, la Lega e il fantasma del ‘gender’

Un esercizio di tedesco alle Medie presenta un bimbo con due mamme. Mattino e Robbiani s’indignano. Note a margine d’un tema complesso e strumentalizzato

(Mattino)
20 febbraio 2023
|

"Wie heissen deine Eltern? Sie heissen Elsa und Emma". (Come si chiamano i tuoi genitori? Si chiamano Elsa ed Emma). È bastata una frasetta in un esercizio di tedesco di seconda media per mandare la Lega dei Ticinesi su tutte le furie. Il Mattino ha parlato di "ideologia gender alle scuole medie", mentre il granconsigliere Massimiliano Robbiani – già vicepresidente della Commissione scolastica e membro della Commissione speciale formazione e cultura – ne ha raccolto con solerzia l’invito a interpellare il Consiglio di Stato, presentando un’interrogazione.

Il documento picchia duro: definisce "inaccettabile che si sfrutti una lezione di tedesco per inculcare agli allievi l’ideologia ‘gender’ che un figlio può avere due madri, o due padri" (possibilità invero già contemplata e protetta dalla legge svizzera, dopo l’approvazione dell’iniziativa ‘Matrimonio per tutti’). Robbiani giudica "a dir poco vomitevole" il tentativo di "inculcare a dei ragazzini, che nemmeno sono entrati nell’adolescenza, fandonie antiscientifiche su coppie omosessuali che possono generare figli" (a onor del vero l’esercizio non allude affatto alla procreazione). "E che il tutto avviene addirittura abusando delle lezioni di tedesco, è tutto dire". Insomma: "Se questa è la scuola per i nostri figli, andiamo decisamente molto male".

In attesa delle risposte ufficiali a domande quali "il Decs è al corrente dell’accaduto?" e "il Decs approva?", è il caso di fare il punto su alcuni concetti piuttosto complessi, ma soprattutto carichi di sottintesi politici, al punto d’essere facilmente travisati perfino da chi li utilizza attivamente. Ne parliamo con Jolanta Drzewiecka, professoressa di Comunicazione interculturale all’Università della Svizzera italiana.

Cominciamo dalle basi: esiste davvero un’"ideologia gender"?

Dal mio punto di vista, l’ideologia gender esiste solo in quanto invenzione di chi si oppone all’uguaglianza sessuale e di genere. Ciò naturalmente non succede solo in Ticino: sono originaria della Polonia, dove questo tipo di argomentazioni è molto presente, e ho vissuto a lungo negli Usa, dove ho assistito a dinamiche simili, a una reazione contro l’avanzare dell’uguaglianza. Mi pare che quell’etichetta venga poi utilizzata in svariati modi: come arma contro chi si ritiene un avversario politico e culturale; come bandiera per mobilitare i propri potenziali sostenitori; come strumento per destare paura nel cambiamento, in questo caso attraverso il potente spauracchio circa il destino dei propri figli. Si tratta di funzioni che si intrecciano e contribuiscono a creare e diffondere una sorta di ‘idea fantasma’, approfittando del pur comprensibile smarrimento e della scarsa conoscenza di certi temi da parte di alcuni. ‘Ideologia gender’ è insomma una sorta di etichetta strategica, utilizzata per insinuare che l’uguaglianza sessuale e di genere costituirebbe un’invenzione artificiale, contraria ai presunti ‘fatti’ dettati dalla natura.

L’impressione è che ciò scaturisca da una certa confusione tra sesso biologico alla nascita e genere, accettando solo il primo come calibro della "realtà scientifica" ma anche, implicitamente, dell’accettabilità sociale: maschietti e femminucce, punto. D’altronde, qualcuno potrebbe ribattere che è proprio chi invece distingue sesso e genere, aprendo a un enorme ventaglio di "combinazioni", a generare confusione. Di cosa stiamo davvero parlando?

In un certo senso, sono vere entrambe le cose. Da una parte si pretende di ridurre a un dato biologico l’intera identità sessuale e di genere. Dall’altra, sesso e genere sono effettivamente ‘confusi’, o quantomeno si tratta di dimensioni permeabili: al di là della differenza tra il genere – la propria identità per come riconosciuta ed espressa a livello socioculturale – e il sesso come realtà biologica, sappiamo che anche questa realtà biologica è a sua volta mutevole e piena di ‘zone grigie’, e che in generale la realtà, nel suo intreccio di elementi biologici e culturali, è molto più complessa della semplice binarietà uomo/donna.

Ma allora ha senso sostenere che la sensibilizzazione scolastica sull’omogenitorialità, come leggiamo nell’interrogazione, corrisponde al propalare "nozioni ideologiche contrarie ai dati biologici"?

Tutto dipende dalla nostra volontà o meno di riconoscere alle persone omosessuali gli stessi diritti riconosciuti agli eterosessuali, e con essi l’accesso alla genitorialità. Se si accetta questo, allora ritengo che abbia senso farlo non solo sul piano legale, ma anche su quello culturale e sociale: a quel punto presentare una famiglia omosessuale in un testo scolastico non è un indottrinamento: non fa che riflettere quell’accettazione. Accettazione che d’altronde è una presa d’atto della realtà in cui viviamo: da tempo esistono famiglie omogenitoriali, molti bambini a scuola hanno già amici con genitori dello stesso sesso. Se dunque vedono lo stesso replicato in un esempio didattico, questo potrà aiutarli a comprendere meglio una realtà che in ogni caso non è ‘creata’ dall’esercizio, ma già presente nella società.

Non c’è però il rischio di innescare quelle che alcuni allievi e genitori potrebbero ritenere sterili provocazioni? Dopotutto, se la copia dell’esercizio è arrivata a una redazione, evidentemente qualche genitore non accetta questo modo di procedere. Come dialogarvi per evitare puerili antagonismi?

È una sfida per la quale non c’è una soluzione unica e universale, soprattutto in un’epoca polarizzata in svariate ‘guerre culturali’, da quelle sulla razza a quelle sulle pari opportunità. Penso che la cosa più importante sia non battere in ritirata di fronte a certi attacchi e puntare sull’istruzione e la sensibilizzazione: è importante che gli educatori – e non solo loro – non rinuncino a difendere istanze di uguaglianza sociale. Allo stesso tempo, è pure importante tenere aperti canali di dialogo con chi la pensa diversamente, costruire ponti. Ponti che però presuppongono un’apertura anche all’altro capo della comunicazione.


(Mattino)

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE