Ticino

Celebrazioni religiose, tra ostie e disinfettanti

Dopo oltre due mesi, nelle chiese cattoliche si è ripreso a celebrare l'eucarestia con la presenza di popolo. Impressioni da Bellinzona e Locarno

Un momento della messa in Collegiata a Bellinzona (FC)

Una situazione un po’ surreale all’entrata: disinfettarsi le mani al posto di fare il segno della croce con l’acqua santa. Domenica scorsa, Pentecoste, prima festività con le celebrazioni delle messe cattoliche in Ticino. Nonostante la crisi coronavirus non ancora conclusa la partecipazione è stata alta. Nella Collegiata di Bellinzona, dove ci siamo recati, è stato raggiunto il massimo di persone consentite (66, ndr). «Sono veramente contento di aver potuto celebrare la messa oggi”, dice l’arciprete don Pierangelo Regazzi, «le persone si sono messe a disposizione spontaneamente per disinfettare i banchi e organizzare i posti a sedere. Avere in parrocchia delle persone che ci mettono il cuore e che aiutano spontaneamente è una cosa bellissima. Inoltre, per me è importante incontrare i fedeli e trasmettere loro la mia vicinanza».

Nei giorni scorsi la Diocesi di Lugano ha inoltrato a tutti i preti delle linee guida per la celebrazione delle messe, oltre a quelle riguardanti il distanziamento fra persone. Fra le varie direttive, il divieto di scambiarsi il segno di pace, come pure la raccolta delle offerte che avviene invece al termine della celebrazione tramite un contenitore collocato all’uscita. Per evitare il contagio l'ostia è distribuita in silenzio, un banco alla volta con la distanza minima di due metri. È possibile sedersi un banco sì e uno no e in ogni fila sono presenti dei bollini per segnare dove è consentito posizionarsi. «All’entrata della chiesa alcuni volontari hanno accompagnato i presenti verso i posti a sedere, ma tutto si è svolto in maniera molto tranquillo», racconta don Carmelo Andreatta, arciprete di Locarno che prosegue: «È stata una grande gioia poter ricominciare a celebrare con il popolo presente, un’emozione grande. Dopo più di due mesi di attesa la situazione cominciava a essere incresciosa. La gente ha risposto molto bene, non c’era timore ma disponibilità e attesa di ricominciare». Per quanto riguarda il numero di partecipanti non vi sono stati problemi durante la messa mattutina nella Collegiata di Sant’Antonio abate: «Abbiamo calcolato la capienza di circa 80 persone, normalmente la chiesa riesce a contenerne fino a 250», spiega don Carmelo che prosegue: «La Parrocchia di Locarno propone vari orari e luoghi. Dunque c’è per tutti la possibilità di partecipare alla messa».
La Chiesa evangelica riformata invece ha deciso di mantenere l’inizio dei culti al 14 giugno. «Abbiamo preferito rimanere prudenti», afferma il pastore Tobias Ulbrich, presidente della Chiesa evangelica riformata nel Ticino (Cert). «Abbiamo mantenuto la data prevista in precedenza quando ancora il Consiglio federale aveva annunciato la possibilità di celebrare i culti religiosi dall’8 giugno» e aggiunge che per ancora un po’ di tempo ci sarà la possibilità di seguire il culto in televisione «dato che molti dei nostri fedeli sono persone a rischio o magari ancora non se la sentono di venire di persona».

Durante il lockdown

Durante le settimane di chiusure di gran parte delle attività economiche e sociali le Chiese si sono organizzate in vari modi per rimanere in contatto con i fedeli. «Ogni pastore ha cercato di inventare qualcosa in questo periodo», spiega Stefano D’Archino, pastore a Bellinzona. «Ho mantenuto i contatti con le persone tramite telefono, email e lettere. Inoltre ho pubblicato dei video su YouTube e fatto alcune dirette, ma il problema è che molte persone non hanno dimestichezza con questi mezzi». Fra gli altri strumenti anche delle newsletter con delle meditazioni e link a vari video.

Anche don Carmelo Andreatta ha optato per le stesse opzioni durante queste settimane: «Il telefono è stato uno degli strumenti provvidenziali per raggiungere gli anziani. Poi sono rimasto in contatto con le famiglie tramite la posta tradizionale (lettere) settimanalmente, questo per aiutarle a pregare in casa, per fare in modo di non lasciarle senza indicazioni spirituali». I moderni strumenti di comunicazione sociale (streaming, skype, eccetera) hanno sopperito all'impossibilità di riunirsi fisicamente. «Questo non sostituisce le celebrazioni dal vivo, ma rimane un legame, un segno di presenza», prosegue don Carmelo.
A essere rimasto in contatto di persona con i fedeli è stato don Pierangelo Regazzi, ammonito dalla polizia lo scorso 19 aprile. «Sul Blick hanno scritto che stavo celebrando la messa e che ho dato l’ostia in bocca, cosa assolutamente non vera. Mi sono limitato a dire il ‘Padre nostro’ e dare qualche spiegazione riguardante le preghiere dei fedeli che le persone hanno voluto leggere. Poi ho distribuito la comunione nelle mani a chi lo desiderava, ma solo dopo essermi disinfettato le mani e mantenendo sempre le distanze», precisa l’arciprete. «Le domeniche seguenti mi sono comunque recato in Collegiata. C’era molta meno gente e abbiamo rinunciato alle letture, alle spiegazioni e alla comunione. Ma quelle persone che venivano mi incontravano e quindi parlavo con loro». Don Pierangelo rimane scettico riguardo alle messe via streaming: «Le trovo tristi. Condivido il pensiero dell’arcivescovo di Milano che le ha paragonate a guardare il fuoco alla televisione: è lì ma non ti scalda». E prosegue: «Una comunità che non crea rapporti con le persone non è una comunità».

Le misure restrittive hanno anche reso difficile il delicato momento dei funerali: «All’inizio della chiusura era permesso di partecipare solo ai parenti più stretti», ricorda il pastore Stefano D’Archino. «Amici e altri parenti non hanno potuto salutare i loro cari in quel momento».

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE