laR+ Ticino

‘Ora ci concentreremo sulla risocializzazione dei detenuti’

Il direttore delle carceri: in questi anni si è lavorato su organizzazione e sicurezza interne, la premessa per un efficace percorso di reinserimento

Stefano Laffranchini, dal 2014 alla guida delle strutture detentive cantonali
(Ti-Press)
12 luglio 2022
|

«Negli ultimi sette anni abbiamo rivisto, migliorandole, le condizioni organizzative del carcere e rafforzato la sicurezza interna, ora potremo concentrarci sull’aspetto, fondamentale, della risocializzazione dei detenuti. Cosa che faremo con Roberto Simona, il cui arrivo è imminente», spiega il direttore delle Strutture carcerarie cantonali Stefano Laffranchini. Simona, classe 1967, dottorato in sociologia e scienze politiche, è stato nominato in maggio dal Consiglio di Stato aggiunto e sostituto direttore. Entrerà in carica agli inizi di agosto, subentrando a Vanino Da Dalt, andato in pensione. «Simona ha maturato conoscenze ed esperienze in ambito socio-educativo anche all’estero, occupandosi fra l’altro di temi riguardanti la libertà e le sue privazioni – rileva Laffranchini, alla guida delle strutture detentive ticinesi dal 2014 –. Dunque il profilo giusto per approfondire, qui al Penitenziario della Stampa, il concetto della risocializzazione, cioè il reinserimento nel tessuto sociale di chi è stato condannato e ha terminato di scontare la pena».

Direttore Laffranchini, pare di capire che in passato si sia dato poco peso alla risocializzazione...

Assolutamente no! Anche perché è uno dei principi ancorati al Codice penale svizzero, per la precisione al suo articolo 75, quello sull’esecuzione delle pene detentive. Articolo al quale non si può certo derogare. Abbiamo però creato il contesto per potenziare la risocializzazione.

Si spieghi meglio.

Per quanto riguarda l’esecuzione della pena, sono tre i pilastri su cui poggia un’istituzione carceraria in cui sono recluse persone condannate a una sanzione privativa della libertà. Sono la risocializzazione, la sicurezza e le condizioni generali per una gestione efficace della struttura detentiva. Questo significa che un carcere deve organizzarsi in modo tale da creare un contesto sicuro all’interno del quale le persone detenute possano seguire un percorso di risocializzazione. Che è la cosa più importante. La risocializzazione è paragonabile al tetto di una casa, ma per realizzarlo bisogna prima costruire i muri. Sicurezza e condizioni organizzative di un carcere costituiscono la premessa, imprescindibile, della risocializzazione. Come ho già indicato, in questi sette anni le strutture carcerarie cantonali hanno lavorato, investendo parecchio, per individuare e implementare valide condizioni organizzative. E crediamo di esserci riusciti, tant’è che abbiamo ottenuto in tempi recenti la certificazione Iso 9001-2015. Aggiungo che se paragonato a strutture analoghe del resto della Svizzera, con riferimento a fatti interni quali aggressioni, consumo e vendita di stupefacenti, ma anche ‘commercio’ di telefonini cellulari, quello della Stampa è un carcere penale molto sicuro. Ebbene, adesso è giunto il momento di concentrarsi sulla risocializzazione.

Concretamente?

Si tratterà di sviluppare e ottimizzare il contributo del personale penitenziario per realizzare il piano di esecuzione della pena, sostenendo a trecentosessanta gradi l’Ufficio dell’assistenza riabilitativa, che allestisce e discute il piano in questione con la persona detenuta, tenendo conto anche dei reati e dei fatti per i quali è stata condannata. Tra i compiti del nuovo vicedirettore Simona figura quello, importante, di coordinare i diversi enti che ruotano intorno alla risocializzazione dei detenuti. Segnatamente, il citato Ufficio dell’assistenza riabilitativa, il servizio medico, i laboratori, la scuola interna al carcere, gli agenti di custodia. E questo affinché il reinserimento sociale abbia successo.

A proposito dei laboratori, e quindi del lavoro per i detenuti, com’è oggi la situazione?

I due anni pandemici sono stati complicati per le attività produttive in generale. Una situazione che ovviamente non ha risparmiato i laboratori interni al carcere. Il lavoro però sta riprendendo. Abbiamo nuovi laboratori, per esempio per la stampa di serigrafie. Stiamo inoltre per riattivare la zona agricola sovrastante la Stampa. Vi è poi la possibilità di fare apprendistati in cucina, in falegnameria, in stamperia o in legatoria. Non si tratta semplicemente di occupare i detenuti, si tratta di occuparli in attività lavorative funzionali al loro reinserimento nella società. Necessitiamo quindi di una varietà di laboratori.

Risocializzazione e recidiva: avete dati?

Il tasso di recidiva ci dice effettivamente se il percorso di reinserimento ha avuto successo o meno, se gli obiettivi sono stati raggiunti o no. Il problema, se di problema si può parlare, è che in Ticino la popolazione carceraria è composta per il settanta per cento da detenuti di origine straniera. I quali una volta scontata la condanna vengono espulsi dalla Svizzera. Per cui non sappiamo se siano tornati a delinquere, nel loro o in un altro paese.

E per quel che concerne i detenuti di nazionalità svizzera?

Ho visto poche persone rientrare in carcere. Quelle poche sono però sempre le stesse. E in genere sono persone tossicodipendenti. La risocializzazione è infatti particolarmente difficile laddove vi è una dipendenza criminogena, che porta cioè alla commissione di reati. È particolarmente difficile, ma non impossibile. Studi anche internazionali confermano la riduzione della recidiva grazie alla risocializzazione avviata in carcere. Come istituzione carceraria dobbiamo pertanto mettere in campo ogni sforzo e ogni mezzo per far sì che chi ha pagato il proprio debito con la giustizia possa reinserirsi nella società e nel mondo lavorativo: questo dopo aver seguito un percorso che passa anche dalla presa di coscienza dell’illecito commesso e delle conseguenze che quell’illecito ha avuto, sulla famiglia, sulla collettività. Molti detenuti provengono da un ambiente dove vige la legge del più forte. Devono quindi tornare a rispettare lo stato di diritto. Che in carcere è il regolamento interno. Il rispetto di quel regolamento è il primo passo verso la risocializzazione.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔