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Aumentano i sintomi depressivi tra gli studenti universitari

Lezioni a distanza, divieto di incontrarsi, lontananza da casa. Le testimonianze dei giovani che stanno subendo la chiusura degli atenei svizzeri

(Depositphotos)
15 marzo 2021
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“Un aumento medio dei sentimenti di solitudine, esaurimento, ansia e sintomi depressivi, come pure delle preoccupazioni legate al proprio futuro, alla paura dell’isolamento e alla mancanza di supporto emotivo”, queste le osservazioni emerse da un’indagine condotta dal Politecnico federale (Eth) di Zurigo su un gruppo di studenti universitari, una categoria che, proprio per via di alcune sue specificità, tende a essere più esposta a questi fattori di rischio a causa della pandemia. Venerdì scorso il Consiglio federale ha messo in consultazione dei Cantoni un piano di riaperture, che comprende la possibilità per gli atenei di poter dispensare le lezioni in presenza con alcune limitazioni. Questo se la situazione epidemiologica lo permetterà. Alcune testimonianze raccolte da laRegione sono rappresentative delle esperienze che molti giovani studenti hanno provato sulla propria pelle durante lo scorso semestre d’autunno.

‘Ho pensato di mollare tutto’

Martina, studentessa al primo anno di Bachelor in Chimica all’Eth, racconta di essersi trasferita a Zurigo «con l’idea di iniziare una nuova e arricchente esperienza». Inutile dire che la realtà è stata totalmente un’altra. «Siccome già dal primo giorno le lezioni si sono tenute secondo un sistema ibrido, ho da subito faticato a integrarmi. Infatti, già dopo le prime settimane ho cominciato a sentirmi molto sola e ad avere le prime crisi». Rimane comprensibilmente un po’ di amarezza, «sono convinta che sarebbe stato assolutamente diverso iniziare negli scorsi anni, ci sarebbero state indubbiamente più occasioni di socializzare e farsi degli amici». Anche la sensazione di essere incompresa ha gravato pesantemente sulla psiche di Martina. «Ho avuto l’impressione di essere stata l’unica a stare così male e mi sono spesso sentita in colpa pensando di esagerare, ma non nego che prendere il treno per tornare a casa in Ticino tutti i week-end era l’apice della settimana». Tutti questi fattori hanno spinto Martina a dubitare più volte delle sue scelte e ammette che «al pensiero di dover passare così ancora tre anni, sono stata tentata più di una volta a mollare tutto».

Nelle ultime settimane, molte sedi hanno annunciato che almeno fino a Pasqua le lezioni si terranno a distanza, è il caso dell’Università di Ginevra frequentata da Léon che ha recentemente deciso di lasciare la sua stanza per trascorrere il semestre di primavera in Ticino. «Da un lato – ci spiega – il fatto di tornare a casa naturalmente mi rattrista molto, ma d’altro canto si tratta comunque di un buon compromesso. Siccome molti dei miei compagni non si troveranno più in zona, devo dire che la prospettiva di passare un semestre da solo non è che mi allettasse molto. Poi certo, riabituarsi alla convivenza a casa sarà tutt’altro che facile, ma so che si tratterà di una soluzione temporanea». Una decisione inedita quella di León che negli scorsi anni non sarebbe sicuramente stata un’opzione, anche perché non praticabile.

‘Seguire i corsi online è molto più stressante’

Secondo Damiano però, anche lui studente a Ginevra, «seguire i corsi online è molto più stressante. Infatti, poiché gli esami sarebbero stati open book, c’era la possibilità che i professori potessero porre delle domande più specifiche, da qui la pressione di prendere degli appunti molto dettagliati». Come molti suoi compagni, anche Damiano considera che «a causa della pandemia sono andati a cadere tutti gli aspetti positivi dell’università. In particolare, se prima ci si sentiva valorizzati a vivere da soli, ora è diventato parecchio pesante. In ogni caso, mi reputo abbastanza fortunato a essere uno studente in questo periodo, perché almeno la nostra formazione è una delle poche cose che, con i dovuti accorgimenti, sta andando avanti malgrado tutto».

Asia P., neolaureata all’Università di Lucerna, ritiene invece di essersi trovata tutto sommato bene con la didattica a distanza. «Rispetto agli scorsi anni, dato che le risposte agli esercizi venivano trasmesse per iscritto e anonimamente, ho potuto partecipare con più serenità alle lezioni. Anche sostenere gli esami da casa ha i suoi vantaggi: nonostante fossimo filmati per evitare degli imbrogli, avevamo a disposizione tutto il materiale, cosa che in presenza non sarebbe stata possibile. Questa modalità mette l’accento non tanto sullo studio a memoria, ma sull’effettiva comprensione delle nozioni e permette di affrontare la sessione con un’altra consapevolezza». Se l’esperienza di Asia è stata nel complesso positiva, non si può dire lo stesso per Gianna, neolaureata all’Università di Ginevra, che ci spiega di aver deciso di prendersi un anno sabbatico «per svolgere uno stage utile al mio profilo professionale. Malgrado le mie numerose candidature, molte offerte sono state man mano annullate e ad agosto ho iniziato a lavorare. Questo mi ha ovviamente lasciata con l’amaro in bocca ed è stato mentalmente parecchio destabilizzante, visto che mi sono messa anche molto in discussione. Dato che so di non essere stata l’unica ad aver fatto fatica – conclude Gianna – mi spiace che spesso noi giovani siamo stati additati più come untori che come membri integranti della società che, come tutti gli altri, hanno dovuto rinunciare a molto». Anche l’esperienza di Asia T., studentessa in Scienze motorie e dello sport, è stata fortemente influenzata dalla pandemia soprattutto per quanto concerne il suo percorso di studio, una formazione che alterna teoria e pratica. In effetti, ci spiega che «durante il primo lockdown tutti i corsi si sono tenuti a distanza, compresi quelli pratici che sono diventati teorici. Siccome in alcune discipline la teoria è relativamente più facile, ho ottenuto delle valutazioni molto buone. Tuttavia, se sulla carta i miei voti sono positivi, lo stesso non vale per le mie capacità fisiche che non ho purtroppo potuto consolidare, e questo potrebbe in futuro influire sulla mia preparazione al mondo del lavoro. A novembre, con l’aumentare dei casi – continua Asia – siamo stati suddivisi in gruppi più piccoli ai quali è stata assegnata una fascia oraria molto ristretta durante la quale allenarsi. A causa delle limitazioni è dunque stato difficile prepararsi adeguatamente agli esami che sarebbero poi stati pratici e in loco».

‘È come aver perso un anno della mia vita’

Ilaria, studentessa in Psicologia a Friburgo, ci racconta che «durante questo semestre è stato difficile mantenere alto l’interesse, però, visto che almeno le aule studio sono rimaste aperte, devo dire di essere riuscita a gestire un po’ meglio questi mesi. Tuttavia, proprio perché gli anni dell’università dovrebbero essere un periodo dinamico in cui creare dei nuovi legami, vivere nuove esperienze, mettersi in gioco e capire quale sia la propria strada, non penso di esagerare dicendo che mi sembra di aver perso un anno della mia vita». Simone, al primo anno di Master in Scienze economiche, evoca un esempio emblematico che riassume questi mesi: «Dato che in presenza vigeva comprensibilmente l’obbligo della mascherina, la prima volta in cui ho potuto vedere in faccia i miei compagni di corso – ci spiega – è stata attraverso uno schermo quando si è tornati online. In più, a causa delle restrizioni, non mi sono mai sentito parte integrante della comunità universitaria di Losanna ed è un peccato perché un Master dura soltanto due anni e la metà ce la siamo ormai già giocata».

Nonostante l’inizio della campagna vaccinale, resta evidente che anche il settore universitario non tornerà alla normalità tanto presto. L’insegnamento a distanza, l’ansia, l’isolamento e la mancanza di prospettive sono solo alcune delle preoccupazioni che molti giovani studenti cercano di gestire da ormai quasi un anno e che potrebbero purtroppo trascinarsi nel tempo.

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