Ticino

Si può anche avere nostalgia dell’aula

Fra decisioni federali e supermercati presi d’assalto, molti studenti hanno lasciato gli alloggi universitari per tornare dalla famiglia

(Depositphotos)

«Manca la routine, manca andare a lezione e salutarsi. Ora quando parte il meeting online, il docente dice buon giorno e gli allievi a volte nemmeno rispondono». Da un anno a questa parte frequentare l’università è diventato asettico, spento, mancano le interazioni umane. La testimonianza di Adriana, studentessa di master in scienze della società e della comunicazione a Lucerna, ne è la prova. «Quando è iniziato il primo lockdown sono rimasta ancora qualche settimana nel mio appartamento. Poi la gente ha cominciato a prendere d’assalto i supermercati e ho capito che la situazione non si sarebbe sbloccata tanto presto. Quindi sono tornata a casa dai miei genitori in Ticino».

Dalla mattina alla sera davanti al computer

Anche Marco, che segue un master in finanza a Losanna, è rientrato a casa a marzo di un anno fa. «I miei coinquilini hanno deciso di non restare. Ho sentito di non avere la stabilità emotiva per stare da solo per mesi in un appartamento vuoto». Anche a casa, però, la vita dello studente non è stata facile. «Non stacchi mai e alcuni docenti ci hanno assegnato ancora più lavori da consegnare, presumendo che non abbiamo nient’altro da fare. Ci sentiamo trattati come macchine da studio». A questo si aggiungono problemi pratici: «Essendo così lontani non è possibile andare in biblioteca a consultare i testi e a casa non mi metto a stampare tutto. Dunque passo veramente molte ore davanti al computer per leggere», racconta Marco che è riuscito a trovare degli escamotage per non lasciarsi sopraffare dallo studio: «Mi sono dato degli orari regolari. Se non ho delle scadenze particolari, alle nove di sera chiudo. Inoltre, sono stato costretto a cambiare i miei hobby, che prima erano legati all’uso del computer. Questo per evitare di stare da mattina a sera davanti a uno schermo».

Con il fuso orario, esami anche di notte

Chi con gli orari non sempre si può organizzare è Filippo, che sta seguendo, ora dal Ticino, un dottorato in finanza ed economia finanziaria all’università di Chicago. «I corsi sono registrati, ma gli esami vanno effettuati in diretta. Una volta ne ho avuto uno all’una di notte», racconta il giovane, che dopo aver terminato un master all’università di San Gallo si era trasferito a settembre negli Stati Uniti, ma con la seconda ondata pandemica ha deciso di tornare in Ticino. «Era tutto chiuso, non ci era permesso nemmeno di accedere ai nostri uffici. Inoltre, tutti i corsi sono stati spostati online e la maggior parte degli studenti sono andati via. Questo e l’idea di poter rimanere bloccato lì per mesi, mi hanno spinto a tornare a casa».

Dopo l’estate le università svizzere hanno potuto riaprire, alcune hanno offerto una modalità ibrida, un po’ in presenza, un po’ online, ma a fine ottobre è stata annunciata la chiusura degli atenei per novembre, a causa dell’aumento dei casi di coronavirus in tutto il Paese. «Per la seconda volta ho avuto dei dubbi. Lascio oppure no il mio appartamento a Lucerna? – Si è chiesta Adriana –. La situazione cambiava così repentinamente che anche i professori hanno faticato a riorganizzarsi. Soprattutto nel mio caso, dove la maggior parte delle lezioni sono strutturate sulla base di discussioni in piccoli gruppi».

Ma dunque, fra microfoni che non funzionano, segnali wi–fi intermittenti e insegnanti non sempre pratici di tecnologia, la qualità di apprendimento è inferiore? «Nel mio caso non credo di aver imparato meno, ma in modo diverso – dice Marco –. Con i corsi e gli esami in presenza era richiesto un maggior studio mnemonico. Con la modalità online veniamo spinti maggiormente a comprendere i concetti, dato che spesso possiamo usufruire del materiale didattico durante gli esami a distanza. Un fattore positivo per chi è indirizzato al mondo del lavoro. Un po’ meno per coloro che desiderano proseguire la propria carriera nel campo accademico o nella ricerca».

Meno posti per carriere accademiche

Riguardo a questi ultimi due settori Filippo parla di un ulteriore problema: «Molti studenti hanno chiesto un rinvio della partecipazione al dottorato. In sostanza si è ammessi al programma, ma si ha il diritto di cominciare un anno dopo per evitare di doversi ricandidare. Questo però ha portato le università a proporre meno posti per l’anno seguente». Meno posti ma anche meno soldi per finanziare i programmi accademici: «Con i corsi online gli atenei hanno ricevuto meno introiti dovuti anche alla diminuzione delle rette».

Attualmente le disposizioni federali permettono alle università di proporre lezioni in presenza, ma molte invece hanno deciso di mantenere la modalità online: «I docenti possono decidere, in accordo con gli allievi, di fare degli incontri in presenza o in forma ibrida, con alcuni a casa e altri in aula. I miei professori hanno preferito rimanere a distanza, anche per evitare di dover modificare nuovamente il programma», spiega Adriana, che nonostante abbia passato poco tempo a Lucerna ha deciso di non disdire il contratto d’affitto. «Ci ho pensato molto, ma ho ancora dei corsi da seguire il prossimo semestre. Lasciare un appartamento per traslocare in un altro fra qualche mese non converrebbe». L’idea di mollare tutto o fare una pausa c’è stata? «Sinceramente no, non vedo l’ora di terminare il master. Ammiro molto, però, chi ha deciso di iniziare comunque l’università in questo periodo particolare, sapendo che sarebbe stata in gran parte a distanza».

Oltre alla difficoltà di seguire i corsi online, manca molto il contatto informale: «Le interazioni, anche solo quelle a pranzo, sono un’occasione per capire meglio una lezione. Inoltre dal punto di vista umano fanno parte dell’esperienza universitaria», dice Filippo. «Per farci interagire sono stati organizzati dei momenti di gioco tramite Skype. Una buona idea, ma molto difficile da organizzare quando gli studenti sono sparpagliati in varie parti del mondo, con differenti fusi orari».

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