Ticino

‘Magistratura, l’appartenenza politica criterio non rilevante’

Il presidente uscente del Tribunale d’appello Pedroli, all’inaugurazione dell’anno giudiziario, commenta il rapporto tra nomine e casacche partitiche

E un Piero Calamandrei sempre attuale
(Ti-Press)
3 giugno 2022
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«Non credo che quello dell’appartenenza a un partito o un’area di pensiero sia un criterio rilevante per la selezione dei candidati alle cariche in Magistratura, e leggere sui quotidiani le cronache che si riferiscono allo svolgimento delle procedure di selezione, con la solita menzione del ‘Manuale Cencelli’, non credo giovi all’immagine della giustizia ticinese». E ancora: «La considerazione nella scelta dei magistrati della pluralità delle sensibilità politiche non ci farà fare alcun progresso nell’affrontare l’unico aspetto veramente determinante, che consiste nell’individuare i requisiti che devono presentare i candidati alle funzioni giudiziarie in un ordinamento caratterizzato da una sempre crescente specializzazione e complessità. Vale ancora per tutti il monito di Piero Calamandrei: "Quando per la porta della Magistratura entra la politica, la giustizia esce dalla finestra"».

Sono parole pesanti come pietre quelle con cui il giudice Andrea Pedroli ha preso congedo dalla presidenza del Tribunale d’appello in occasione dell’inaugurazione del nuovo anno giudiziario 2022/2023 al Palazzo dei congressi di Lugano, in un intervento che non poteva non prendere in considerazione un tema di fortissima attualità: una commissione parlamentare ‘Giustizia e diritti’ ormai caratterizzata da veti incrociati e discussioni vicine al livello di guardia quando si tratta di nuove nomine in Magistratura. Veti incrociati e discussioni, va da sé, che dipendono dalle casacche partitiche che indossano sia gli uscenti, sia i candidati.

‘Indipendenza della giustizia, la Svizzera ha perso posti in classifica’

Pedroli parte da un fatto: «Nel rapporto ‘Human rights outlook 2021’ curato da Verisk Maplecroft, nella classifica sull’indipendenza della giustizia la Svizzera è scesa di 32 posizioni. La ragione addotta è che la separazione dei poteri è fragile, poiché i giudici della massima Corte sono eletti dal loro partito politico». Il rapporto, ricorda, «si riferisce alla rielezione dei giudici federali del 2020, quando l’Udc aveva minacciato di non rieleggere Yves Donzallaz perché ha votato contro la linea del partito nell’ambito di un procedimento giudiziario». Donzallaz poi è stato rieletto, ma il tema si pone. A livello cantonale, rimarca il presidente uscente del Tribunale d’appello, «nel 2017 è stato sottolineato a livello di rapporto commissionale che ‘non è sorprendente che un magistrato si riconosca in un’area di pensiero o in un partito. La Magistratura al pari di governo e parlamento costituisce uno dei tre poteri ed è auspicabile che l’esercizio pratico avvenga tenendo conto della pluralità di sensibilità nella società. Nel singolo concorso deve essere eletto il miglior candidato, ma la maggioranza della commissione auspica comunque che nell’esercizio delle proprie competenze il Gran Consiglio tenga conto dell’esigenza di accordare alle sensibilità presenti nella società adeguata rappresentanza’».

‘Essere di un partito deve diventare criterio di selezione?’

Fine della lunga citazione, ma doverosa. Perché per Pedroli «è ineccepibile che un magistrato abbia le sue idee politiche», ma «ci si può tuttavia chiedere se questa incontestabile premessa imponga poi al Gran Consiglio di tenere conto dell’esigenza, come scritto in quel rapporto, di accordare alle diverse sensibilità l’adeguata rappresentanza». E meglio: «Il fatto che un candidato appartenga a un partito deve diventare un criterio di selezione nell’ambito della procedura di elezione?». Un argomento spesso usato è che «ci si riferisce ai casi in cui un giudice dispone di un margine di apprezzamento: a dipendenza delle sue sensibilità sarà più sensibile a una parte rispetto all’altra». Ma è così? «In quasi trent’anni nell’apparato giudiziario mi sono più volte sorpreso di constatare quanto poco l’influenza di un partiti influisca sulle decisioni che vengono adottate: lo stesso caso di Donzallaz lo dimostra».

In più c’è un altro problema, e non da poco: «Se un candidato non si riconosce in un partito, come si fa a sapere a qual area di pensiero appartiene e quali sensibilità gli siano proprie? Come farà la commissione ‘Giustizia’ a svolgere il compito di tenere conto delle diverse sensibilità presenti? Tenderei a escludere che lo voglia sottoporre a un esame di coscienza». Dal momento che «ad esempio il Codice delle obbligazioni vieta di fare domande che non si riferiscono all’idoneità lavorativa o che non concernono l’esecuzione del contratto». Insomma, insiste Pedroli, «ci si domanda dunque come la commissione attribuisca a un’area di pensiero un candidato che non appartiene ad alcun partito».

Il nuovo presidente Bozzini: ‘La criminalità organizzata una minaccia anche per il potere giudiziario’

Il presidente entrante del Tribunale d’appello, il giudice Damiano Bozzini, ricorda invece l’importanza «di mettere l’accento sull’attuale minaccia, alla collettività e all’intero sistema istituzionale democratico, costituita dalla criminalità organizzata». Ricordando l’impegno e il sacrificio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Bozzini avverte: «Le organizzazioni mafiose hanno una chiara e consolidata strategia di infiltrazione della società in tutte le sue componenti, con particolare attenzione ai centri di potere, privilegiando quello economico e politico, ma senza purtroppo trascurare il potere giudiziario». La magistratura, quindi, affronta «una doppia sfida». Nel senso che «da un lato continuerà a perseguire i reati, a tutelare le vittime, a punire i colpevoli e contrastare attivamente il fenomeno mafioso. Ma d’altro canto dovrà essere vigile e tutelare se stessa, per difendere il suo funzionamento e le persone che vi operano dal rischio di soccombere di fronte agli inevitabili tentativi di infiltrazione e condizionamento».

Gobbi: ‘Importanti i passi avanti verso la riforma delle Arp’

Il direttore del Dipartimento istituzioni Norman Gobbi sottolinea che nonostante la pandemia «la continuità del servizio reso da tutte le Autorità giudiziarie cantonali è sempre stata garantita» e saluta l’approdo in Gran Consiglio, se ne parlerà nella seduta del 20 giugno, della riforma delle Autorità regionali di protezione: «Una riforma tanto complessa quanto articolata, che tocca l’autorità più incisiva del nostro ordinamento. Come noto, la riforma prevede l’istituzione di una nuova Autorità giudiziaria, le Preture di protezione, indipendente e autonoma. La votazione popolare che seguirà la decisione del parlamento della modifica della Costituzione per istituire queste Preture, sarà un esercizio democratico positivo e salutare per la società. Metterà in primo piano la giustizia e la avvicinerà alla popolazione».

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