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Dibattito sulle Medie, l’orologio politico torna su se stesso

Dai verbali del Gran Consiglio del 1986 emergono argomenti e stilemi simili a quelli attuali. Allora si discuteva dell’introduzione dei livelli

Palazzo delle Orsoline
(Ti-Press)
5 febbraio 2022
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Sembrano essere tornate indietro di 36 anni le lancette che scandiscono il dibattito politico sulla riforma della scuola media ticinese, e l’orologio è lo stesso. Confrontando i verbali di Gran Consiglio della sessione dello scorso gennaio (quando è stata affossata la proposta del Decs) e quelli del marzo 1986 si rileva come l’attuale discussione in merito al superamento dei livelli condivida non pochi argomenti e stilemi con quella sulla loro introduzione. Allora si trattava di passare dal sistema a sezioni A e B che nel secondo biennio divideva gli allievi in due indirizzi separati, a quello definito “integrato” con un tronco di materie in comune e appunto una differenziazione in livelli per matematica, tedesco e francese. Un dibattito serrato, quello che andò in scena. Un dibattito che ‘rinfrescò’ la Legge sulla scuola media datata 1974, anno in cui è stata istituita la scuola media unica al posto della separazione tra Scuola maggiore e Ginnasio.

Von Wyttenbach: togliere la selezione è demotivante

“Per gli uni la scuola media dovrebbe essere il luogo della selezione, per gli altri il luogo della specializzazione, per altri ancora la scuola media è il luogo della formazione della forza lavorativa, esecutiva e dirigente, oppure il luogo in cui educare ai fini di una società migliore”. Sono le parole con cui Carlo Speziali (Plr), direttore del Dipartimento della pubblica istruzione, delinea i contorni del dibattito, dopo aver considerato come “le riforme strutturali della seconda parte della scuola dell’obbligo fanno inevitabilmente da cartina di tornasole alle diverse immagini ideali che ognuno, in base alla propria ideologia, si fa dell’uomo e della scuola che vorrebbe”. Passando in rassegna le dichiarazioni dei vari intervenuti, a mettere tutti d’accordo, almeno nelle premesse, è la valutazione positiva del passaggio alla scuola media unica. “La sua istituzione è stata accompagnata da un indubbio progresso che nessuno, in buona fede, può negare – sostiene il liberale (in seguito passato all’Udc) Alessandro Von Wyttenbach, che mette però subito le mani avanti –: per questo motivo è fuori luogo considerare quanto dirò un attacco al principio stesso della scuola media o, peggio, una critica demolitrice. La Legge sulla scuola media presenta però delle manchevolezze che vanno esaminate a fondo e corrette”. In particolare – afferma – vi sono tutti gli ingredienti sufficienti per mantenere basso il livello dell’insegnamento e per trascurare gli allievi più dotati”. Secondo il deputato “qui sta il nocciolo ideologico della scuola media. Esso è un riflesso evidente post-sessantottesco: tutti gli allievi devono raggiungere la stessa meta, indipendentemente da attitudini e impegno”, deplora. “Pur evitando una esasperata precoce specializzazione”, per Von Wyttenbach bisogna indirizzare gli allievi “verso l’apprendimento di quelle materie che sono adatte alle loro attitudini; una scuola media non selettiva non è solo demotivante, ma altamente ingiusta per gli allievi interessati allo studio”. Il deputato lancia poi una stoccata: “Le difficoltà delle soluzioni risiedono nella necessità di un mutamento di mentalità, processo difficile per chi, come i dipendenti-funzionari, non si vede confrontato con le necessità esistenziali dell’impresa privata ed è per natura conservatore. Vi è francamente da chiedersi da quali cervelli obnubilati dall’ideologia sia nata una simile mostruosità priva del minimo buonsenso”.

Mario Ferrari: rischio di scompensi sociali

Dal fronte opposto Anna Maria Nava del Partito del lavoro sostiene che il suo schieramento non è contrario di principio all’introduzione dei livelli, “ma crediamo che esistano condizioni prioritarie per migliorare lo stato attuale della scuola media e far sì che la riforma cambi realmente qualche cosa in direzione formativa e non selettiva”. Anche lei tocca il punto dell’uguaglianza, con fini però diversi: “Crediamo sia realmente democratico fare in modo che tutti abbiano il diritto, in una scuola obbligatoria, di raggiungere obiettivi minimi di conoscenza; per contro reputiamo antidemocratico pretendere che tutti lo facciano allo stesso modo, secondo itinerari obbligati e prefissati: l’ugualitarismo assoluto di obiettivi e di percorsi è un’utopia che può diventare una mistificazione, le differenze esistono, si deve però fare in modo di leggerle in modo positivo”. Nel merito specifico del sistema a livelli, secondo la deputata della sinistra radicale la sua introduzione “non sarà sufficiente a superare il disagio esistente oggi nel settore e altre misure sono necessarie per evitare che la nuova struttura si trasformi in uno strumento più raffinato per selezionare gli allievi”. Dai vicini banchi del Psa per Mario Ferrari “si tratta di sapere se la scuola dell’obbligo sceglierà il declivio peggiore: quello d’un adattamento supino alle esigenze produttive che non sarà il trionfo delle diversità e delle soggettività ma la realizzazione delle ineguaglianze e della marginalizzazione obbligatoria”. Sottolineando la soddisfazione per il fatto di affrontare una riforma “che finalmente supera la grave spaccatura in sezioni A e B combattuta fin dal 1974 dal Psa”, Ferrari invita pure lui alla massima attenzione “affinché non si riformino pericolose divaricazioni. La scuola non deve desistere dallo studio e dalla sperimentazione di modelli strutturali maggiormente unificati”. Troppi interrogativi rimangono invece aperti per un sostegno senza riserve secondo Luigi Pedrazzini (Ppd): dalla formazione del corpo insegnante, alla funzione del docente di classe, dalla ripartizione degli allievi, al sistema di valutazioni. Per il popolare democratico “è probabile che il passaggio al sistema integrato possa comportare un miglioramento in questa situazione. Il Ppd si chiede però fino a che punto occorrano altre scelte per creare dei livelli effettivamente equilibrati dove l’insegnamento impartito a coloro che appaiono meno dotati non sia pregiudicato da allievi con tutta un’altra sorta di problematiche. Nessuno preconizza un ritorno al sistema del Ginnasio e delle scuole maggiori – sottolinea Pedrazzini –, tuttavia ci si deve rendere conto che quando i dissensi non vengono negati in modo convincente, danneggiano la scuola e in particolare la scuola media”.

Carlo Speziali: l’italiano sia per tutti

A scaldare particolarmente gli animi di alcuni deputati è la decisione del governo di inserire l’italiano nel tronco di materie in comune e non sotto i livelli. Von Wyttenbach, adducendo la motivazione che la lingua “non è solo un mezzo per intendersi fra uomini come vuole semplicisticamente il documento citato, ma assai di più, ovvero la chiave per comprendere tutto il vasto universo culturale, intellettuale, spirituale e artistico che ogni cultura rappresenta”, sostiene che tale scelta “non può raggiungere lo scopo per quegli allievi che sono portati allo studio”. A difesa del progetto interviene direttamente Speziali: “È stata questa una decisione fondamentale, presa personalmente andando anche contro alle obiezioni di chi ne sa più di me in materia pedagogica: l’italiano deve essere insegnato con ugual misura e intensità a tutti. Sarebbe stata una vergogna se si fosse divisa questa materia come si è fatto con il francese e il tedesco”. Su questo aspetto le opinioni in casa liberale radicale sembrano ora differire dalla visione dell’allora consigliere di Stato: stando al progetto di riforma della scuola avanzato giovedì, il partito chiede infatti di ripensare l’insegnamento differenziato in più materie oltre al tedesco e alla matematica, citando espressamente l’italiano. Con attori diversi e qualche ruolo redistribuito tra i partiti, il dibattito attuale pare insomma la replica di uno spettacolo già messo in scena. “Il tempo è rotondo, torna su se stesso – diceva Umberto Saba –. E gli orologi, che servono a indicarlo, dovrebbero pure essere rotondi”. Quelli a Palazzo delle Orsoline lo sono.

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