Ticino

'Da Lugano fece da prestanome per il boss della cosca Anello'

Dalle carte italiane emergono le accuse rivolte al dipendente comunale del luganese. Avrebbe coadiuvato il cugino nel fornire armi alla 'ndrangheta

'Curavano anche il rifornimento di armi', scrivono gli inquirenti italiani (Foto Keystone)
21 luglio 2020
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È chiamato in causa assieme al cugino, residente il canton Argovia, a Muri, per essersi "reso disponibile alle esigenze" della cosca mafiosa del boss calabrese Rocco Anello (cosca Anello-Fruci) il 59enne operaio esterno impegnato nella cura del verde e nella pulitura delle strade alle dipendenze da molti anni di un comune della cintura Luganese. 

L'abitazione dell'uomo è stata perquisita questa mattina presto dagli agenti della Fedpol in una operazione congiunta tra Ministero pubblico della Confederazione e Procura di Catanzaro. Opreazione che ha portato, in totale, all'arresto di 75 persone a cavallo tra Italia e Svizzera. Lui, prelevato durante il blitz, è rientrato da poco a domicilio. Le accuse mossegli – che il 59enne respinge – emergono dalle carte dell'indagine: 3'544 pagine in cui è citato più volte e da cui si evince che gli inquirenti lo accusino in particolare di aver agito quale prestanome, facendosi intestare beni e attività in realtà appartenenti al sodalizio 'ndranghetista. 

Il cugino, più giovane, è invece ritenuto responsabile di essersi occupato dell'approvvigionamento di armi per conto del gruppo, "in particolare importandole dall’estero e segnatamente dalla Svizzera". Avrebbe inoltre curato gli interessi economici dell'organizzazione su suolo elvetico, ricevendo dall'estero denaro provento di attività illecite e inviando in Italia i guadagni delle attività svizzere della cosca. Il tutto rendendo conto direttamente al boss Rocco Anello. Attività nelle queli sarebbe stato "coadiuvato" dal cugino residente da anni nella cintura di Lugano.

Il frantoio

Tra le accuse mosse al 59enne operaio comunale, anche quella di aver accettato di farsi intestare fittiziamente un terreno e un progetto di un frantoio per olio in una cittadina in provincia di Vibo Valentia. Terreno e prefabbricato che, dal 2016, sarebbero stati invece nella piena disponibilità del boss mafioso. Un modo, per Rocco Anello, già condannato in passato, per "eludere le misure di prevenzione a carattere patrimoniale" cui è sottoposto.

'Rapporti diretti col boss' 

I due cugini, sostengono gli inquirenti, avrebbero mantenuto rapporti diretti con il capobastone, tanto che le intercettazioni disposte a carico di Anello avrebbero rivelato contatti continuati e durevoli con i due emigrati in Svizzera. Contatti riguardanti anche "questioni che si ponevano al di fuori di semplici rapporti confidenziali".

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