Ticino

Citare o no i nomi in cronaca, tra informazione e codice

Il tema è sollevato da uno studio realizzato dall’Istituto di media e giornalismo dell’Usi per conto dell’Associazione ticinese dei giornalisti

In primo piano Roberto Porta, presidente dell’Atg
(Ti-Press)

Da dieci anni esatti, da quando in Svizzera è entrato in vigore il Codice di diritto processuale penale unificato, meglio noto come Codice di procedura penale (Cpp), il lavoro del cronista giudiziario o di nera è diventato molto più difficile se non impossibile. Il rischio d’incorrere nei rigori della legge è altissimo. L’articolo 74 di questo codice disciplina l’informazione al pubblico e quindi il diritto di cronaca. In particolare, al cpv 4 della stessa norma, si precisa che “qualora sia coinvolta una vittima, le autorità e i privati possono, al di fuori di una procedura giudiziaria pubblica, divulgarne l’identità o informazioni che ne consentono l’identificazione soltanto se la collaborazione della popolazione è necessaria per far luce sui crimini o per la ricerca di indiziati, oppure la vittima o, se deceduta, i suoi congiunti vi acconsentano”. Una declinazione troppo restrittiva che di fatto rende anonimi quasi tutti i resoconti di episodi di cronaca nera o giudiziaria avvenuti negli ultimi anni in Ticino, si tratti di vittima o autore di reato. Cosa che con il codice di procedure cantonale precedente non avveniva e che invece con il nuovo ha fatto emergere delle contraddizioni palesi, soprattutto nei confronti del pubblico che si trova spesso disorientato di fronte a scelte di fare il nome o no di una vittima o di un autore di reato. Pensiamo a casi clamorosi avvenuti a cavallo della frontiera italo-svizzera. Da una parte si potevano facilmente trovare nei resoconti dei portali internet e dei giornali, tutti i dettagli del fatto di cronaca. Da questa parte del confine poco o nulla. 

Un dettagliato studio sulla situazione vissuta in Ticino solleva per la prima volta la questione pubblicamente con l’intenzione di sensibilizzare il pubblico e la politica a tutti i livelli istituzionali. Il rapporto ‘Citazione dei nomi in cronaca - Libertà di stampa e doveri dei giornalisti’, promosso dall’Associazione ticinese dei giornalisti (Atg) e curato dall’Istituto di media e giornalismo (Imeg) e dell’Osservatorio europeo di giornalismo (Ejo) dell’Università della Svizzera italiana, è stato presentato ieri alla stampa. Tra i relatori, oltre a due degli autori - Philip Di Salvo dell’Imeg ed Enrico Morresi, già presidente della Fondazione del Consiglio svizzero della stampa – anche due giornalisti che si occupano quotidianamente di cronaca giudiziaria: Andrea Manna, vicedirettore del quotidiano ‘laRegione’ e John Robbiani, responsabile della giudiziaria del ‘Corriere del Ticino’. Entrambi sulle medesime posizioni critiche nei confronti della prassi attuale.

Manna ha parlato di «camicia di forza» riferendosi soprattutto all’articolo 74 del Cpp. «È assolutamente indispensabile aprire un dibattito pubblico e cercare di cambiare questo stato di cose in un’epoca in cui i social network hanno in pratica campo libero in questo ambito». In pratica quello che non si può scrivere sui giornali e media elettronici tradizionali (radio e tv), lo si ritrova sui social. «Come redazioni siamo sollecitati da lettori che ci chiedono come mai scriviamo di ex funzionario del Dss accusato di reati sessuali oppure di un ‘celebre commerciante luganese’ accusato di incendio intenzionale senza fare nomi. Nomi del resto noti a molti». Colpa di norme nate per tutelare le vittime di reato, ma che diventano di fatto censorie quando si tratta di casi di rilevanza pubblica. «Almeno prima – ha proseguito Andrea Manna – c’era questa regola aurea per cui il nome dell’accusato che finiva davanti alle Corte delle assise criminali si faceva e basta. Si sottaceva il nome di chi finiva davanti alla Corte delle assise correzionali perché la prospettiva di pena era più lieve. Se quest’ultimo però era un personaggio minimamente noto al pubblico, anche in questo caso il nome lo si faceva».

Dell’esigenza di regole chiare per chi si occupa di cronaca ha parlato anche John Robbiani. «I giornalisti non sono giuristi e le testate locali non possono fare capo ad avvocati seduta stante per sciogliere i dubbi. Anzi, spesso, se si chiede un parere a due legali per la medesima questione si ottengono risposte diverse e contraddittorie», ha affermato Robbiani che ha fatto riferimento a casi che riguardano per esempio la piazza finanziaria e che hanno addentellati anche oltre confine. «I colleghi italiani hanno accesso per esempio alle ordinanze giudiziarie con molti dettagli e si muovono su un terreno più solido rispetto a noi».

Fatto evidenziato da Philip Di Salvo. «In Italia non esistono grandi limitazioni legali alla diffusione dei nomi in cronaca, tranne che per situazioni molto particolari (minori e vittime di reati sessuali, ndr). C’è però la pratica delle querele temerarie che mettono pressione su chi si occupa di inchieste giornalistiche. L’autocensura è dietro l’angolo».

«I giornalisti hanno il dovere d’informare il pubblico. La libertà di stampa è un pilastro fondamentale della democrazia occidentale. Negli Usa o nel Regno Unito tale libertà non è messa in discussione in nessun modo. La Svizzera anche se si rifà a una prassi più vicina a quella del nord Europa o dei paesi di lingua tedesca, ha in realtà una situazione peggiore che deve essere cambiata dal legislatore. La mozione di Fabio Abate, già consigliere agli Stati, bocciata a marzo dello scorso anno, aveva colto nel segno chiedendo di allentare la legge e di tenere conto dell’avvento dei social. Qualcuno a Berna dovrà riprendere la questione», ha concluso Enrico Morresi.

Il prossimo 9 giugno, ha ricordato da parte sua Roberto Porta, presidente dell’Atg, il rapporto sulla citazione dei nomi in cronaca verrà presentato durante una serata pubblica al quale sono stati invitati giuristi e politici cantonali e federali. Un tentativo per portare alla loro attenzione un tema vitale per la corretta informazione.

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