Ticino

Camere commercio latine: 'Il Governo riveda la sua posizione'

Le Camere latine di commercio e dell'industria (Clci) criticano in particolare il mancato preavviso a Cantoni e parti sociali

(Ti-Press)
10 dicembre 2020
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"Grande sorpresa e sconcerto" è quello espresso dalle Camere latine di commercio e dell’industria (CLCI), l'associazione che riunisce le Camere di commercio e industria dei cantoni Friburgo, Ginevra, Giura, Neuchâtel, Ticino, Vaud, Vallese e Berna, nei confronti delle varie misure annunciate martedì dal Consiglio Federale per fronteggiare la pandemia di COVID-19. Le Clci esprimono in particolare perplessità sul fatto che "queste misure sono state messe in consultazione senza preavvertire né i Cantoni né le parti sociali". 

"Le CLCI hanno sempre mostrato assoluto rispetto per le questioni di salute e supportato le aziende nell’allestimento dei piani di protezione. Tuttavia, esprimono la loro insoddisfazione e la loro indignazione per la procedura di consultazione in corso da  martedì. Pur comprendendo l'urgenza della situazione, ritengono che l'esclusione dei rappresentanti dell'economia dalla  procedura di consultazione sia del tutto incomprensibile", prosegue il comunicato. 

Il Consiglio federale, secondo le Clci, "non sembra prendere sufficientemente in considerazione i numerosi provvedimenti presi nei nostri cantoni dall'inizio di novembre (dall’inizio della pandemia in realtà)", sottolineando che "i nostri cantoni sono intervenuti prontamente, facendo molti sacrifici, per limitare il più possibile la diffusione del virus e mettere in sicurezza i  cittadini e le realtà aziendali correlate" ed evidenziando come i numeri, pur se importanti, nei cantoni di riferimento tendono a essere in calo o quantomeno stabili. 

"In questo contesto, è difficile capire perché, ora, tutti debbano essere improvvisamente soggetti alle stesse restrizioni, indistintamente. I nostri cantoni continuano a compiere quotidiani grandi sforzi. Gli annunci di martedì costituiscono quindi una doppia sanzione. Restano incomprensibili i drastici divieti proposti l'8 dicembre dal Consiglio federale

In primo luogo, nessuno ha potuto stabilire o ha mai indicato ristoranti, hotel e negozi come uniche fonti di trasmissione. La  responsabilità delle persone continua a essere al primo posto nel bene e nel male di questa pandemia. Non possiamo sottovalutare che, per tutti questi settori, le festività natalizie rappresentano un momento decisivo per un  miglioramento del proprio fatturato annuo.  Non è un caso che queste aziende abbiano adottato misure di grande impatto, in termini commerciali e finanziari, per garantire  la sicurezza dei collaboratori e dei clienti.  

Inoltre, durante le celebrazioni delle feste natalizie, queste realtà sono tra le uniche che restano pienamente attive sul territorio,  mentre industria, edilizia, artigianato e servizi sospendono, con qualche eccezione, le loro attività o le esercitano in modo  moderato (p. es. Telelavoro). Anche i controlli sul rispetto delle regole saranno quindi certamente più facili da attuare, in quanto  anche meno numerosi rispetto al totale delle attività economiche" osservano le Clci, che concludono: "Le misure draconiane previste, in totale contraddizione con quanto deciso e annunciato dai nostri Cantoni nei giorni scorsi,  screditano l'azione dello Stato a tutti i livelli. Illeggibili e ingestibili nel nostro contesto di federalismo, si rivelano controproducenti  e del tutto ingiustificate. La chiusura dei ristoranti alle 19.00 e il divieto di apertura domenicale dei negozi sono misure che non  rispettano il principio di proporzionalità. Tanto più che gli aiuti finanziari citati, limitati e senza effetti immediati, non  impediranno molte chiusure di imprese, con gravi conseguenze sociali ed economiche". Infine la richiesta al Consiglio Federale di "riconsiderare le sue proposte, in particolare le limitazioni alla ristorazione e  all'apertura di negozi".

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