Ticino

Chiesta una ricerca nazionale per rilevare i pregiudizi

Lo reclama la rete ‘nateil14giugno’ per un'osservazione negli ambiti giudiziari e dei media

(Depositphotos)
28 maggio 2021
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Una ricerca nazionale per rilevare i pregiudizi presenti negli ambiti giudiziari e dei media. È quello che chiede la rete ‘nateil14giugno’ al Consiglio di Stato, proponendo che siano due organi dell'Università della Svizzera italiana a portare avanti la ricerca: l'Istituto di diritto e l'Osservatorio europeo di giornalismo. Questo in collaborazione con altri atenei specializzati in Svizzera. Il fine è quello di “raccogliere elementi conoscitivi affinché si possano attivare misure specifiche da integrare al Piano d'azione cantonale contro la violenza domestica e di genere”.

“Proprio la Convenzione di Istanbul contro la violenza contro donne e ragazze e violenza domestica, investe i media di un compito importante nel combattere la violenza sulle donne, ruolo che non possono però svolgere se distorcono la realtà dei fatti veicolando una informazione stereotipata. Pregiudizi che talvolta producono anche i processi e le sentenze che rischiano di vittimizzare nuovamente le donne e le ragazze vittime di violenza, generando una generale sfiducia nelle procedure giudiziarie”, si legge nel comunicato.

La rete porta l'esempio italiano del progetto ‘Step’, che si propone d'indagare gli stereotipi e i pregiudizi che colpiscono la donna vittima di violenza in ambito giudiziario, nelle forze dell'ordine e nella stampa. Con l'obiettivo, inoltre, di attivare campagne di educazione e comunicazione per portare de cambiamenti nei comportamenti socio–culturali al fine di eliminare tutte le pratiche basate su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini. 

“Siamo convinte che conoscere quali siano le principali rappresentazioni da parte dei media e degli ambiti giudiziari, può permettere d'intervenire con più chiarezza ed efficacia nel rimuovere quei pregiudizi che ancora troppo spesso impediscono alle vittime, donne, ma anche uomini, di prendere la parola per timore di non essere credute e subite un'ulteriore condanna ‘sociale’ o, come viene tecnicamente indicata, essere vittime di una vittimizzazione secondaria (tramite i media) e terziaria (nelle procedure giudiziarie)”, spiega ‘nateil14giugno’.

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